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lunedì 28 dicembre 2009

Una nuova forma di unità politica dei cattolici?

Questo scritto vuole essere, più che una riflessione esauriente e compiuta (servirebbe ben altro spazio e altra mente!), uno spunto, una provocazione per altri interventi, commenti, integrazioni, critiche, che l’autore dichiara di gradire fin d’ora. La riflessione è pubblicata anche sul sito http://www.personaefuturo.it sul quale si prega di inserire gli interventi.

Sono convinto che questo tipo di scritti (brevi per quanto possibili ma argomentati) rappresenti oggi uno strumento efficace di comunicazione per la massa, più di ponderosi articoli e libri.

Una nuova forma per l’unità politica dei cattolici?

In ambito politico le scelte dei cattolici si ispirano al principio del legittimo pluralismo delle opzioni politiche, ferma restando la coerenza con i valori cristiani e con i dettami della Dottrina Sociale Cristiana[1].

Solo eccezionalmente si deroga a questo principio, allorché corrano pericoli la libertà della Chiesa cattolica e/o le libertà civili e religiose. Si perviene in tali casi ad invocare ed a praticare l’unità politica dei cattolici.

Questo è avvenuto in Italia, nello scorso secolo quando, nel secondo dopoguerra (anni 1946 e seguenti), i cattolici in Italia si riunirono nel neo fondato partito della Democrazia Cristiana per porre un argine al marxismo ateo, rappresentato in Italia dal più grande partito comunista dell’occidente. Si trattò di una scelta vitale in grado di salvare l’Italia dalla dittatura e di tutelare le libertà civili e religiose, scelta agevolata dalla formazione culturale alla politica dei giovani cattolici curata personalmente e incisivamente da Mons. Montini, futuro Paolo VI.

Non è un caso che la Democrazia Cristiana, già in declino negli anni ’70 e ’80, per molteplici motivi (non ultimo l’esaurimento graduale ma progressivo della spinta morale iniziale) andò in crisi velocemente a partire dal 1989 (anno della caduta del muro di Berlino e della sconfitta del comunismo) per poi scomparire come partito nei primi anni ’90.

Da allora i cattolici italiani non hanno avuto un grande partito di riferimento ma hanno differenziato le loro scelte lungo tutto l’arco parlamentare.

In pratica un ritorno al normale principio del pluralismo delle opzioni politiche. Contestualmente la Gerarchia cattolica ha assunto un peso maggiore, indicando ai fedeli laici i principi non negoziabili, ponendosi talvolta come interlocutore diretto delle istituzioni e dei partiti politici e suggerendo comportamenti concreti particolarmente nei casi di referendum interessanti ai temi bioetici.

Ci si chiede se non ci troviamo ora in una situazione analoga a quella degli anni ’50 dello scorso secolo e se non sia opportuno riconsiderare le scelte fatte e di ritenere di nuovo ragionevole e auspicabile l’unità politica dei cattolici in Italia.

Ciò potrebbe avvenire a due condizioni:

  1. la presenza di un pericolo mortale quale è stato il marxismo ateo concretizzatosi nel comunismo storico;
  2. l’attitudine e l’efficacia dell’unità politica come strumento per annullare tale pericolo.

Certamente quello che comunemente viene chiamato “relativismo etico”, e che altro non è se non l’ultima versione del nichilismo filosofico, rappresenta un pericolo non solo per il cristianesimo e le altre religioni, ma per tutta l’umanità.

Per relativismo etico si può intendere quella corrente di pensiero che nega non solo la raggiungibilità, bensì la stessa esistenza di una “verità” oggettiva, esterna agli uomini e in grado, una volta conseguita e praticata, di indirizzarlo verso il buono, il bello, il giusto.

Questa corrente culturale di pensiero, pur forse non maggioritaria nell’ambito della cultura occidentale, sta influenzando in maniera massiccia, grazie alla capacità di essere presente sui media, il comportamento concreto, la normale prassi della maggioranza delle persone, non solo in occidente, ma anche in altre parti del mondo (e forse è la con-causa anche di alcune reazioni fondamentalistiche e integralistiche da parte di alcuni settori religiosi).

Il relativismo etico, affermando l’inesistenza di una verità oggettiva come parametro di giustizia per la bontà, la bellezza, la giustizia dei comportamenti singoli o collettivi, porta a considerare la verità un concetto su misura del pensiero o dell’interesse del singolo individuo o del gruppo che agisce, con il solo limite del presunto pensiero o interesse altrui in conflitto. Il problema successivo della composizione di tali conflitti viene risolto in vari (opinabili) modi, fermo restando che, in assenza di parametri assoluti di riferimento (verità), le singole soluzioni sono considerate storicamente contingenti e soggette a mutamenti.

Nella prospettiva del relativismo etico sarebbero difficilmente condannabili anche i genocidi criminali commessi in tempo di guerra qualora supportati dalla maggioranza. Quale potrebbe essere infatti il criterio oggettivo di verità per condannarli? Il rispetto della dignità della persona umana? Ma se lo si ammettesse come verità oggettiva, si verrebbe a erodere le fondamenta stesse del relativismo etico.

In effetti la concretezza della realtà ha fatto emergere che, al di là delle speculazioni teoriche, la “verità” insita in tale visione della vita è la massimizzazione dell’interesse e dell’utile individuale o nazionale, trasformata, a livello economico-finanziario, nella massimizzazione del profitto.

Se tale è la situazione non si può non ragionevolmente vedere come il relativismo etico rappresenti un nemico mortale non solo per il cristianesimo e le altre religioni (in quanto negatore della verità oggettiva) ma anche del progresso umano (in quanto espressione di una libertà individualistica, slegata da ogni riferimento al bene comune, e intrinsecamente foriera di una mentalità e di una pratica conflittuale).

Si capisce come, sotto questo aspetto, abbia abbondanti motivi di ragione la ferma battaglia culturale che sta conducendo la Chiesa cattolica (particolarmente sotto i due ultimi Pontefici) per ribadire l’esistenza e l’accessibilità, tramite la retta ragione umana, di una Verità che coincide, per chi crede, con il Figlio di un Dio, fattosi uomo per amore dell’umanità.

Si può, a questo punto, condividere il giudizio che il relativismo etico costituisca un pericolo mortale forse ben peggiore di quanto il comunismo abbia rappresentato nello scorso secolo.

Ma a livello politico è corretto dire che l’unità dei cattolici italiani in un solo partito sia la soluzione più giusta, adeguata ed efficace per combattere tale pericolo?

Il marxismo materialistico ateo si è concretamente realizzato nel XX secolo a partire dall’esperienza della rivoluzione sovietica e successivamente sviluppato e radicato in altre Nazioni a partire da quelle europee.

In Italia tale realizzazione ha avuto concretezza nella presenza del Partito Comunista più forte dell’intera Europa occidentale. Sarebbe interessante interrogarsi sul perché questo sia accaduto ma l’indagine esula dai confini molto brevi di questa riflessione.

In Italia si è quindi pervenuti ad una contrapposizione frontale, culturale e ideologica, fra la Chiesa cattolica e il marxismo materialistico, alla quale si è affiancata, sul piano politico, la contrapposizione fra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

La presenza di un partito di ispirazione cristiana, ma rivendicante la sua piena laicità, come la DC e operante prevalentemente in posizione centrale rispetto agli estremismi di sinistra e a quelli neo-fascisti di destra, ha sortito due effetti largamente positivi.

Innanzitutto ha permesso alla Chiesa cattolica di mantenere una posizione di adeguata distanza dall’agone politico (anche se no sempre...) e di potersi dedicare alla sua missione evangelizzatrice e pastorale con maggiore libertà e godendo di un ampio rispetto da parte della maggioranza degli italiani.

In secondo luogo, tramite l’azione avveduta di politici di grande spessore, presenti sia nella DC che nel PCI (nonché nei partiti loro alleati), si è riusciti ad evitare che lo scontro ideologico e politico sfociasse in quello fisico, confinandolo sempre nell’alveo della normale dialettica politica (e anzi, nei momenti in cui alcune frange estremistiche hanno provato a forzare la situazione, si è rivelata una ampia convergenza politica fra i due blocchi parlamentari contrapposti).

L’unità politica dei cattolici si è dunque rivelata, in tale situazione storica italiana, uno strumento adeguato per difendere sia la libertà della Chiesa che il contestuale sviluppo di una vera democrazia.

Ma è il pericolo rappresentato dal relativismo etico assimilabile, storicamente e in Italia, a quello del marxismo materialistico?

Mentre il marxismo materialistico aveva un preciso punto di riferimento storico, geografico e politico nella Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (storicamente rappresentate con la parola “Mosca”) e, in Italia, nel Partito Comunista Italiano, ciò non è assolutamente vero per il relativismo etico.

Esso ha certamente le sue radici filosofiche nel nichilismo e nel positivismo, è sicuramente figlio della necessità di un pensiero debole comune in grado di facilitare lo sviluppo del modello economico turbo capitalistico di stampo anglosassone, e ha sicuramente la sua massima espressione nel Nord del mondo (basta pensare alle caratteristiche delle società canadese, statunitense e scandinave).

E’ però talmente esteso a livello mondiale che non è possibile individuare un centro geografico propulsore né tantomeno partiti che ne rappresentino l’espressione politica. Anzi si potrebbe azzardare (ma mica tanto) che gode di una presenza politica trasversale sia in ambito conservatore che riformistico.

Nel contesto di questa nuova situazione, forse non avrebbe senso la realizzazione, in Italia, di un partito politico di ispirazione cristiana, che si troverebbe ad affrontare politicamente un problema di natura prevalentemente sociale e culturale, correndo fra l’altro alcuni gravi rischi.

In primo luogo quello dare all’esterno l’immagine di un cattolicesimo italiano sulla difensiva, trincerato dentro una fortezza inespugnabile;

Inoltre la chiusura in un unico soggetto partitico potrebbe offrire un maggior spazio alle correnti più integralistiche e conservatrici, illanguidendo la ricchezza di pensiero politico presente nelle varie correnti culturali italiane di matrice cristiana.

Infine questo arroccamento politico potrebbe causare un atteggiamento di maggior chiusura da parte delle componenti laiche della società civile propense ad un dialogo costruttivo con quelle cattoliche nella prospettiva del bene comune e dell’interesse nazionale.

Sembrerebbe pertanto veramente inutile o eccessivamente rischioso affrontare tali pericoli costituendo un soggetto politico parlamentare unico cattolico in assenza (come invece era nel caso del Partito Comunista Italiano) di un partito contrapposto.

Ma allora è migliore la situazione attuale, con i politici di matrice cattolica sparsi un tutti i partiti presenti nel Parlamento (e fuori) e dove l’unico partito che si richiama espressamente alla matrice cristiana non viene come tale pienamente percepito a causa di rilievi di natura etica e di accuse di mero opportunismo politico?

Quale è oggi l’incidenza reale dei principi della Dottrina sociale cristiana nella realizzazione concreta dei programmi politici dei partiti italiani?

Si riesce, a livello parlamentare, nella attuale configurazione della presenza dei cattolici, a opporre una valido argine alle proposte (non solo nel campo della bioetica, ma anche in quello economico finanziario) di matrice “relativistica”?

La risposta a queste domande è sicura e malinconicamente negativa.

Eppure si sente la necessità, anche in ambito politico, di un metodo e di uno strumento in grado di coordinare le azioni politiche dei fedeli laici presenti nelle istituzioni repubblicane, in modo di incrementarne l’efficacia sia in termini di proposte progettuali condivise che di opposizione a proposte alternative inaccettabili.

Se non è utile e opportuno ricorrere ad un nuovo partito unico dei cattolici né rimanere passivamente nella situazione attuale, la soluzione potrebbe essere ricercata altrove, magari in ambito extra-parlamentare, riflettendo che l’unità politica dei cattolici è concetto diverso dall’unità partitica con la quale spesso è stata confusa.

Perché invece non attivare un luogo, uno strumento (che potremmo definire un “tavolo”), ufficiale (ma non clericale), strutturato (ma non burocratico), nel quale i politici cattolici possano serenamente e con spirito comunitario confrontarsi?

Un tavolo a livello nazionale (con la possibilità di sezioni territoriali) ma anche europeo, tenendo conto dell’importanza che ormai rivestono le norme comunitarie nella produzione legislativa con vigenza dei territori delle singole nazioni.

Un tavolo dove nessuno debba dover rinunciare preventivamente alle proprie appartenenze politiche, dove l’amore reciproco (vero e unico carattere distintivo dei cristiani) sia la base per il (ancora una volta) reciproco rispetto della legittimità delle altrui opinioni politiche e il fondamento di una ricerca serena e costruttiva di soluzioni, il più possibile condivise, dirette al conseguimento del bene comune.

Un tavolo che non sia solo politico ma, prima e soprattutto, ecclesiale caratterizzato da un preciso stile dello stare insieme e dalla comunanza della ispirazione ai principi della Dottrina Sociale Cristiana.

Un tavolo dove non manchi la presenza di Pastori, con la precisa funzione di essere animatori di spirito comunitario e “purificatori” della capacità di ragionare, ma il cui coordinamento sia affidato a fedeli laici e le cui decisioni non compromettano l’autonomia della Chiesa.

Un tavolo da costruire subito, tutti insieme, con la consapevolezza di essere comunque “servi inutili”.

Roma 26 dicembre 2009

Giuseppe Sbardella



[1] “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”, nn. 573,574; - Paolo VI “Octogesima adveniens”, n. 50; – Concilio Vaticano II “Gaudium et spes” n. 43 b) e c); – Costante insegnamento della CEI (Documenti finali e interventi dei Papi ai Convegni di Loreto e Palermo).

domenica 27 dicembre 2009

Una televisione migliore solo per Natale?

Carissimi amici,

avete notato che in questa settimana natalizia le trasmissioni televisive sono quasi esclusivamente improntata sentimenti, di bontà, di solidarietà, di apertura, di serenità familiare?

Non avremmo forse una società migliore se, anche nei tempi normali, ci fossero più trasmissioni di questo tipo?

Forse è una riflessione semplicistica, ma mi è venutà così...

Buona continuazione delle feste natalizie e, mai come ora, buona settimana!


giovedì 17 dicembre 2009

AMARE IL PARTITO ALTRUI COME IL PROPRIO

“AMARE IL PARTITO ALTRUI COME IL PROPRIO”. E’ questo il mandato imperioso, efficace, concreto che Chiara Lubich ha affidato agli esponenti del Movimento Politico per l’Unità (MPPU) che lei ha fondato come espressione del Movimento dei Focolari.

Mai come questo momento l’indicazione di Chiara appare attuale e costruttiva per la nostra Italia.

Amare il partito altrui come il proprio vuol dire praticare l’ascolto attivo e sereno verso l’avversario politico, senza giudizi precostituiti ma con la sola intenzione di comprendere la sua opinione, cercare di immedesimarsi nelle altrui posizioni, vedere nell’avversario non un nemico da abbattere, ma una persona che la pensa diversamente da noi, rendersi conto che le soluzioni più giuste, concrete, realistiche, nascono dal confronto sereno, talvolta anche dal conflitto aspro ma positivamente gestito, fra diverse proposte programmatiche.

Enorme è, in questo contesto, la responsabilità di chi è stato chiamato a rappresentare il MPPU verso l’esterno, affinché il suo comportamento non solo non sia (seppure inconsapevolmente), ma nemmeno appaia, sbilanciato verso una parte politica. Sarebbe auspicabile che nessuno pensasse di essere così obiettivo la rappresentare la sintesi di tutte le espressioni politiche ma la stessa fosse costruita con la presenza, nelle strutture di servizio del MPPU, e in maniera paritaria, di persone espressione dei diversi orientamenti politici.

D’ora in poi, per i figli spirituali di Chiara, ma non solo, il comando sia: “AMARE IL PARTITO ALTRUI COME IL PROPRIO” .

Che ne dite?

domenica 13 dicembre 2009

Buona settimana (consumi e investimenti etici

Oggi, è possibile ed è facile per le grandi società finanziarie e per i fondi di investimento spostare rapidamente grandi somme di denaro da un mercato all’altro rendendo inutili gli interventi delle Banche centrali.

Oggi le aziende multinazionali localizzano le forze lavoro sulla base dei costi da pagare nelle singole aree geografiche, scegliendo quelle Nazioni nelle quali il costo del lavoro e la previdenza sono più a buon mercato, anche in questo caso vanificando le politiche economiche dei singoli Governi.

Ma se l’economia e la finanza hanno prevalso sulla politica, è ancora corretto dire che basta il voto, espressione massima delle scelte politiche, a difendere la nostra dignità di persone e di cittadini?

O non è forse il caso di cambiare mentalità operando le nostre scelte di consumo e di investimento sulla base del criteri del buono, del vero, del giusto? Non riusciremo forse, in questo modo a riportare sia l’economia che la politica sotto il dominio dell’etica?

Sono certo che così facendo vivremo più felici in un mondo più giusto.

Aspetto vostri commenti.

Buona settimana

domenica 6 dicembre 2009

Buona settimana (La nuova frontiera della difesa delle libertà civili)

Cari amici


Questa settimana mi ha molto colpito questa frase: "oggi la nuova frontiera della difesa delle libertà civili passa, oltre che attraverso un voto intelligente, soprattutto attraverso un consumo intelligente".

Che ne dite, apriamo un confronto?

Buona settimana

Giuseppe Sbardella

giovedì 26 novembre 2009

Solo i ragazzi non sentono la crisi...

Ogni 6 minuti muore sulla Terra un bambino per denutrizione e intanto...

Traggo da un articolo pubblicato su Iesus del mese di novembre 2009 (pag. 31):

“....la crisi pone problemi alle famiglie, nel 60 per cento dei casi; due terzi degli adulti acquistano in minor quantità vestiti ed elettrodomestici, hanno ridotto i viaggi e le vacanze, vanno meno a pranzo fuori, ma per i ragazzi poco è cambiato, la “paghetta” è rimasta invariata, e così le attività per il tempo libero: l’83 per cento del campione ha ridotto poco o per niente l’acquisto dei beni indicati”.

Stiamo forse perdendo, sviati da una forma assurda di “buonismo genitoriale” una opportunità unica per educare le nuove generazioni a tener conto del bene comune, cominciando dal bene comune delle loro famiglie?.

Chiude Iesus: “..qui non si tratta di salvare la psiche di bambini, ma di ottenere, con prudenza, ma anche con una corretta informazione, che la famiglia sia una comunità in cui gli adolescenti crescano un po’ alla volta nella consapevolezza dei problemi comuni e delle comuni responsabilità.”

Cari saluti

domenica 22 novembre 2009

Buona settimana (ogni 6 secondi....)

Cari miei 150 amici, permettetemi questa volta di coinvolgervi brevemente in un semplice sondaggio.

La domanda è: cosa succede di terribile ogni 6 secondi nel mondo?

Aspetto le risposte a questo indirizzo o sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com .

La prossima settimana vi farò sapere l’esito del sondaggio.

Cari saluti e... buona settimana

domenica 15 novembre 2009

L' argine della fraternità

Carissimi,

a mio parere l’altro argine, dopo quello del primato della persona umana, entro il quale far fluire il fiume impetuoso della società “liquida” è il principio di fraternità.

La fraternità ingloba la solidarietà (che tende alla uguaglianza delle persone diseguali) ma la supera perché, partendo da questa uguaglianza, tende a rimarcare le differenze tra fratelli, nell’ottica di un servizio al bene comune.

In una famiglia i fratelli sono uguali in dignità ma quanto possono essere diversi per carattere, capacità, forma fisica!! Occorre valorizzare sia la uguale dignità che le differenze nell’aiuto reciproco.

Senza la fraternità non ci può essere vera uguaglianza, ma neppure reale libertà, perché non ci può essere una liberta fra diseguali e indifferenti (la mia libertà comincia dove comincia la libertà di mio fratello).

Che ne dite?

Intanto, buona settimana!!

domenica 8 novembre 2009

Per non essere liquefatti...

In una società “liquida”, dove la velocità dei cambiamenti rende difficile persino l’abituarsi ai cambiamenti stessi, dovremo imparare ad essere flessibili, leggeri ma ad avere pur sempre dei valori “solidi” a cui aggrapparci, pena la nostra “liquefazione”.

A mio parere il primo di questi valori è il rispetto della dignità di persona di ogni essere umano.

Cosa si deve intendere per persona? Si può azzardare una definizione.

Persona è l’essenza, il substrato fondamentale di ogni essere umano, che va oltre la sua corporeità e la sua spiritualità (pur inglobandole), che lo rende unico, irripetibile, perfetto (anche in sue eventuali deformità), che lo caratterizza dal primo momento dell’esistenza fino alla sua morte naturale né accelerata né ritardata con modalità umane, che lo rende capace di pensare, pensarsi, relazionarsi con gli altri, anzi di realizzarsi nella misura in cui allarga e perfezione la sue relazioni con gli altri.

La persona è sempre un dono per sé e per gli altri e, come tale, è intangibile dalla società e non posponibile a nessun altri valore né elemento.

Per un credente il ritenere ogni essere umano una persona è il modo più intelligibile per capire il suo essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Ma anche per un credente la persona è il concretizzarsi di una concezione di un essere umano basata sull’uguaglianza e sulla libertà di tutti gli uomini.

Pertanto siamo pure leggeri, siamo pure agili e flessibili, ma non “molliamo” sul rispetto della dignità della persona umana, perché rischieremmo di perdere anche la nostra umanità.

Che ne dite? Aspetto vostri pareri sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com ?

Buona settimana

venerdì 6 novembre 2009

Non solo "merito"....



Ho posto su un social network la seguente domanda:Meritocrazia. E' più meritevole un manager che alza del 2% il profitto della propria azienda o il medico che scopre un farmaco per una malattia rara (dal quale non si prevede pertanto un grosso ritorno in termini di profitto per l'industria farmaceutica)?”

La risposta non è facile, e forse neppure è possibile darne una definitiva. Conviene procedere con ordine.

Il termine meritocrazia viene dal greco, significa letteralmente “potere al merito” e identificando quel tipo di modalità di riconoscimento caratterizzato dal premiare le persone più meritevoli nei campi più vari (aziende, scuole, mondo della finanza, sport ecc.).

Meritevole è la persona che contribuisce al successo di un ente, dal più piccolo come una famiglia, ai più grandi, come un’azienda o addirittura una nazione.

E qui cominciano i problemi.

Quali sono i criteri per misurare il successo di un ente e come paragonare le storie di successo nei vari enti per premiare le migliori?

E’ più meritevole il manager che alza del 5% l’utile della propria azienda in Borsa, premiando così gli azionisti ma mandando a casa 10.000 dipendenti, o il manager che l’alza solo del 2% ma evita ogni tipo di licenziamento?

E ancora (e qui la risposta sembra a prima vista più facile) è più meritevole lo scienziato che mette a punto il vaccino per una influenza pandemica (che salva milioni di persone e che fornisce un grosso ritorno in termine di profitto) o lo scienziato che scopre un farmaco per le malattie rare (che salva migliaia di persone con un ritorno di profitto ovviamente inferiore al precedente)? La vita di più persone vale più della vita di meno persone? ponetevi, prima di rispondere, nei panni di una di queste ultime...

Sembra chiaro che la risposta a queste domande non possa prescindere dall’individuazione di criteri oggettivi atti a misurare il contributo dei singoli al successo e, pertanto, dal tipo di società che si vuole costruire.

Se si vuole costruire una società fondata su valori quali la massimizzazione della ricchezza individuale, del profitto aziendale, del PIL nazionale, saranno considerati meritevoli i cittadini che, con la loro attività, avranno meglio contribuito all’accrescimento quantitativo di questi valori.

Se invece la meta è quella di una società in cui si possa vivere meglio, in cui sia distribuita comunque una base di ricchezza sufficiente per una vita dignitosa, e si punti ad uno sviluppo rispettoso delle esigenze ambientali e della necessità di un solido contesto relazionale interpersonale, allora saranno considerati meritevoli i cittadini che maggiormente si saranno impegnati sul fronte della salute, dell’ambiente e di tutto quant’altro consente alle persone di avere solide e realizzanti relazioni umane.

Pertanto solo se si ha chiaro il modello di sviluppo da implementare e il tipo di società da costruire si potrà meglio capire cosa si intenda effettivamente per merito. Di qui la prima conclusione che non può esistere una concezione di merito condivisa da tutti ma che tale concezione dipenda in maniera molto rilevante dai valori sociali che i singoli cittadini professano.

E non è l’unica questione che si presenta.

E’ comune esperienza (sia pratica che scientifica) che le prestazioni individuali (professionali, sportive, relazionali) dipendono in gran parte da fattori che esulano dall’impegno individuale. A titolo di esempio possiamo individuare alcuni di questi: il quoziente di intelligenza (Q.I.), l’ambiente familiare e sociale da cui si proviene, il percorso di studi (spesso obbligato) portato (o non) a termine, le doti fisiche naturali ecc.

Come valutare i meriti di due lavoratori di cui uno, con Q.I. superiore alla media, completa un incarico in pochi minuti e senza eccessiva fatica, e l’altro, con Q.I. inferiore alla media, in un’ora ma con grande impegno? Certo il primo avrà del tempo disponibile per portare a termine altri lavori e il secondo forse no, ma chi dei due è stato più meritevole?

Certo, se ci si basa solo sul criterio del profitto, il primo risulterà necessariamente vincente, ma abbiamo visto che il successo materiale non può essere il solo criterio. Magari il secondo lavoratore, più lento ma maggiormente impegnato, potrebbe essere più capace di integrarsi in un efficace lavoro di team.

E ancora, per tornare ad una domanda iniziale, come valutare, in termini di merito, lo scienziato che predispone il vaccino per milioni persone e quello invece che, magari con maggior impegno, scopre una medicina per una malattia rara? Valuteremo il merito in termini di ritorno di profitto, di numero di potenziali persone (pesandone l’importanza individuale in funzione del numero), o invece misureremo la quantità di impegno profuso da ciascuno dei due nel loro lavoro?

Come valutare l’insegnante, dotata di carisma personale, in grado di tenere la classe in termini di disciplina ma con scarsa capacità di trasmettere conoscenze valori, con un’altra, magari meno esuberante, talvolta schiacciata dagli studenti, ma intenta, con grande impegno, a veicolare in loro sia le conoscenze tecniche che i principali valori sociali? Certo la prima arrecherà meno fastidio al Dirigente scolastico (che potrà limitare i suoi interventi sul piano disciplinare) ma dovrà essere considerata più meritevole dell’altra?

E non sono finiti gli interrogativi da porre sulla questione della meritocrazia.

Come comportarsi sui periodi di valutazione?

Dovremo considerare più meritevole il ricercatore che, annualmente, produce singoli risultati di rilevanza normale, o un altro ricercatore, impegnato in un lavoro più complesso e con necessità di maggior tempo di analisi, che raggiungerà un risultato molto più importante ma dopo più anni? Generalmente si è portati a considerare il breve periodo, ma è giusto, non ci limiteremo così a premiare gli sforzi brevi e a disincentivare gli studi lunghi e complessi?

Scopo ultimo del lavoro, importanza dei fattori individuali predeterminati, rapporto fra risultato e impegno, lunghezza del periodo di valutazione, sono (e forse ce ne saranno anche altri) quattro elementi che mettono a dura prova la fondatezza e la ragionevolezza del motto “potere al merito”.

L’impressione netta è, che in questa come in altre questioni sociali, occorra evitare ogni fondamentalismo, ogni presunzione che problemi complessi siano risolvibili con soluzioni semplici, che ci possano essere, in ogni caso, scorciatoie in grado di evitare la indispensabile fatica del discernere, comprendere e solo alla fine decidere.

Il reale merito dovrà essere valutato tenendo conto non solo del contributo al profitto, al guadagno finanziario o al PIL, ma anche di fattori diversi quali l’impegno individuale, il contributo al bene comune e l’importanza del lavoro in rapporto al tempo impiegato. Solo in una ottica così allargata diventerà possibile avviare una concreta e giusta politica di riconoscimento del merito.

sabato 31 ottobre 2009

Liquidi o solidi

Buona settimana.

Il noto sociologo Z. Bauman sta sostenento in diversi suoi libri (ultimo “La vita liquida”, ed. Laterza) che stiamo vivendo in una società “liquida”.

Con questo termine vuole identificare una società i cui cambiamenti sono così veloci che, nel tempo ch impieghiamo per abituarci ad un cambiamento, già ne è intervenuto un altro.

Questo tipo di società spinge gli esseri umani a diventare “liquidi” come l’acqua che scivola via senza aggrapparsi a nessun appiglio.

Chi è rigido rischia di dover sopportare disagi fisici e psichici nonché problemi di carattere mentale (l’attuale vertiginoso aumento delle depressioni vi dice nulla?)

Più si è flessibili, meno verità, meno valori si hanno nel proprio bagaglio esistenziale, più diventa facile vivere in questo tipo di società.

Ma questo vuol dire vivere da essere liberi o l’assenza di qualsiasi valore di riferimento ci pone alla mercé di chi ha il potere (economico e politico) per decidere gli indirizzi del cammino comune?

Da parte mia penso penso che alcuni valori (seppur pochi, perché essere flessibili è un bene) devono restare e devono essere non negoziabili e indisponibili nella loro sostanza.

Ne parleremo nei prossimi buona settimana.

Un caro saluto

mercoledì 28 ottobre 2009

Anziani. Problema o opportunità?

Esiste un tema che, a nostro parere, è molto sentito nella società, in particolare in quasi tutte le famiglie e sul quale, invece, la classe politica è abbastanza assente.

Un tema che anche le statistiche evidenziano (e non vale la pena qui di ricordarle) in quanto è parlare in giro con amici o conoscenti di 50 / 60 anni, per prendere atto della sua esistenza.

Mi riferisco a quello dell'assistenza agli anziani che è diventato, dato il naturale elevarsi dell'età media di previsione di vita, un problema cruciale, insisto, diffuso in quasi tutte le famiglia (regolari o di fatto) in particolare in quelle dei ceti medi e popolari, che non possono disporre di un consistente reddito per far fronte a questa esigenza, ma neppure sono nelle condizioni di povertà previste per usugruire di decisive agevolazioni pubbliche.

Eppure forse esiste una soluzione (a base fortemente “personalistica” ovvero centrata sul primato della persona umana) solo che si provi ad alzare lo sguardo e a evidenziare alcune esigenze che possono forse essere conciliate e indirizzate a risolvere il tema di cui si scrive.

La prima è sicuramente quella di promuovere uno sviluppo economico che non si basi più sullo stimolo della massimizzazione del profitto e sull’incentivazione del possesso di beni materiali, ma che prenda finalmente atto che la felicità, dato un certo livello soddisfacente di reddito, è funzione esclusiva della saldezza e continuità di relazioni interpersonali soddisfacenti (i cosiddetti “beni relazionali”).

Non possiamo neppure dimenticare l’esigenza di ridurre una spesa pubblica per assistenza che il più delle volte si concentra su ricoveri in RSA o nell’utilizzo di strutture pubbliche di assistenza domiciliare.

Ancora, è necessario evidenziare la necessità di trovare sbocchi di lavoro per i giovani cittadini italiani, ricorrendo magari anche a tipi di impieghi che in qualche modo rafforzino il dialogo interpersonale fra le generazioni in vista e a sostegno di quella alleanza intergenerazionale (richiamata anche da Benedetto XVI nell’a sua ultima enciclica) che è alla base di uno sviluppo del Paese equilibrato, consapevole della sua storia culturale e in linea con la stessa.

Da aggiungere, e non sicuramente per ultima l’esigenza di restituire agli anziani la loro dignità di “persone”, non pesi per le giovani generazioni, ma anzi opportunità per lo sviluppo equilibrato della loro personalità.

E infine come non accennare alla necessità di alleviare finanziariamente e anche psicologicamente tante famiglie oggi al collasso per dover affrontare da sole problemi talvolta giganteschi? Una vera politica per la famiglia la si fa anche restituendo loro la serenità necessaria per un dialogo affettuoso e costruttivo fra coloro che la compongono, al riparo da tensioni nervose spesso distruttive dei legami parentali.

Lanciamo qui, come Laboratorio Persona è futuro una proposta, in parte provocatoria, sulla quale invitiamo tutti i nostri amici a confrontarsi con suggerimenti e critiche costruttive.

Affermiamo pertanto che la soluzione potrebbe essere trovata in una politica che, da una parte agevoli la costituzione di cooperative sociali di giovani cittadini italiani, aventi come fine primario l'assistenza (vogliamo dire meglio sostegno per evidenziarne la caratteristica di supporto a delle “persone”?) agli anziani residenti in casa con le loro famiglie, dall'altra finanzi parzialmente le famiglie di basso-medio reddito nel sostenere la spesa di tale "badanza".

Gli oneri di tale progetto potrebbero essere trovati compensando la riduzione della spesa sanitaria e tagliando alcune spese veramente esuberanti degli enti pubblici locali.

Saremo veramente lieti di ricevere contributi in proposito. su questo blog o, meglio, sul sito http://www.personaefuturo.it

Cari saluti a tutti

domenica 25 ottobre 2009

Buona settimana (i pionieri e l'elastico...)

Da un pensiero di Michel Quoist, che mi ha sempre colpito...

Una società, sia ecclesiale che civile, non può avanzare senza la presenza di pionieri, di battistrada, che aprono cammini fin allora sconosciuti, abbattono barriere psicologiche, superano paure collettive ancestrali.

I pionieri sono virtualmente collegati al resto della società non da corde rigide ma da elastici che permettono una maggiore elasticità, particolarmente nei passaggi più delicati, quando i pionieri spingono con forza in avanti e il resto della società resiste con tenacia.

Ma i pionieri devono stare molto attenti ed usare equilibrio. Se avanzano troppo poco, l’elastico si tira e gli altri non avanzano, se invece spingono troppo l’elastico rischia di rompersi e succede l’irreparabile, i due elementi perdono ogni contatto, si rompe il meccanismo unitario, il pioniere viene lanciato troppo avanti (perde il contatto con la sua comunità), la comunità ritorna con violenza indietro e perde molti dei progressi acquisiti.

Diamo una mano, sosteniamo i nostri pionieri, permettiamo loro di conservare il giusto equilibrio e andremo avanti, a passo diverso, ma tutti insieme.

Ne discutiamo insieme. Che ne dite?

Buona settimana.

sabato 17 ottobre 2009

Buona settimana (un pensiero di Maritain

Sono rimasto molto colpito da una frase di Jacques Maritain (uno dei padri del pensiero personalistico francese) che mi permetto di sottoporre alla vostra attenzione:

“La ragione di essere di una società è di permettere ad ognuno di condurre una vita veramente umana”.

Secondo voi, la nostra società a che punto sta?

Ne parliamo sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com ?

Buona settimana

sabato 10 ottobre 2009

Una costellazione "personalistica"

Soon veramente lieto di pubblicare un importante documento di Savino Pezzotta.

Chi volesse intraprendere la strada da lui tracciata può serenamente confrontarsi, fornire e ricevere suggerimenti o sostegno, mettendosi in contatto con il Laboratorio ” Persona è futuro” (sito http://www.personaefuturo.it) di Roma scrivendo a personaefuturo@gmail.com.

Sarà data risposta a tutti con piacere per intraprendere insieme questo difficile, ma affascinante cammino.

Cari saluti

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Care amiche e amici,

perdonatemi l’uso del plurale; non lo faccio per manie di grandezza ma per esprimere il pensiero degli amici di “Persona è Futuro“ che si sono impegnati in una nuova avventura.

Siamo soddisfatti: quando il 18 di settembre abbiamo visto la sala gremita con tante persone, abbiamo pensato che forse eravamo sulla strada giusta. Nel momento in cui abbiamo pensato al convegno sul personalismo, non contavamo su tanto interesse: siamo contenti.

Si tratta ora di valutare come andare avanti con questo lavoro e vogliamo essere chiari. Siamo convinti che non dobbiamo costruire un nuovo partito, una corrente politica, un movimento. Più semplicemente pensiamo di realizzare una rete di persone e gruppi che vogliono correre l’avventura del pensare politicamente la realtà, che vogliono trovare momenti e luoghi di riflessione, di proposta e di scambio amichevole di pensieri, desideri e speranze. A qualcuno potrà sembrare poco ma per noi è necessario. Siamo convinti che oggi ci sia un’esigenza di testimoniare gratuità sobrie e rigorose che si legano e costituiscono una ragnatela di pensieri.

Abbiamo scelto il personalismo quale filone conduttore e criterio orientativo perché non è una ideologia ma un modo plurale di pensare e di agire concentrato sulla persona, soggetto che oggi è messo in discussione e che molti pensano superato, antiquato; così pensano che l’unica prospettiva sia quella dell’individualismo libertario, edonista e relativista. Per noi la persona è relazione, è capacità di riconoscersi nel volto dell’altro. Vorremmo che la politica, il sociale e l’economico cogliessero la complessità e la ricchezza di volti che si riconoscono e che rilevano le fragilità proprie dell’umano.

Siamo oggi al centro di una quadruplice crisi: economica, sociale, politica e culturale. Essa richiede un profondo ripensamento degli schemi che fin qui hanno caratterizzato il nostro impegno pubblico nel sociale, nell’economico e nel politico. Crisi di valori, indebolimento delle speranze, trionfo degli interessi particolari rispetto al bene comune sembrano essere i paradigmi della modernità post-ideologica, quasi che la fine delle grandi narrazioni avesse reso inutile un orizzonte d’ideali.

Di fronte a tutto questo, alle debolezze della politica, ai ripiegamenti corporativi di parte del sociale, riteniamo utile che nascano in ogni parte d’Italia gruppi di riflessione, ricerca, incontro e proposta. L’obiettivo è contribuire con le nostre modeste forze a costruire una società in cui nessuno sia straniero per l’altro e in cui il rispetto della dignità della persona torni ad essere criterio orientativo e valutativo.

A chi è già impegnato nel sociale, in politica, nelle amministrazioni locali non chiediamo di abbandonare i luoghi del loro impegno. Chiediamo uno sforzo di estensione.

Viviamo in una società sempre più complessa da tutti i punti di vista: tecnologico, scientifico, comunicativo, economico. E’ sempre latente il rischio che ognuno di noi si perda e si consegni alla semplificazione di cui oggi fa uso gran parte del dibattito politico. Serve invece un pensare che sia in grado di comprendere la realtà per impedire discriminazioni e separazioni.

Da qui l’esigenza di tessere una rete di amicizie, di piccoli gruppi e di persone che si sobbarchino il compito di seminare idee e proposte senza pensare al tornaconto. Dobbiamo stare nei processi e contribuire all’emergere di un nuovo tessuto culturale attento alla dimensione della persona, dei suoi diritti e doveri e della sua dignità.

Non pensiamo per il momento a una struttura organizzativa, ma a tanti piccoli gruppi che si collegano formando una costellazione personalistica che, utilizzando i moderni mezzi della comunicazione, entrano in relazione dinamica e propositiva, si stimolano a vicenda e promuovono momenti di incontro e di scambio.

Il primo obiettivo è costruire gruppi e incontrare persone; in seguito insieme vedremo cosa fare.

Intanto a livello nazionale abbiamo colto i vostri suggerimenti per cui continueremo a proporvi momenti di incontro utilizzando allo scopo “Persona è Futuro”.

Sarà per noi più semplice entrare in relazione con quanti condividono questo percorso se potremo avvalerci delle vostre generalità, dell’indirizzo postale e di quello elettronico.

Grazie a tutti e auguriamoci buon lavoro.

Savino Pezzotta


domenica 4 ottobre 2009

Cambiare gli stili di vita. Come?

E’ ormai evidente che la crisi sta cambiando i nostri stili di vita e ancor più li cambierà nel dopo crisi a seguito delle prevedibili restrizioni nelle politiche di bilancio del vari stati (per recuperare i forti disavanzi accumulati in questa fase).

Ma ci sono dei criteri da seguire per dare una direzione a questo cambiamento?

Benedetto XVI fornisce alcune indicazioni nel capitolo 51 dell’ultima enciclica “Caritas in veritate”.

Dice il Papa: “E’ necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siamo gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi, degli investimenti”.

Soffermandoci, un attimo sul criterio della “comunione con gli altri uomini per una crescita comune”, forse dovremmo chiederci quante volte le nostre scelte riflettano questa esigenza e non soltanto il nostro interesse individuale. E se questo limitarci all’interesse individuale ci soddisfacesse nel breve periodo e ci danneggiasse (molto più) nel medio-lungo periodo del declino del bene comune (che è anche nostro...)?

Che ne dite?

Buona settimana

sabato 26 settembre 2009

Gioco al lotto o finanza speculativa?

A Pittsburg i Grandi del mondo hanno riaffermato la loro intenzione di porre serie regole all’espandersi della finanza speculativa.

Non penso di scandalizzare gli esperti se sostengo (semplificando, ma è necessario) che mentre il compito di una sana finanza è quello di essere un mezzo per convogliare i soldi dei risparmiatori verso il finanziamento delle imprese (e si tratta di un fine eticamente accettabile), l’essenza della speculazione sia quello essenzialmente di “fare soldi” giocando in Borsa, senza rispettare il necessario collegamento fra lavoro e guadagno.

Tale scissione fra questi due aspetti, la rincorsa virtuale (non sostenuta dall’economia reale che si basa sul lavoro di tutti) al sempre maggior guadagno è alla base di quella “bolla” speculativa che ha originato la grave e dolorosa (per chi rimane senza lavoro) crisi attuale.

Bene dunque stanno facendo i Grandi a esprimere la loro volontà di mettere sotto controllo la finanza speculativa.

Ma sono credibili?

Quando i Governi, come il nostro (ma anche le altre Nazioni fanno lo stesso...), prendono soldi dalle tasche dei cittadini con i vari giochi collegati al Lotto (quanti ce ne sono...?), quando adesso inventa un gioco che permette a chi indovina dei numeri di percepire 4.000 euro netti al mese, quando permette che la RAI regali milioni a chi indovina pacchi o risponde a domande insulse e elementari, non stanno forse spingendo i cittadini verso una forma di finanza speculativa?

Occorre, con il nostro esempio, anche con le nostre proteste, richiedere il ripristino del collegamento fra guadagno e lavoro. Il resto sono “chiacchiere”.

Buona settimana

martedì 22 settembre 2009

Una bella notizia

Tanti auguri al mio amico Claudio Cafasso il cui Blog Vigna Clara ha vinto il Premio Baiocco assegnato dal XX Municipio.

Bravo Claudio

sabato 19 settembre 2009

Ogni tanto....

Ogni tanto ci vuole una iniezione positiva dall'esterno.
Ieri al Convegno sul Personalismo, organizzato dal Laboratorio Persona è futuro (http://www.personaefuturo.it) hanno partecipato più di 150 persone, fra cui molti giovani...
Bisogna ancora avere speranza nel futuro.
Dando un pensiero forte e testimoni credibili, le persone rispondono.

domenica 13 settembre 2009

Come produrre il nostro guadagno?

Leggiamo ancora Benedetto XVI (Enciclica Caritas in veritate, paragrafo 21) e poniamoci delle domande.

“. Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà”.

Poniamo un po’ la nostra attenzione sul come produciamo il nostro profitto (o il nostro guadagno).

Noi datori di lavoro e managers rispettiamo i nostri dipendenti e la loro dignità di persone? e concediamo loro i tempi previsti per una serena cura delle loro famiglie e dei loro interessi?

Noi lavoratori rispettiamo gli obblighi di lavoro? vediamo i nostri colleghi come amici e non come avversari con i quali competere per ottenere un stipendio più alto del loro (magari utilizzando comportamenti non troppo lineari)? vendiamo agli utenti e ai clienti i servizi o i beni dell’azienda pensando solo a vendere o tenendo nella giusta considerazione i loro interessi ad un prodotto o a un servizio adeguato?

Noi pensionati sappiamo rinunciare (qualora inutile) ad un lavoro (magari in nero) retribuito, togliendo occupazione ai più giovani?

Noi professionisti sappiamo pensare solo agli interessi dei nostri clienti e non anche al modo di guadagnare di più rispetto a quello che sarebbe giusto?

E così via...

Ne parliamo sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com

Buona settimana

domenica 6 settembre 2009

Buona settimana (carità e intelligenza...)

Talvolta la semplicità e l’umiltà, fondamenti della carità e dello spirito di servizio, vengono confusi, da credenti e non credenti, con l’irrilevanza della studio e dell’uso dell’intelligenza.

Dal capitolo 30 dell’enciclica Caritas in Veritate traiamo il seguente brano:

....« ogni azione sociale implica una dottrina » (74). Considerata la complessità dei problemi, è ovvio che le varie discipline debbano collaborare mediante una interdisciplinarità ordinata. LA CARITA’ NON ESCUDE IL SAPERE, ANZI LO RICHIEDE, lo promuove e lo anima dall'interno. Il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza. Può certamente essere ridotto a calcolo e ad esperimento, ma se vuole essere sapienza capace di orientare l'uomo alla luce dei principi primi e dei suoi fini ultimi, deve essere “condito” con il « sale » della carità. IL FARE E’ CIECO SENZA IL SAPERE E IL SAPERE E’ STERILE SENZA L’AMORE. Infatti, « colui che è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente » (75). Nei confronti dei fenomeni che abbiamo davanti, LA CAITA’ NELLA VERITA’ RICHIEDE PRIMA DI TUTTO DI CONOSCERE E CAPIRE,..... LE ESIGENZE DELL’AMORE NON CONTRADDICONO QUELLE DELLA RAGIONE. ...... C'è sempre bisogno di spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità (76). Andare oltre, però, non significa mai prescindere dalle conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c'è l'intelligenza e poi l'amore: CI SONO L’AMORE RICCO DI INTELLIGENZA E L’INTELLIGENZA PIENA D’AMORE.

Mi pare che ci sia molto da riflettere.

Buona settimana

domenica 30 agosto 2009

Ciao Mario!!

Carissimi,
interrompo i "buona settimana" sull'enciclica per rendere omaggio a Mario Carbone, padre della carissima amica Gilda, partito per l' "al di più" lunedì scorso.

Perdonami Mario, se scrivo di te, la tua naturale e caratteristica modestia ti avrebbe fatto arrabbiare, ora confido nella tua indulgenza.

Mario è stato un "gigante" della fede, della speranza, della solidarietà umana, marito e padre affettuoso ed esemplare, lavoratore indefesso e professionale, ha dimostrato con la sua vita come il seguire Gesù renda l'uomo più uomo.

Ora è nell' al di più tifa per noi insieme a tanti altri amici della sua generazione.
Ora tocca a noi e alle successive generazioni raccogliere il testimone.

Buona settimana

domenica 23 agosto 2009

Ancora dall' enciclica (carità e bene comune...)

Buona settimana a tutti

Il paragrafo 7 dell’enciclica “Caritas in veritate” è molto stimolante perché apre un nuovo campo all’esercizio della carità. Di seguito uno stralcio.

"Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis."

Possiamo notare come questo tipo di carità (poco diffusa, in quanto la carità è soprattutto riferita comunemente al gesto verso la singola persona) apre un ampio spazio di impegno fra credenti e non credenti, per la promozione del bene comune..


martedì 18 agosto 2009

Riprogettare il modello di sviluppo

In un fondo di qualche giorno fa sul Corriere della Sera l’autorevole economista T. Padoa Schioppa metteva in risalto come l’exit strategy dalla crisi non potesse prescindere da un rallentamento delle economie dei Paesi più industrializzati e da una accelerazione di quelli emergenti.

Infatti le politiche espansionistiche messe in atto dai primi (indispensabili per sostenere la domanda durante la crisi ancora in atto) stanno provocando incrementi di disavanzo di bilancio che dovranno essere ripianati. E, a parte funambolerie finanziarie (che si pagano sempre prima o poi a caro prezzo) due sono le politiche fondamentali per risanare i bilanci: a) aumento della pressione fiscale; b) taglio della spesa pubblica.

Nessun governo futuro (di qualsiasi colore sarà) potrà prescindere da questa strettoia; la ripresa dell’economia la potrà attenuare ma non assolutamente eliminare.

Si tratterà di attuarla conciliando la necessaria stretta con la indispensabile equità della stessa, perché, seguendo quanto afferma il Premio Nobel per l’economia A. Sen “il bisogno di equità non è mai così grande come quando si stanno facendo sacrifici”.

Padoa Schioppa evidenzia anche la necessità di metter mano a ristrutturare il modello di sviluppo che non potrà più basarsi su una struttura di base “finanziarizzata” come quella prima della crisi e la cui evanescenza e vacuità ha provocato la crisi stessa.

Questa osservazione non ci può non riportare a quanto dice con forza Benedetto XVI nell’ultima enciclica sulla possibilità di vedere la crisi come “occasione di discernimento e di nuova progettualità”. Il Papa auspica una “riprogettazione globale dello sviluppo” ricordando che “il primo capitale da salvaguardare è l’uomo, la persona, nella sua integrità”.

Aggiunge il Papa che è richiesta “una nuova approfondita riflessione senso dell’economia e dei suoi fini, nonché sul revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.

Riguardo alla globalizzazione, spesso invocata come limite invalicabile alla messa in atto di politiche economiche innovative ed eque, il Papa ricorda che “se si legge de terministicamente la globalizzazione si perdono i criteri per valutarla ed orientarla... Occorre quindi impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria.

Riguardo a ciò che possiamo fare tutti noi il Papa ritiene che sia “necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono, e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”.

Come uomini, come cattolici, come fautori di quel personalismo comunitario richiamato anche dal Papa, non possiamo fare a meno sia di farci profondamente interrogare da queste osservazioni che di adeguare alle stesse il nostro impegno culturale e politico.

Cari saluti.

sabato 15 agosto 2009

Buona settimana (un lavoro decente .... )

Nel paragrafo 63 della Caritas in veritate il Papa parla della “decenza” del lavoro (dove per decenza, frutto forse di una infelice traduzione, si intende “dignità” o “decoro”).

Che cosa significa la parola « decenza » applicata al lavoro? Significa un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa.

Questa della decenza del lavoro è una sfida agli imprenditori affinché la pratichino e ai lavoratori affinché lottino per conseguirla. Una sfida che impegna tutti, credenti e non, sull’unica frontiera della dignità della persona umana.

Ne vogliamo discutere sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com ?

Buona settimana

martedì 11 agosto 2009

Il Personalismo sfocia nell'individualismo?

Come i miei amici sanno, sono stato, sin da quando ero studente universitario e mi accinsi con fatica a leggere E. Mounier e J. Maritain, un appassionato del personalismo comunitario.
Sempre più spesso mi trovo ora mi trovo a difendere il personalismo dall'accusa che esso inevitabilmente sfocia nell'individualismo.
Non è questo il luogo più adatto, né io ho le capacità adeguate, per difendere il personalismo comunitario da questa accusa.
Mi permetto solo una considerazione e una proposta.
Innanzitutto non esiste "il personalismo" come filosofia ma esistono "i personalismi", quello comunitario francese della rivista Esprit che ha, come riferimenti principali, appunto Mounier e Maritain, quello liberale che è nato e prospera vigoroso negli Stati Uniti (vedi l'opera di M. Novak) ma che ha epigoni anche in Europa e in Italia, un personalismo cristiano, uno agnostico ecc.
Per chiarezza, quando io parlo di personalismo intendo far riferimento appunto al Personalismo comunitario.
Di qui la proposta.
Invito coloro che lo accusano di essere solo un prodromo dell'individualismo a leggere "Il Personalismo" di E. Mounier (editrice AVE). E' un testo complesso, direi "tosto" per usare un linguaggio giovanile, ma penso che vi si possano trovare tutte le risposte per chi rifiuta sia il collettivismo che l'individualismo come sistemi orientativi di una società civile umana e ricerca di nuove strade per coniugare le esigenze delle singole persone con quelle della comunità.
Buona lettura!!

sabato 8 agosto 2009

Ancora dall' enciclica (ragione e fede...)

Un’altra bella pagina dell’enciclica “Caritas in veritate” (paragr. 74):

Le scoperte scientifiche.... e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell'immanenza. Si è di fronte a un aut aut decisivo. La razionalità del fare tecnico centrato su se stesso si dimostra però irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore. Non a caso la chiusura alla trascendenza si scontra con la difficoltà a pensare come dal nulla sia scaturito l'essere e come dal caso sia nata l'intelligenza. Di fronte a questi drammatici problemi, ragione e fede si aiutano a vicenda. Solo assieme salveranno l'uomo. Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell'illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione, rischia l'estraniamento dalla vita concreta delle persone”

Ne vogliamo discutere sul blog?

Buona settimana

sabato 1 agosto 2009

Iniziamo a parlare di enciclica

Carissimi,

in vacanza ho letto nuovamente, con calma, l’enciclica “Caritas in veritate”, un testo complesso, denso, ma pieno di spunti di riflessione in ogni pagina.

Dedicherò i prossimi buona settimana all’enciclica per stimolarne la lettura.

Tra le diverse chiavi di lettura che possono essere scelte per illustrarne il contenuto, sceglierò quella che parte da una bellissima intuizione di Benedetto XVI che si trova nel paragrafo 75 “oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica..

Mi pare che sia vero. Se non si parte da una corretta concezione della persona umana, tutti i problemi che dobbiamo affrontare e tutte le domande che ci poniamo potrebbero avere soluzioni non pienamente congruenti.

Che ne dite?

Cari saluti a tutti