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lunedì 30 agosto 2010

L'Italia nel 2024 (e forse prima....)

Mi ha fatto riflettere il brano di un libro, letto recentemente, dal titolo “Noi” (edizione Rizzoli 2009), scritto da un noto politico italiano.

Il libro narra la storia di una famiglia romana lungo quattro generazioni; l’ultima è posta nel 2024 e alla società italiana di quel periodo si riferisce il brano.

“La famiglia era esplosa , la società aveva spostato il suo baricentro esclusivamente lungo le ragioni e i desideri dell’individuo. I rapporti umani erano diventati funzionali solo all’appagamento del bisogno del singolo. Il bisogno di quell’istante, forse una settimana o un mese. E gli altri erano puramente strumentali a questo obiettivo. La vita e le relazioni fra le persone si consumavano, non si progettavano né si costruivano. Le persone si prendevano e si lasciavano con grande facilità, come in una bulimia degli affetto, Sembrava come con le porte girevoli di un albergo. La vita di ciascuno era sagomata sui propri desideri, non sulla relazione con il prossimo. Tutto era fatto per soddisfare se stessi. Tutto era personalizzato.”

Mi ha dato sollievo comprendere come tutto questo non fosse condiviso dall’autore.

Ma, a prescindere da ogni giudizio appunto sull’autore (non è questo l’oggetto della presente breve riflessione), turba leggere quella che è una immagine più che plausibile di come la società italiana potrebbe trasformarsi nei prossimi anni, anche prima del 2024.

Le direttive di marcia sono chiare e sono ben ravvisabili in chiunque voglia aprire gli occhi e, soprattutto, la mente sul presente. La società “liquida” descritta da Z. Bauman si sta rivelando per quello che veramente è: una società fondata sul potere assoluto dell’io, sulla “egocrazia" (uso questo neologismo, letto recentemente in un libro di Enzo Bianchi, perché mi sembra più espressivo dei più deboli egoismo o individualismo).

Per fortuna la storia non è un progetto scritto in partenza dagli uomini e predeterminato, è una serie continua di eventi che può cambiare corso proprio ad opera di uomini che la pensano in maniera diversa dalla cultura maggioritaria.

Noi di Persona è futuro siamo convinti che occorra rifondare una società basata sul centralità della persona, quest’ultima vista nella sua dimensione di misterioso universo umano che cresce e si realizza nella misura in cui incrementa e consolida le sue relazioni con il prossimo e con il Trascendente (Dio per i credenti, il Mistero per i laici pensanti come Norberto Bobbio),

Occorre in primo luogo ricominciare a pensare, a riacquistare la nostra libertà di comprendere prima e di trasformare poi la realtà.

Su questo rifletteremo nella prossima Assemblea nazionale di Persona è futuro, che si terrà il 9 ottobre, alle ore 15,30, a Roma, in via Cernaia 9 (nei pressi della Stazione Termini) nella Sala dei Certosini.

Dal sito dell'Associazione Persona è futuro http://www.personaefuturo.it/2010/08/30/italia-nel-2024-e-forse-prima.shtml

domenica 29 agosto 2010

Buona settimana (verso l'essenziale...)

Carissimi, il 26 agosto ho compiuto 62 anni, se non mi sento ancora un anziano, sono tuttavia un adulto abbastanza maturo...

Vi confesso che il progredire degli anni mi spinge sempre più a concentrarmi su ciò che è essenziale.

E, a mio parere, il valore più essenziale, sul quale possono convergere, tutti, uomini e donne, giovani e anziani, credenti e non credenti, figli unici e figli di famiglie numerose, è rappresentato dall’AMICIZIA!

Siete d’accordo? No? Aspetto commenti.

Buona settimana

venerdì 20 agosto 2010

Cosa è il dialogo?

Faccio mie alcune frasi tratte dal libro di Enzo Bianchi "L'altro siamo noi" Edizioni Giulio Einaudi 2010:

"Dia-logos: parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio e, di conseguenza, contro la violenza che nasce da una aggressività non parlata, senza dialogo possibile.... E' il dialogo che consente di passare non solo attraverso l'espressione di identità e differenza, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell'altro, non per farli propri bensì per comprenderli.

Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenza allo stesso titolo delle divergenze: il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso un avanzare insieme.

Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate dei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate".

Se vi sono piaciute queste frasi, comprate il libro.

Cari saluti e.... buona settimana


giovedì 19 agosto 2010

Perché Cossiga mi era simpatico...

Ho sempre avuto molta simpatia per Cossiga, sin da quando io ero trentenne e lui giovane deputato democristiano della corrente di Base.

Poi ho avuto sempre più modo di apprezzarlo come uomo libero, come politico non ingabbiabile nel politically correct, come politico cristiano fedele a Cristo ma difensore del carattere laico dello Stato.

Oggi sul Corriere della Sera ho letto un suo scritto sulle sue preferenze di carattere costituzionali e ho scoperto che la pensavo e penso come lui. Quando dicevo queste cose da giovane "borsista" a Scienze politiche a Firenze passavo per fascista, poi ho scoperto 20 anni dopo che c'erano molti fascisti in giro.

Riporto una parte dello scritto di Cossiga dal Corsera odierno: "..Per quanto mi riguarda sono ancora in linea con i risultati della vecchia Bicamenerale presieduta da D'Alema. E cioè Repubblica semi-presidenziale con Presidente eletto direttamente dal popolo, sistema elettorale maggioritario a doppio turno; giudice disciplinare del Magistrati e della legittimità dell'elezione dei Parlamentari; nessun Federalismo reale; netta distinzione tra carriera dei Magistrati e carriere dei Pubblici ministeri".

Lo so che sono in netta minoranza fra i miei amici (specialmente quelli di sinistra) ma permettermi di essere, almeno una volta "cossighiano"!!

Cari saluti a tutti

domenica 15 agosto 2010

Buona settimana (speranza oltre la preoccupazione...)

Carissimi

Un caro amico mi ha chiesto di scrivere, sinteticamente, quali fattori rappresentino, nella mia attuale fase di vita, la maggiore preoccupazione e la più grande speranza.

Posso rispondere che certamente suscita in me un forte timore il graduale ma costante impoverimento che colgo nel linguaggio comune, impoverimento che sta sempre più impattando anche la capacità di elaborare ragionamenti e di fare scelte personali intrise di consapevolezza.

La mia più grande speranza è fondata su una immarcescibile fiducia nelle infinite risorse della persona umana.

Per chi crede che l’uomo sia stato creato da un Dio, infinito e onnipotente, che lo ama immensamente e non lo lascerà mai solo (pur nel rispetto della sua libertà), l’uomo è un essere in continua resurrezione.

Per i non credenti che non rinuncino a pensare (mi viene in mente il grande Noberto Bobbio) l’uomo rimane, nella sua essenza profonda, un sommo “mistero”, non riconducibile alla somma (o al prodotto!!) delle singole parti; e come mistero, non misurabile né prevedibile, ma sempre fonte di possibili, anche stupende sorprese. La storia ne è piena.

La maggiore lunghezza del buona settimana è dettata dalla riflessione che, forse a Ferragosto, avrete più tempo per leggere.

Aspetto i vostri commenti.

Buon Ferragosto e.... buona settimana

sabato 7 agosto 2010

La vita, un rapporto...

In questo periodo di letture e di riflessioni sono rimasto colpito da una frase di David M. Turoldo: “La vita è rapporto. Il male è ogni rapporto non risolto o risolto male.”

Siete d'accordo? che ne pensate?

Buona settimana


mercoledì 4 agosto 2010

Una scelta di campo

L’attenzione della società civile in Italia è, in queste settimane estive, particolarmente attirata dai movimenti in corso nei partiti (rottura fra Berlusconi e Fini, nascita di “Futuro e Libertà”, costituzione di un’area di “responsabilità istituzionale” tra alcune forse moderate).

Senza voler apparire disattenti a ciò che sta avvenendo in politica, forse occorrerebbe che altrettanta, se non maggiore, attenzione fosse posta a ciò che si sta verificando nel campo delle relazione industriali in Italia, soprattutto per iniziativa della nostra più grande industria, la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino).

Si può tentare a grandi linee un riepilogo di quanto è avvenuto.

La FIAT ha praticamene imposto, nello stabilimento di Pomigliano (storicamente affetto da un inadeguato livello di produttività) un accordo sindacale molto innovativo (rispetto alla consueta normativa dei contratti collettivi di lavoro) particolarmente in termini di flessibilità e di controllo della produttività.

Le organizzazioni sindacali (ad eccezione della CGIL/FIOM che ha anche sollevato dubbi non completamente infondati di legittimità costituzionale) hanno sottoscritto l’accordo come male minore e con l’obiettivo di salvare comunque lo stabilimento le cui attività sarebbero state altrimenti dismesse dalla FIAT e delocalizzate altrove (probabilmente al di là delle nostre frontiere). Tale atteggiamento favorevole è stato anche determinato dall’essersi trovate in una posizione svantaggiosa nelle trattative a causa dell’impossibilità di sostenere un atteggiamento dei lavoratori non certo improntato agli obblighi di buona fede e di diligenza nel rapporto di lavoro (vedi i famigerati PRO, ovvero permessi per raccolta di olive o lo spropositato numero di permessi per attività di scrutatore durante l’orario di lavoro.

L’accordo in questione soggetto a referendum fra i lavoratori è stato poi approvato con una maggioranza del 62%, largamente inferiore alle attese.

Si pensava che la storia si fosse così conclusa e che comunque si riuscisse a circoscrivere il caso Pomigliano ed evitare che l’accordo sottoscritto divenisse un precedente per i successivi a livello nazionale.

Sembra che ciò non stia per verificarsi.

La FIAT, preso atto che la stretta maggioranza con la quale era stato approvato il referendum non l’avrebbe garantita da diffuse azioni di rivendicazione da parte della ampia minoranza (1/3 dei lavoratori), con conseguenti disagi sulla continuità della produzione e sul livello di produttività, ha deciso autonomamente una strategia ancora una volta innovativa, se non eclatante.

In primo luogo è stata costituita la Società “Fabbrica Italia Pomigliano” (la quale già nel nome richiama la possibilità di costituire altre aziende omonime modificando solo il nome della località geografica). Tale società, che non parteciperà alla Federmeccanica (confederazione delle industrie meccaniche aderenti alla Confindustria) provvederà a riassumere i dipendenti di Pomigliano della FIAT appositamente dismessi dalla FIAT stessa.

Essendo Fabbrica Italia Pomigliano non aderente alla Federmeccanica, non si applicheranno a tali dipendenti le norme del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, ma solo quelle (meno garantiste) inderogabili delle leggi di Stato e quelle future di un contratto collettivo aziendale che sarà negoziato in posizione di forza da parte aziendale.

E’ prevedibile che il nuovo accordo contenga clausole fortemente limitative dei diritti di lavoratori e un forte ampliamento dei diritti dell’azienda in tema di produttività e di flessibilità, con particolare riferimento allo strumento degli straordinari (magari con un incremento dell’orario di lavoro ordinario) all’utilizzo dei giorni di ferie, alla normativa sulle malattie e indisposizioni, per terminare con le regole su assunzioni, turn over, licenziamenti, mobilità.

Una serie di considerazioni si rendono questo punto necessarie.

In primo luogo ha sicuramente giocato in maniera favorevole alla iniziativa FIAT la assenza pressoché completa di azione della classe politica. Il Governo non procede ormai da mesi alla nomina di un nuovo Ministro dello Sviluppo economico (competente in materia come questa) ed è carente di ogni efficace politica industriale. L’opposizione gioca di rimessa facendo proprie vecchie parole d’ordine sessantottine e continuando a parlare di interventi dello Stato, interventi che presuppongono un aumento della spesa pubblica che, in questo momento di contingenza economica internazionale, non stanno né in cielo né in terra.

E’ inoltre prevedibile che l’esempio della FIAT sarà a breve seguito da una larghissima parte delle aziende italiane e dalla totalità delle aziende multinazionali straniere operanti in Italia. Sarebbe assurdo pensare ad una FIAT le cui aziende “Fabbrica Italia...” potessero in esclusiva godere di una normativa sindacale molto più favorevole di quella vigente nelle altre aziende. E prevedibile che nel breve – medio periodo si perverrà ad una stabilizzazione normativa basata sulla piattaforma concordata per Fabbrica Italia Pomigliano. E’ da rilevare che la Presidente della Confindustria E. Mercegaglia si sta già adoperando per gestire al meglio un futuro che si presenta alquanto turbolento anche per la stessa Confindustria.

C’è ancora da mettere in evidenza che sarebbe assolutamente sbagliato, oltre che razionalmente infondato mettere sul banco degli imputati la FIAT accusandola di muoversi in maniera tracotante senza tener conto della situazione italiana e dei tanti benefici da lei ricevuti in passato da parte dello Stato o, per dirla meglio, dei contribuenti italiani che l’hanno, a vario titolo (Cassa Integrazione, incentivi da rottamazione) aiutata in tempi passati.

La FIAT si sta muovendo in un modo perfettamente conforme alle moderne guidelines industriali in un mondo globale. Per poter reggere la competizione internazionale ha necessità, fra le altre cose, di poter produrre in maniera aderente alle richieste di mercato, con buoni livelli di qualità, a costi bassi. Per fare questo, e reggere pertanto la competitività internazionale, si trovava di fronte due alternativa, o delocalizzare le attività produttive oltre frontiera (Est dell’Europa, Estremo Oriente....) o modificare vigorosamente e radicalmente le modalità normative e produttive in Italia.

Sono state seguite entrambe le opzioni e comunque la seconda ha ancora da dispiegare (dopo Pomigliano) a breve altre conseguenze in situazioni analoghe.

Non si può assolutamente imputare alla FIAT (e alle altre aziende che necessariamente la seguiranno) un comportamento in larghissima parte dettato dalla esigenza di mantenersi competitiva nel marcato globale. Sarebbero state forse auspicabili modalità di condotta e di comunicazione più soffici e diplomatiche, ferma restando la sostanza del contenuto.

Certo il modello di sviluppo economico soggiacente alla visione del mondo industriale globale ha fra i suoi principi fondamentali due che meritano particolare attenzione:

  1. il primato della finanza sull’economia e di quest’ultima sulla politica, e quello conseguente del
  2. primato della remunerazione del capitale (il profitto) sulla componente umana del lavoro.

Sono due principi che come Persona è futuro non possiamo accettare. La nostra, sulla base del pensiero “Personalistico” e della Dottrina Sociale Cristiana deve essere una precisa scelta di campo che restituisca, nel campo economico-finanziario-industriale, il primo posto alla dignità della persona umana.

Non dobbiamo e non possiamo guardare indietro, dobbiamo affrontare le sfide del mondo globale con occhi nuovi.

Come afferma Benedetto XVI nella Caritas in veritate, la crisi economica deve diventare “occasione di discernimento e di nuova progettualità” (par. 21) , occorrerà procedere ad una “riprogettazione globale dello sviluppo” (par. 23). Sarà richiesta una “nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo per correggerne le disfunzioni e le distorsioni” (par. 32), tenendo sempre presente che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità, autore, centro e fine di tutta la vita economica e sociale”.

Avanti pertanto con l’ideazione e l’attivazioni di nuovi e più adeguati strumenti contrattuali tendenti a regolamentare i rapporti di lavoro. Andrà bene accettare maggiore flessibilità, forse anche una certa dose di precarietà (se accompagnata da precise e serie modalità di riconversione per i lavoratori, si renderà pure probabilmente necessario acconsentire ad un ampliamento di tipi contrattuali a fronte dell’ampliamento dei modi di lavoro (es: lavoro mobile e lavoro da casa).

L’essenziale è mantenere fermo il primato della dignità della persona umana di fronte a quelle che, pur restando giuste e irrinunciabili, rimangono pur sempre esigenze di secondo ordine, quali la corretta remunerazione del capitale e il conseguimento di un equo profitto.

Dobbiamo conservare quella che il Papa chiama “la decenza” (ovvero la dignità) del lavoro.

Scrive il Papa: “Che cosa significa la parola « decenza » applicata al lavoro? Significa un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa” (par. 63).

E’ sicuramente una sfida dura, impegnativa, difficile, una sfida che, essendo di natura globale, esige, non solo uno sforzo a livello nazionale, ma un impegno rivolto a raggiungere un coordinamento internazionale a livello non solo di sindacato, ma anche di Stati e di Unione di Stati (il pensiero corre in primis all’Unione Europea).

Urge e riprendiamo le parole del Papa “la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l'osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti” (par. 67).