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sabato 27 febbraio 2010

Lo stress fa bene o fa male?

Uno degli elementi che caratterizza in modo saliente la società attuale, particolarmente (ma non solo) negli ambiti di lavoro, è la presenza dello STRESS.

Mi è rimasta impressa la frase da una Dirigente di alto livello di una società multinazionale, rivolta ad alcuni managers della stessa azienda: “Un po’ di stress renderà i vostri collaboratori più produttivi”.

Leggevo ieri su un libro molto interessante (“Intelligenza emotiva” di D. Goleman) una frase opposta attribuita ad un consulente di organizzazione e direzione aziendale: “Lo stress rende la gente stupida”.

Chi ha ragione fra i due? O hanno ragione entrambi? Ne discutiamo?

Nel frattempo, buona settimana.

venerdì 19 febbraio 2010

Uscita dalla crisi e stile di vita

La FED (Banca centrale degli USA) ha alzato ieri di 0,25 punti il tasso federale di sconto. Parte in America la politica economica di rientro della valanga di denaro immesso nel sistema finanziario per sostenere l'economia durante la crisi.
E nessun politico dice agli italiani che toccherà anche a noi....
Anche in Italia il sistema economico ha ricevuto una forte iniezione di denaro (a fronte di un incremento del deficit pubblico) per sostenere l'economia e limitare i danni (soprattutto occupazionali) della grave crisi finanziaria.
A seguito della mossa della FED, e di quelle successive che ben presto si susseguiranno, fra poco inizierà (dovrà iniziare, qualunque schieramento sia al governo) anche in Italia una politica di drenaggio finanziario per riportare il deficit pubblico sotto un maggior controllo.
Questa politica dovrà necessariamente basarsi o su un aumento delle imposte o su una drastica riduzione della spesa pubblica, o su una combinazione dei due elementi.
Si tratterà per la società civile italiana di un momento di svolta, di una difficoltà da trasformare in opportunità.
Si potrà stringere la cinghia diminuendo uno stile di vita basato su consumi indotti dalla pubblicità (automobili, telefonini ecc.) e ciò potrebbe compromettere la già scarsa coesione sociale e dar vita a forme di disgregazioni e di conflittualità civili già visibili seppur latenti.
Oppure si potrà cogliere l'occasione per cambiare lo stile di vita riscoprendo la bellezza dei rapporti interpersonali ai fini di una maggiore felicità. Non più o non solo consumare beni di possesso (beni il cui possesso da parte di qualcuno necessariamente esclude il possesso da parte di altri) ma anche beni relazionali (beni come il godersi le nostre attrattive paesaggistiche e turistiche magari in compagnia dei familiari) il cui possesso non esclude il possesso da parte di altri, ma anzi ne incrementa il livello di felicità personale.
Ci vogliamo provare?

sabato 13 febbraio 2010

Ragione o emotività?

Ultimamente rimango sempre più sconcertato quando, parlando con alcuni amici (anche di lunga data), li trovo in preda di forti emozioni e incapaci di affrontare seriamente e razionalmente argomenti che meriterebbero un approccio più razionale che emotivo (quali, ad esempio, le scelte di consumo, di spesa e, perché no? Anche quelle politiche).

Mi pare di percepire come la gran parte di queste scelte siano frutto di simpatie personali, di conoscenze pubblicitarie, di rabbia o rancore verso qualcuno.... in pratica frutto di sole emozioni.

Lungi da me vituperare le emozioni, bagaglio necessario del nostro vivere personale e sociale (come vivremmo senza provare amore verso qualcuno o sentire l’amore di qualcun altro?), ma forse occorre anche ridare forza alla nostra capacità di usare la ragione, di fare scelte razionalmente motivate e non dettate dall’istinto e dalle emozioni.

Anche perché quest’ultimo tipo di scelta il più delle volte, invece di essere personale, è invece frutto di manipolazioni esterne mediatiche o propagandistiche.

Mi pare un argomento molto importante, ne discutiamo qui?

Buona settimana

giovedì 11 febbraio 2010

Il dialogo parte dall'ascolto.

Anche oggi la maggior parte dei politici e degli uomini di cultura parla di dialogo, di esigenza di confronto costruttivo, e poi, subito dopo si torna alla lite, al gridare le proprie ragioni, al ridicolizzare quelle dell’altro, talvolta anche all’offesa personale.
Cosa è che non va, perché il dialogo non decolla.
Forse anche noi di Persona è futuro, che facciamo del primato della dignità della persona umana la nostra bandiera, possiamo permetterci qualche riflessione.
Uno dei fondamenti del personalismo è che ogni “persona” non è un oggetto da comprendere e magari catalogare nelle nostre etichette (conservatore, progressista, aperto, integralista, fascista, comunista, berlusconiano, maschilista .....), bensì un “soggetto” di vita, unico, profondo, aperto ad una piena libertà, capace di realizzazione solo nella più intima relazione con le altre persone.
Per dirla in maniera breve ogni persona è un mistero.
Un mistero per sua natura non lo si può capire usando i soliti metodi di comprensione. Lo si può cercare di comprendere entrando in contatto con lui in maniera umile, cercando di eliminare i nostri precedenti schemi mentali, ponendosi in ascolto.
Ecco l’ascolto è la parola fondamentale, il dialogo con le altre persone non può che iniziare dall’ascolto. Se il dialogo cominciasse dal comunicare la nostra (presunta) verità, vorrebbe dire che dall’altro non ci aspettiamo nulla, che già conosciamo quello che vuol dire, che l’altro non è un mistero.
Certo, anche se il dialogo parte dall’ascolto reciproco, qualcuno deve cominciare a parlare. Ma questo inizio deve essere appunto un inizio, un fornire un primo contributo alla ricerca reciproca, un dare un primo materiale abbozzato per ascoltare subito dopo l’altro.
Cosa vuol dire ascolto?
Non vuol dire mettersi a sentire l’altro dando quasi per scontato tutto quello che dirà e pensando solo a preparare la replica.
Non vuol dire neppure cercare di incasellare la posizione dell’altro nei nostri schemi di riferimento in maniera da favorire la nostra comprensione.
Ognuno di noi ha giustamente delle griglie mentali che ci aiutano a immagazzinare le informazioni che riceviamo in maniera strutturata per permetterci poi di riutilizzarle nel modo migliore. Etichette, abitudini mentali, modi standard di comportarsi, pregiudizi sono utili ma non devono diventare mai ostacoli per comprendere compiutamente e integralmente ciò che l’altro ci vuole dire.
La scienza della comunicazione ci avverte che i nostri schemi riferimento ci aiutano certo a capire con maggior velocità ma ci fanno facilmente correre il rischio di incorrere in “distorsioni cognitive”, ossia di inquinare il reale pensiero comunicato dall’altro con i nostri pregiudizi e le nostre riflessioni. E’ come se vedessimo un oggetto con l’uso di occhiali che distorcono l’immagine, noi certo vediamo l’oggetto, ma non come esso è, bensì come ci appare attraverso gli occhiali.
L’ascolto ci impone di metterci di fronte al mistero.
Una persona che vuole veramente ascoltare:
- fa il vuoto dentro di sé,
- non dà nulla per scontato,
- scaccia i propri pregiudizi,
- non pensa a repliche mentre l’altro parla,
- si concentra sull’interlocutore,
- magari, quando la comunicazione dell’altro ha termine, cerca di ripetergliela con proprie parole per verificare di aver compreso bene.
Nella scienza della comunicazione questo tipo di ascolto lo si definisce “attivo” e viene usato (o meglio, è previsto che venga usato) in tutte le professioni in cui il rapporto con l’altro è essenziale (psicologo, conciliatore, negoziatore, magistrato, poliziotto...).
L’ ascolto attivo è difficile, prevede uno sforzo continuo, un allenamento tenace, ma è l’unica modalità affinché il dialogo non sia solo uno scambio di comunicazioni unilaterali, bensì uno confronto reciproco interpersonale.
Anche su questo fronte il pensiero del Personalismo dimostra di non essere vuoto sfoggio culturale, ma aiuto concreto allo svolgersi della vita reale, compresa l’attività politica.
L’impegnarsi sul diffondere la pratica dell’ascolto attivo è un compito essenziale di chi si riconosce nei princìpi di “Persona è futuro" (http://www.personaefuturo.it).