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venerdì 30 dicembre 2011

Una persona positiva

Carissimi,
per cominciare il 2012 all'insegna del "costruire positivo", vorrei rendere omaggio ad un carissimo amico che si alza ogni mattina con il seguente pensiero: "come posso fare del bene oggi ai miei fratelli?".
Una persona che 20 anni fa (e non era un giovanotto...) scorrazzò con un camion in Croazia, Ucraina, Kosovo, correndo rischi anche per la vita, per portare vestiario e cibo a popolazioni affamate.
Una persona che ha organizzato un servizio settimanale di mensa su base volontariato per i poveri delle stazioni Tuscolana e Ostiense.
Una persona che è solita dire che i confini sono segni sulla carta ma non delimitano l'unica fratellanza umana.
Una persona che dialoga con gli zingari e li tratta come fratelli (anche se non si fa illusioni su una rapida integrazione...) e che ha avuto il coraggio di portare tre vescovi schizzinosi in un campo rom.
Una persona che spesso va avanti al Movimento di cui fa parte (e che talvolta mal lo sopporta), ma che poi costringe questo stesso Movimento a seguirlo e a farsi bello con le sue iniziative.
Una persona della cui amicizia sono fiero.
Grazie Dino Impagliazzo (anche se non sei un mio lettore!), cercherò di fare 1/100 di quello che fai tu.
Buon gennaio 2012 a tutti

mercoledì 30 novembre 2011

Una sorpresa da una zingara

Qualche giorno fa, camminavo per andare ad un appuntamento, quando ho incrociato una zingara che chiedeva elemosina all’angolo di una strada.

Ho sempre sofferto per una situazione di disagio e, diciamolo pure, di ripulsa verso gli zingari, che risale agli anni della mia infanzia.

Mentre mi rivolgeva la mano per l’elemosina, mi sono ricordato dell’impegno preso durante la mia ultima confessione ad Assisi, quello di cercare di non lasciar passare inosservato alcun povero tenendo conto di quello che diceva S. Francesco “chiunque ti chiede l’elemosina è povero in quanto la chiede, anche se non lo è realmente”.

Ho messo mano al portamonete, ho preso la monetina più piccola, di 20 centesimi (si trattava pur sempre di una zingara...) e gliel’ho data continuando a camminare.

Pochi metri e mi sono sentito chiamare “signore, signore”; voltandomi ho pensato “sta a vedere che non è contenta dei 20 centesimi e vuole che aggiunga qualcosa”.

Invece.....voleva avvertirmi che, tirando fuori i 20 centesimi, mi era caduto per strada.. 1 euro!!

Ovviamente a questo punto gliel’ho lasciato, ringraziando il Signore per due grazie. La prima di avermi “strapazzato” dai miei schemi mentali per farmi capire che gli zingari sono fratelli, la seconda per avermi donato, in un momento in cui talcolta faccio fatica a coltivare speranza per il futuro, a darmi un segno positivo di Speranza.

sabato 26 novembre 2011

Una storiella....ma chi ha orecchie per intendere intenda!

Vi sottopongo, per comune valutazione, una storia familiare.

Ho due cugini di primo grado, una donna e un uomo, la prima si chiama Angela, il secondo Mario.

Angela è una onesta e seria lavoratrice, paga tutte le tasse perché le considera un obbligo verso la sua comunità nazionale, si concede vacanze serene ma sobrie, insegna ai figli le virtù dell’operosità e della diligenza negli studi, ama risparmiare un po’ di quello che guadagna, si dimostra più legata ad una spiritualità sociale di tipo protestante (una persona è libera, ma se usa male la sua libertà e sbaglia deve pagare il suo errore) piuttosto che cattolica (una persona è libera ma se sbaglia e si pente forse vale la pena di perdonarlo).

Non posso negare però che Angela sia alquanto noiosa con la sua serietà e talvolta con la sua presunzione di poter dare sempre lezioni agli altri, non racconta mai una barzelletta e riesce a ridere serenamente solo dopo aver bevuto un bel boccale di birra.

D’altra parte è una persona pienamente affidabile, coerente con i suoi principi, che programma il suo presente con lo sguardo sempre rivolto al futuro. I parenti hanno fiducia in lei, sanno che nei momenti di crisi può essere la persona che permette loro di superarla.

Mario è fondamentalmente buono e onesto, ma il suo spiccato individualismo lo porta a privilegiare l’aspetto piacevole della vita.

Lavora con l’ottica più portata ad aspettare il giorno dello stipendio che ad accrescere la sua produttività al servizio del bene comune, gli piace divertirsi e si concede vacanze anche costose, insegna ai figli a studiare quanto basta ma soprattutto ad essere abbastanza furbi da ottenere la promozione con il minor sacrificio possibile, evita (con modi più o meno leciti) di pagare tutte le tasse e questo gli permette di avere qualche risparmio.

Ama essere creativo, per questo non gli piacciono i lavori di routine, sogna sempre di diventare imprenditore e manager e di riuscire a mettere a frutto al massimo grado le sue doti innegabili di fantasia e di capacità innovativa.

Affronta benissimo le emergenze ma guai a chiederli di prevenirle con una attività di gestione serie e continuativa.

Anche se non va a Messa tutte le domeniche (anzi..) ama della spiritualità cattolica il primato dato al perdono (soprattutto gli piace l’episodio del buon ladrone che, dopo una vita non esemplare, “ruba” il Paradiso all’ultimo istante).

E’ molto piacevole stare con lui, ama le barzellette e le sa raccontare in modo quasi unico, è un compagnone e l’animatore dei pranzi di famiglia durante le feste. Se qualcuno dei parenti vuole rialzarsi il morale gli chiede subito un appuntamento per incontrarsi.

Non ama molto pensare al futuro e per questo, poiché i risparmi non gli permettono di finanziare il suo stile di vita troppo elevato, spesso accende debiti, magari pagandoli con altri debiti, Ogni tanto vende qualche bene di famiglia per pagare quelli maggiori, ma si guarda bene dal diminuire lo stile di vita.

Purtroppo una fase prolungata di crisi economica mette Mario con le spalle al muro. I suoi creditori gli chiedono di pagare i suoi debiti con puntualità e lui non riesce ad avere nuovo credito se non a tassi di interesse molto elevato.

A questo punto Mario, con la sua fantasia e creatività, ha una idea che ritiene essere geniale.

Se gli altri familiari, e in particolare Angela (con la quale è comunque pure indebitato), accettassero di garantirsi l’un l’altro, tutti potrebbero ricevere credito con più facilità in quanto i debiti sarebbero garantiti dal patrimonio comune. Si è anche inventato (fantasia irrefrenabile!!) uno strumento finanziario per concretizzare questa idea, i “family bond” ovvero obbligazioni emesse dalla famiglie e garantiti dal patrimonio comune familiare.

Angela però non è d’accordo. Anche lei ha qualche problema di liquidità, ma mantiene intatta la sua affidabilità, basata sulle caratteristiche di laboriosità e di capacità di sacrificio. Non capisce perché il suo patrimonio personale, accumulato con tanto impegno debba servire a garantire i debiti di Mario che invece si è comportato con molta leggerezza.

Però anche Angela sente i vincoli familiari e propone a Mario una via di uscita, lei è disponibile a contribuire alla nascita dei “family bond” ma prima Mario dovrà dimostrare con i fatti di aver cambiato il suo stile di guida, magari affidando agli altri parenti il controllo sulla gestione dei suoi soldi.

Mario dichiara di essere disponibile a cambiare (in diminuzione) il proprio livello di vita ma adesso non ha tempo, i debitori incalzano ed è necessario emettere i family bond.

Angela però non cede, si ricorda tutte le promesse non mantenute da Mario, i beni di famiglia venduti senza che lui però avesse cambiato il suo stile di vita, non si fida più. Vuole un sacco di bene a Mario, il cugino buono e simpatico che le mette tanta allegria, ma non può mettere a repentaglio il futuro dei suoi figli per garantire Mario. Prima lui cambi vita e metta sotto controllo i suoi soldi, poi lei sarà bene lieta di contribuire ad emettere i family bond.

Secondo voi come andrà a finire?

mercoledì 23 novembre 2011

Si chiude l'esperienza dei buona settimana

Carissimi, ho deciso di chiudere, dopo 11 anni, l’esperienza dei “buona settimana”.

Innanzitutto perché non riesco più a tenere la cadenza temporale settimanale, in secondo luogo perché sto perdendo il carattere positivo che li ha sempre contraddistinti.

La mia maledetta (o forse benedetta...) razionalità non mi fa vedere nulla di buono per il prossimo futuro per l’Italia e l’amata (sin da ragazzo) Europa.

E’ vero, ne sono convinto (e la mia Fede in Cristo re della storia mi aiuta) che questa è una epoca di grandi opportunità, non solo di miglioramento economico, per aree emergenti, come alcune nazioni orientali, africane e sudamericane. Non si può giudicare il mondo con una ottica ferma sull’Europa o, peggio, sulla sola Italia!

Se si esamina la situazione in una prospettiva globale il graduale e, nel breve periodo, irreversibile peggioramento civile ed economico in Europa è più che compensato da miglioramenti nel resto del mondo.

Ciononostante non riesco più ad emanare con naturalezza quella positività che era una mia dote naturale e i “buona settimana”, primi frutti di questa positività, non fluiscono più come prima.

Troverò altri modi per restare in contatto con voi, il primo dei quali rimane il mio blog http://giuseppesbardella.blogspot.com

Se ci riesco, vedrò anche di pubblicare quelli che, a mio parere, sono stati i miei commenti più interessanti.

Comunque non è un addio (non nel mio stile) ma solo un arrivederci sotto altre forme, la vita non finisce ma ci trasforma continuamente.

Ciao a tutti

domenica 13 novembre 2011

Buona settimana (guardare avanti!)

Ieri sera Padre Sorge a Roma: "è nei momenti bui che è importante la presenza dei cristiani, luci che illuminano le tenebre, non nei momenti belli. Bando ai pessimismi e agli sconforti, guardare avanti, guardare aventi con speranza e impegno indomito."

Grazie Padre Sorge, ne avevo proprio bisogno, grazie S. Ignazio per averci donato i Gesuiti!

Buona settimana a tutti i lettori del blog

lunedì 7 novembre 2011

Un nuovo tessuto collettivo nazionale

Più volte e con varie modalità si è ribadita, con articoli sul sito di Persona è futuro (http://www.personaefuturo.it), la tesi che la crisi attraversata dalle Nazioni europee, in particolare quelle del Sud Europa, è morale e culturale prima di essere economica.

Tale crisi non può essere superata con misure tecniche, pur avvedute e appropriate, di natura economica o finanziaria, ma solo con un cambio profondo di mentalità e di stile di vita.

Venendo oggi alla nostra Italia, ci rendiamo conto di quanto possa essere condivisa, anche da chi cristiano non è ma non abbia rinunciato all’uso della retta ragione, la battaglia di Papa Benedetto XVI contro il relativismo etico.

Quest’ultimo si presenta come la versione aggiornata di quella filosofia nichilista che sta alla base anche di altri pensieri come il positivismo, il pragmatismo, e anche, sul piano dei modelli economici, del turbo-capitalismo di tipo americano.

In poche parole (chi vuole approfondire il tema, ben può trovare altri studi su Internet stesso) il nichilismo si può ridurre a quella concezione di vita secondo cui nulla ha veramente valore se non il proprio io a livello materiale (il proprio corpo, la materia cerebrale, l’emotività vista come conseguenza di reazioni chimiche innescate da sostanze presenti nel corpo...).

Sul piano del comportamento questa filosofia porta a vivere cercando di soddisfare al massimo i propri interessi personali rispettando l’altro solo nella misura in cui l’altro si ribelli ai nostri atti rivendicando, a sua volta, il proprio rispettivo diritto di perseguire il suo interesse personale. E’ questo il relativismo etico, richiamato da Benedetto XVI, che non riconosce alcun valore al di fuori di se, che vede il proprio io come punto di riferimento esclusivo ed assoluto di ogni azione.

Questa filosofia, questa cultura, introdotta in una popolazione individualistica come quella italiana, ha innescato e continua a produrre una miscela socioculturale distruttiva di ogni possibilità di sana convivenza sociale.

Sociologi ed economisti attuali, di ogni provenienza nazionale e culturale (Fukuyama, Layard, Zamagni, Sen...) hanno messo in evidenza come valori come la fiducia reciproca, la responsabilità di un destino comune, il rispetto di alcuni diritti fondamentali, siano elementi indispensabili per uno sviluppo equilibrato e continuo di una società.

Occorre ricostruire, in Europa e particolarmente in Italia, un tessuto collettivo nazionale, di ordine primariamente morale e culturale, fondato su valori condivisibili anche sulla base della retta ragione.

In Italia quei valori non esistono più (purtroppo) in gran parte della popolazione ma esistono e sono chiaramente indicati negli articoli della nostra Costituzione repubblica.

Il diritto alla vita e alla libertà personale, di associazione, di riunione, la libertà religiosa, quella educativa, il diritto alla salute, ad un ambiente sano, il ripudio della guerra, la riaffermazione della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, il diritto alla rimozione di tutti gli ostacoli socio-economici che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, il diritto di impresa e di proprietà privata, insieme ai correlati dovere di carattere sociale (dovere del lavoro, di pagare le imposte, di partecipare con varie modalità alla vita politica, di tenere presente la funzione sociale delle attività economiche private) sono i fondamenti che i nostri Padri Costituenti pensarono e stabilirono per una corretta ed equilibrata evoluzione della società italiana.

Sono questi i valori inseriti nella Costituzione, specialmente ad opera dei Costituenti di ispirazione cristiana (Mortati, La Pira, Dossetti, Fanfani, Moro,Vanoni...) allievi in maggioranza Università Cattolica di Milano e della FUCI di G. B. Montini, futuro Paolo VI, grande Papa, purtroppo poco comunicativo, al quale gli studi futuri riconosceranno il giusto posto nella storia d’Italia e il giusto contributo alla crescita della società italiana.

Sono questi i valori che i cristiani italiani dovranno porre alla base dell’impegno politico il cui desiderio sta rinascendo nella loro coscienza comune, valori che possono essere ricondotti a due fondamentali princìpi della Dottrina Sociale Cristiana: il primato della dignità della persona umana e il primato del servizio al bene comune nello svolgimento della attività politica.
E’ compito di tutto il popolo italiano, ma soprattutto delle generazioni di adulti e giovani cristiani, ricostruire, sulla base di questi valori, un tessuto collettivo nazionale di ordine morale e sociale.

Sarà duro, sarà impegnativo, perché si tratterà di andare continuamente controcorrente e di pagare spesso di persona, ma è una sfida affascinante e, a medio termine, sicuramente vincente perché rappresenta l’unica alternativa ad un declino inarrestabile che nessuno ragionevolmente vuole raggiungere.

Persona è futuro (http://www.personaefuturo.it) sarà sempre impegnata su questa linea.

domenica 16 ottobre 2011

Date a Cesare quel che è di Cesare...

Volentieri pubblico sul blog questa omelia di Padre Armando Spadaro SJ relativa alla lettura del Vangelo della S. Messa odierna.

Cari amici, il Vangelo di oggi ci chiede di «dare a Cesare quel che è di Cesare» e di «dare a Dio quel che è di Dio». Che cosa significa questa espressione che conosciamo molto bene perché è diventata quasi un proverbio?

Al tempo di Gesù si era consolidato in Giudea il dominio politico di Roma. L’imposta da pagare in moneta romana ne era il segno tangibile. Il fatto però sollevava perplessità. La questione non riguardava solamente il fatto di accettare la dominazione romana o meno, ma aveva anche risvolti religiosi. Il dominio dell’imperatore in alcun modo doveva mettere in dubbio il riconoscimento di Dio come esclusivo signore del popolo di Israele. Le ideologie orientali, come quella egiziana, ad esempio, consideravano il re come dio.

Gesù qui intende riaffermare una cosa semplice: Dio è Dio, cioè solo Dio è Dio. A ogni altro potere è tolta ogni pretesa di assolutezza e di divinizzazione. Dio «ha rovesciato i potenti dai troni», infatti. Ma proprio per questo a Dio va dato «ciò che è di Dio», e non… altro! Devo chiarire meglio per evitare facili confusioni.

Dire che Dio è Signore della vita, è il Signore di tutto, non significa che dobbiamo aspirare a una teocrazia dove il potere ecclesiastico o «divino» sia la soluzione di tutti i problemi. E’ «di Dio» l’adesione totale ed esclusiva delle nostre persone, del significato della nostra vita, delle nostre «radici» profonde. Ma c’è una sfera «politica» che Dio affida all’uomo. L’Apocalisse, ad esempio, è chiara nella denuncia di un «potere divinizzato». Nessun potere umano è divino, e dunque esso ha un ambito di autonomia che richiede discernimento, pazienza, saggezza, partecipazione…

D’altra parte Gesù invita i suoi interlocutori a guardare l’immagine impressa nella moneta. Di chi era? Di Cesare. E l’uomo non è stato creato a immagine di Cesare. Ma è stato creato a immagine di Dio.

E l’uomo oggi invece si inganna perché crede di essere a questo mondo a immagine di Cesare. O meglio: crede che quella sia la sua vera immagine: l’immagine del potere, del successo, dell’imperio, del profitto, del guadagno. E’ ridicolo. In questo modo oscura e dimentica Dio e dimentica che è stato creato a sua immagine.

Tutte le volte in cui la politica, l’economia, la giustizia vogliono fare il bene dell’uomo rispondono alla chiamata di Dio e rispondono anche all’appello di «dare a Cesare ciò che è di Cesare».

Tutte le volte in cui la politica, l’economia, la giustizia vogliono invece presentarsi come la «salvezza» dell’uomo, allora diventano supremi inganni davanti ai quali Gesù dice: «date a Dio quel che è di Dio». E la salvezza è di Dio.

E questa visione ci libera da due tentazioni: lo spiritualismo che ci fa dire: Dio è tutto e il resto non vale nulla; e la teocrazia che ci fa dire che Dio deve essere imposto dovunque, e che il sacro deve dunque diventare potere politico.

La prima lettera ai Tessalonicesi, cioè la seconda lettura di oggi, ci offre il senso del giusto equilibrio quando parla della «operosità della vostra fede» (nel latino della vulgata suona come opus fidei) e della «fermezza della vostra speranza» (in latino sustinentia spei, ma in greco alla lettera: la «pazienza della speranza»).

La fede è operosa nel mondo, spinge a operare, richiede l’opus fidei. Dice Ignazio di Loyola: «l’amore si dimostra più nelle opere che nelle parole». E la lettera di Giacomo ci dice che la fede senza le opere è morta. Anche l’opera politica è uno dei frutti della fede, cioè è chiamata ad essere opus fidei. Se la fede non fruttifica nell’impegno resta senza frutto.

D’altra parte la speranza deve essere ferma in Dio, deve essere anzi «paziente» in Dio perché sappiamo che il nostro agire politico troverà in Dio il suo compimento e il suo significato. Il nostro agire, l’agire del cristiano è contrassegnato, marchiato a fuoco con la pazienza. Il cristiano sa che nessun potere umano è quello definitivo, ultimo, quello che salva. Sa che la sua salvezza è «di Dio» e non «di Cesare». E questa pazienza nella speranza significa dunque attesa, vivere le contraddizione, negoziare decisioni, sapere che bisogna aprire un dialogo vero anche con chi non la pensa come noi. Questa è la sustinentia spei.

Ed è questo che comprendiamo leggendo la prima lettura di oggi. Qui è Dio che parla a Ciro, re pagano, che si accinge a conquistare Babilonia e a permettere al popolo d’Israele di tornare nella sua terra. Qui è Dio che «rende pronto all’azione» il re Ciro, anche se, dice Dio, «tu non mi conosci». E Ciro infatti è un re pagano.

Dunque Dio non comanda, non agisce, non domina politicamente, ma «rende pronti» ad agire. Accinxi te, traduce la Vulgata, dal verbo accingo che in latino indica il cingere la spada al fianco in maniera che sia pronta all’uso. Dio ci rende pronti all’azione, ma l’azione è nostra. Siamo noi chiamati a spenderci con prudenza, sapienza, intelligenza, apertura mentale e cordiale. Siamo chiamati a essere noi stessi, non burattini di un Dio che ci manovra o che ci dispensa dall’obbligo dell’impegno di comprendere e discernere che cosa è meglio fare per la giustizia in questo mondo, per riconciliare potere e diritto.

Occorre, come ha detto il Papa la parlamento tedesco, «tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra e imparare a usare tutto questo in modo giusto». E’ compito nostro, è il compito della «politica».

Come ha ricordato il Papa in quel discorso, al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiede il giovane sovrano? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo. Domanda invece: «Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3,9).

Allora chiediamo a Dio che ci renda pronti all’azione, ci renda capaci di dar frutto distiguendo il bene dal male, ma anche di aver pazienza perché sappiamo che Lui e nessun altro, nessun Cesare, è il nostro Signore.

Omelia del Padre Antonio Spadaro S.J. del 15/10/2011

lunedì 10 ottobre 2011

Luigino Bruni sulla morte di Steve Jobs

Volentieri pubblico questo pensiero del Prof. Luigino Bruni a commento della morte di Steve Jobs.

Giovedì 06 Ottobre 2011 14:50

Il fondatore di Apple e Pixar ci ha lasciati oggi all’età di 56 anni

Nostalgia di futuro. Il messaggio di vita di Steve Jobs

di Luigino Bruni

Sono soprattutto tre i grandi messaggi che questo straordinario uomo ci lascia.

Il primo: le grandi innovazioni in economia sono sempre legate alle persone: non sono i capitali, i soldi, le tecnologie: sono le persone che fanno le grandi innovazioni: Steve Jobs è stato capace di fare cose grandi cose perché era una grande persona, non perché aveva grandi capitali e mezzi. Questo ci ricorda che l’economia va avanti quando ci sono persone che guardano più lontano, vedendo cose diverse. Le grandi innovazioni nascono da sguardi diversi sul mondo, e quindi dalle persone.

Il secondo messaggio che ci lascia Steve Jobs è che non è vero che le imprese sono di successo quando rispondono a dei bisogni dei consumatori: questa idea che le imprese ed i loro prodotti debbano rispondere ai bisogni delle persone è un po’ scolastica, statica, e soprattutto non è vera per le innovazioni davvero importanti: nessuno aveva bisogno dell’Ipad e dell’Iphone. Steve Jobs con la sua azienda li ha creati prima che diventassero bisogni, ha inventato dei simboli ed ha creato dei sogni, dei messaggi, degli stili di vita. Le grandi imprese che fanno innovazioni vere sono in grado di fare qualcosa che nessuno pensava prima, che nemmeno era fra i bisogni inespressi. Un imprenditore come Jobs ha “visto” qualcosa e poi ha fatto in modo che la realtà diventasse ciò che lui aveva visto prima: è qualcosa che i veri imprenditori hanno in comune con i grandi artisti o i grandi scienziati.

Il terzo messaggio che ci lascia Steve Jobs a mio avviso è un grande inno alla vita: se guardiamo le ultime cose che ha detto “gli anni più belli e più brillanti sono davanti a noi, non alle nostre spalle.. ”. Era un uomo molto malato, stava morendo, eppure guardava avanti . Ai giovani diceva: “siate sempre affamati di vita”: le persone grandi, capaci di cose grandi, non sono mai nostalgiche, guardano sempre più lontano e pensano che il futuro è migliore del passato anche nei tempi di crisi: sono capaci di grande ottimismo e di aggregare intorno a questo ottimismo grandi progetti. Anche oggi gli imprenditori che muovono il mondo sono imprenditori ottimisti, capaci di futuro, convinti che “il più bello debba ancora cominciare”.

In sintesi Steve Jobs ci fa vedere che le grandi innovazioni economiche diventano anche grandi innovazioni civili: i suoi prodotti e la filosofia che vi ha messo dentro, hanno cambiato la vita delle persone, il rapporto con lo spazio, con la musica, la creatività. Sono stati molto più che “buoni prodotti“, hanno spostato in avanti le frontiere ed i paletti della vita civile. Ogni innovazione grande è sempre una innovazione civile che aumenta la libertà, le opportunità, la capacità delle persone. Egli ci ricorda che l’economia è vita, che l’impresa è un brano di vita in comune che funziona quando è espressione di creatività, di passione, di voglia di futuro: niente di più, ma neanche niente di meno che vita.

Credo che Steve Jobs sia un bellissimo modello di imprenditore civile che fa una economia per il bene comune, un’economia che proprio perché è veramente innovativa è amica della città, della gente. Senza questo tipo di imprenditore non si dà bene comune. Ecco perché Steve Job ci lascia una struggente nostalgia di futuro.

sabato 8 ottobre 2011

Buona settimana (la forza della mitezza)

Carissimi,

anche per questa settimana mi faccio tener compagnia da alcuni pensieri del Cardinal Martini.

“Mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni interpersonali non ha luogo la costrizione o la prepotenza ma è più efficace la passione persuasiva, il calore dell’amore.

Mitezza è la capacità di credere nella forza trasformativa dell’amicizia.

La mitezza si oppone ad ogni forma di prepotenza materiale e morale; è vittoria della pace sulla guerra; è vittoria del dialogo sulla sopraffazione.”

Siete d’accordo? Eventuali commenti sul mio blog http://giuseppesbardella.blogspot.com

Buona settimana a tutti

sabato 1 ottobre 2011

Buona settimana (la sobrietà, un virtù moscia?)

Carissimi,

Spesso abbiamo della sobrietà un concetto sgradevole, qualcosa di piatto, moscio, incolore...

Il Cardinal Carlo M. Martini, grande maestro sia per i credenti che per i non credenti la definisce (vado a memoria) come la lucidità nell'individuare e capire i reali beni della vita e nell'ordinarli secondo una corretta scala di priorità.

E allora vivere in modo sobrio diventa intrigante, controcorrente, affascinante, vogliamo provarci?

Voi che ne dite? esprimete il vostro pensiero, se volete, sul mio blog http://giuseppesbardella.blogspot.com

Buona settimana a tutti

sabato 24 settembre 2011

Bene comune a partire dal bene personale?

Ho impressione che tutti in Italia, anche i Cristiani, parlino di bene comune ritenendo che si persegua quest'ultimo solo a partire dal proprio bene personale.
Forse è utile rileggere quanto ci dice il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, che ci offre una indicazione concreta: "il bene comune... è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio” (Compendio par. 167).
Buona settimana a tutti.

venerdì 2 settembre 2011

Buon settembre (ricominciamo!!!)

Carissimi, ho interrotto per un mese e mezzo il “buona settimana” perché.... non avevo niente da dirvi!!
La mia ragione, i miei pensieri mi portavano al pessimismo circa il futuro e allora a che pro inviare il mio testo che è stato sempre caratterizzato da positività ed entusiasmo?
Poi mi sono ricaricato, ho lasciato più spazio all’emotività, ho ripreso ad appassionarmi ai miei amori di sempre (a parte Patrizia), l’amore alla vita, l’amore alle persone.
E allora, nonostante un agosto turbato da un decesso e da malattie di familiari, ricominciamo a “costruire positivo”.
Buon mese di settembre a tutti.

domenica 28 agosto 2011

Tutto prevedibile....o quasi..

Il mondo occidentale è nel pieno di una ampia crisi economica e finanziaria, che l'ha praticamente colto di sorpresa. Ma è veramente tutto così sorprendente?

Per capirne di più è forse opportuno porci due domande.


La prima è: cosa vuol dire che una Nazione ha un pesante debito pubblico? Vuol dire, come succede anche nel caso delle famiglie, che ha dovuto contrarre debiti perché non era in grado di far fronte alle spese con il proprio reddito abituale. Vuol dire, in termini macroeconomici, che ha vissuto, e forse sta vivendo, consumando più di quanto sta producendo.

La seconda domanda è: cosa è la speculazione finanziaria? Scopo classico, legittimo ed utile, della finanza è la raccolta dei soldi dei risparmiatori per indirizzarli (tramite l'acquisto di azioni, obbligazioni o titoli misti) verso le necessità di investimento di aziende private o pubbliche, nazionali o internazionali. Le operazioni speculative, invece, prescindono completamente da questo scopo; sono operazioni che si esprimono in artifici o altri strani meccanismi che permettono di accrescere i propri soldi senza portare alcun beneficio concreto all'economia reale.

Due classici esempi di speculazione si hanno: 1) quando si vendono al prezzo N alcuni titoli senza averne il possesso (prevedendone il calo di valore) per poi riacquistarli a breve ad un prezzo minore di N e lucrando sulla differenza fra i due prezzi; 2) quando si acquistano titolo che praticamente consistono in scommesse su un default parziale o totale di una Nazione (c'è che ha guadagnato miliardi di dollari scommettendo sulla perdita della 3 A da parte degli USA. In entrambi questi esempi le operazioni speculative portano al ribasso delle Borse a prescindere dalla realtà concreta dell'economia.


Tornando alla domanda iniziale, possiamo con tranquillità affermare due elementi di fatto:

  1. tutti i Paesi dell'occidente (più marcatamente quelli dell'Europa meridionale) hanno continuato dagli anni '60 ad oggi, a praticare politiche keynesiane di aumento del debito pubblico, incrementando, senza copertura reale, la spesa pubblica non tanto per l'attuazione di investinenti produttivi necessari, quanto piuttosto per motivi clientelari e elettorali.

  2. Buona parte della ricchezza in possesso delle famiglie, spesso ignare, era originata da investimenti finanziari frutto di operazioni speculative da parte di banche e altri organismi finanziari. Tutto ciò a valle di un mentalità che prevedeca come normale e inevitabile la crescita dei mercati finanziari.

La crisi dei titoli subprime statunitensi dovuta all'impossibilità da parte delle famiglie americane di pagare titoli a tasso crescente sui mutui delle proprie case (titoli a rischio altissimo che le banche avevano disperso su miriade di risparmiatori “impacchettandoli” in loro obbligazioni) ha funzionato da detonatore di una situazione di crisi.

Ma era prevedibilissimo che la crisi sarebbe prima o poi scoppiata. Non si può vivere per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità, prescindendo completamente dai dati reali del reddito conseguito a fronte del lavoro prodotto.

E' una responsabilità piena della maggioranza degli economisti e di tutta la classe politica occidentale aver chiuso (forse anche dolosamente) entrambi gli occhi su questo sbocco inevitabile.


Occorre aggiungere come concause della crisi ancora almeno altri due elementi.

Il primo il declino demografico dei Paesi occidentali. La bassa natalità ha provocato una diminuzione della base produttiva e della domanda di beni di consumo solo parzialmente supplita dalla massiccia immigrazione da Nazioni più povere.

Il secondo la competizione con i Paesi emergenti asiatici che, fino a 30 anni, fa si limitavano a copiare i nostri prodotti e a rivenderceli a minor costo (ma anche con minori funzionalità). Oggi la crescita della cultura tecnologica in quelle aree permette a quei Paesi di produrre, a basso costo, prodotti tecnologicamente perfetti e di venderli nei nostri mercati. Ormai è solo parzialmente vero che la maggior parte di quei prodotti esce da fabbriche là localizzate da multimazionali occidentali, mentre è vero che cresce la quantità di prodotti che escono da fabbriche di proprietà asiatiche. I nostri giovani, cresciuti in una atmosfera ovattata e coccolati al massimo, si trovano ora a competere con i giovani asiatici, molto più intraprendenti e tecnologicamente più preparati.

La terza (ma non ultima) concausa della crisi è da ricercare nella iniquità del modello di crescita economica finora praticato. Il vivere al di sopra delle risorse, lo speculare, non fa parte dello stile di vita di tanti saggi padri di famiglia, ma dei pochi (mano troppo...) “arrampicatori”sociali che amano rischiare e arricchirsi sulla pelle degli altri. La forbice tra i più ricchi e i più poveri è andata sempre più allargandosi mentre nel contempi si è ridotta (proprio per la riduzione del reddito dei più) la base della domanda di beni di consumo normale (non di lusso); e questo è sempre il primo passo di una recessione.


Che fare in una simile situazione? C'è la speranza che politici ed economisti sappiano parlare sinceramente alle popolazioni occidentali e dir loro che non ci sono meccanismi economici o finanziari indolori per uscire dalla crisi. E' finita l'epoca della creatività finanziaria e ricomincia l'epoca della economia reale.

Occorre spegnere l'illusione di una crisi passeggera che ci permetterà di tornare al nostro vecchio stile di vita senza cambiare nulla delle nostre precedenti abitudini.


Ma forse sarà meglio parlarne più diffusamente in un prossimo scritto.


lunedì 15 agosto 2011

In cammino..

Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.
Un episodio evangelico sconcertante, una risposta di Gesù («Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele») chiaramente sbagliata. Tutti i Padri della Chiesa, tutti i teologi sono concordi nell’affermare che Gesù è venuto sulla terra, si è incarnato, per la liberazione dal male, per la salvezza di tutti, non solo degli Israeliti.
La maggior parte dei commenti a questo brano mette in evidenza la forza della preghiera della cananea che, con la sia insistenza e (lo dice pure Gesù) con la sua fede, gli fa cambiare idea. Al massimo la risposta sbagliata di Gesù viene considerata come una voluta provocazione per stimolare la fede e la preghiera della donna.

Ma forse questo brano del Vangelo può offrisci lo spunto per altre riflessioni.
Gesù è vero Dio e vero uomo, un mistero insondabile sovrarazionale, ma che può tuttavia essere oggetto di qualche balbettio investigativo.
Il Suo continuo rivolgersi verso il Padre, la preghiera, la durissima agonia nel Getsemani, il grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” sono forti indizi per pensare che Gesù, come Dio Figlio, aveva un rapporto interpersonale, paritario con Dio Padre.
Ma come uomo?
Come uomo la piena consapevolezza della Sua missione, forse la stessa consapevolezza della figliolanza verso il Padre, non sono state chiare sin dalla nascita.
D’altronde l’umanità di Gesù lo ha reso uguale agli altri uomini nella sua maturazione umana e nella crescita culturale e intellettiva. Il Gesù bambino non può avere la stessa “pienezza” (per usare un termine biblico) di quello adulto, l’umanità di Gesù non può non essere cresciuta in lui con l’età anagrafica. Pensare il contrario vorrebbe dire seguire una visione “miracolistica” e disumana per cui il Gesù neonato avrebbe avuto la stessa consapevolezza del Gesù trentenne.
Di qui la risposta certa (o almeno dotata di altissima probabilità) che Gesù, vero Dio e come tale sempre Santo e immacolato, ha avuto una crescita personale umana nell’acquistare la piena consapevolezza della Sua missione.
Il rapporto continuo con il Padre, lo stato di preghiera costante in cui era immerso, erano gli strumenti necessari, a Gesù vero uomo, per comprendere la volontà del Padre, sia quella generale (la propria missione), sia quella del momento presente in cui viveva.
E allora si capisce, in un’altra dimensione, il brano del Vangelo dal quale siamo partiti.
La frase di Gesù ((«Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele») non è sbagliata, ma riflette la situazione, in quel momento, della consapevolezza di Gesù circa la natura della sua missione. Pensava veramente di essere stato mandato per la salvezza solo degli Israeliti.
Viene però stimolato ad un approfondimento sia dalla reazione dei suoi compagni che lo spingono a fare qualcosa, seppur nel modo sbagliato (“mandala via!”), sia dal forte atteggiamento di fede e di preghiera della donna cananea.
Gesù appare e si rivela a noi come una persona in cammino verso la pienezza della consapevolezza su se stessi e sulla propria missione (e vocazione). Tale pienezza sarà raggiunto solo al momento della morte in croce (“Signore, nelle tue mani affido il mio Spirito”, “Tutto è compiuto”...)
Quali le riflessioni personali da trarre dall’insegnamento di questo brano del Vangelo?
La prime è che come Gesù ci si rivela come una persona in cammino, così noi dobbiamo avere la stessa consapevolezza di essere persone in cammino. Altro che presunzione di possedere la verità, altro che pensare di essere arrivati, essere perfetti.
L’esperienza di Gesù ci porta alla comprensione che solo uno spirito di forte preghiera, di intenso e frequente colloquio con il Padre, ci può far guardare avanti e aprire ampi spazi di ulteriore verità
Contemporaneamente occorre avere la forza, la pazienza, di ascoltare i fratelli, i nostri amici (i discepoli) ma anche quelli che vorremmo evitare e che forse ci infastidiscono (la cananea). Il cammino si fa in cordata, o meglio, in comunione, in unità, non da soli...
E forse, oltre a riflettere noi come cristiani, dovrebbe riflettere anche la Gerarchia ecclesiale. Anche essa, se vuole seguire il comune Maestro, non deve sentirsi sempre in possesso di una verità già raggiunta una volta per tutte, bensì sentirsi in cammino.
Anche nel caso della Gerarchia il cammino di maturazione procede sulla base della preghiera e dell’ascolto vero dei propri fratelli, sia i fedeli laici che, perché no? i credenti di altre religioni (la cananea) e forse anche i non credenti.

martedì 9 agosto 2011

Bene comune, ... ma di che parliamo?

Si parla tanto di bene comune. Forse può essere utile riportare, senza alcuna pretesa di essere esaurienti, pochi ma mirati brani sul bene comune tratti da alcuni documenti e da un importante economista (spesso controcorrente).

Si tratta solo di stimolare la riflessione. Ad esempio perché, per chi vuole ampliare la propria conoscenza non andare a leggere quello che scrivono sul bene comune pensatori come Sturzo, Rosmini, Maritain?

Cominciamo con la definizione del bene comune data dal Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, 26):

"l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono nei singoli membri, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più spedito e più pieno della loro perfezione".

Il Compendio della DSC (paragrafo 164) aggiunge:

“Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si rralizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune infatti può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale”.

E al paragrafo 165:

Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri.

E ancora quasi a conclusione (par.167):

Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo, ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.

La Caritas in veritate (par. 7) precisa:

“Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. E’ il bene di quei “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene.

Secondo Stefano Zamagni (L’economia del bene comune”, Città Nuova 2007, pag. 12) “...il bene comune non va confuso né con la somma dei beni privati né con il bene pubblico. Nel bene comune il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di far parte di una comunità non può essere scisso dal vantaggio che altri pure ne traggono. Come a dire che l’interesse di ognuno si realizza insieme all’interesse degli altri, non già contro (come accade per il bene privato) né a prescindere dall’interesse degli altri (come succede con il bene pubblico). In tal senso “comune” si contrappone a “proprio” come “pubblico” si contrappone a “privato”.

sabato 23 luglio 2011

Sono imbufalito....

Stamattina stavo sul treno regionale per Firenze (avrei dovuto scendere a Chiusi) quando, tre minuti dopo l'orario previsto di partenza, ci è stato comunicato che il treno non sarebbe partito. Ovviamente (per grande rispetto della utenza) nessun riferimento ai motivi e comunicazione sibillina che a terra avremmo trovato "materiale" (altro treno? documentazione? persone al nostro servizio?) per poter partire.

Chiaramente il "materiale" non c'era, il prossimo treno utile sarebbe partito dopo tre ore, e sono rimasto a Roma.Mezzora dopo ho dovuto aspettare un quarto d'ora l'arrivo di un autobus, su un pezzo di tratta servito da ben quattro autobus.Mentre stavo alla stazione, a mia moglie viene comunicato che l'automobile (ferma in riparazione presso un'officina della Casa in attesa di un pezzo di ricambio dalla Germania) era pronta per il ritiro (non più tardi di ieri il ritiro era previsto prima per giovedì 28 poi, senza chiaro motivo, per lunedì 26).

Comunque vado a ritirare la macchina, nessuno mi sa dare risposte convincenti sull'anticipo (ben rilevante) di data ma mi dicono che dovrei essere contento. Ritiro la macchina e mi rendo conto che hanno sì sostituito il pezzo di ricambio, ma senza rendersi conto che, trattandosi di macchina adattata per disabili, avevano reso inutilizzabile un altro pezzo (per fortuna inutile, anche se previsto dalla legge).

Non più tardi di due giorni fa, nel passaggio di contocorrente da una banca (comprata) a un'altra (acquirente) si erano "persi" i soldi di un mio fondo.

E' sufficiente o vado avanti?

Che Paese è diventato il nostro?

Indosso il cappello di ex-dirigente IBM e cerco di analizzare, senza farmi prendere dall'emotività, le cause profonde di questa diffusa situazione di degrato:

  1. un forte declino delle capacità professionali, a qualsiasi livello;
  2. una assoluta insofferenza per le regole, con conseguente inottemperanza delle stesse;
  3. la mancanza o la insufficienza di controlli umani o automatici;
  4. la previsione (o certezza) di non punibilità, anche qualora (ma c'è sempre) si ravvisi una responsabilità personale.

Mi sento di dire che questo accade quando in un Paese si viene a confondere la libertà con l'arbitrio e con il menefreghismo. La vera libertà si sostanzia in una azione consapevole e responsabile verso se stessi, verso gli altri, verso l'ambiente.

Siamo soliti dare sempre la colpa di tutto alla classe politica. No, cari amici, quella che è marcia la società civile e da lì dobbiamo ricominciare. Da minoranza che siamo dobbiamo batterci per:

  1. restaurare lo Stato di diritto;
  2. ricongiungere la libertà con la responsabilità;
  3. premiare il merito e punire il demerito sia sul lavoro che a scuola.

Volete continuare voi?

venerdì 22 luglio 2011

Che tipo di crisi?

Il problema è che noi ci occupiamo della crisi economica in Italia, mentre sarebbe più logico preoccuparci della crisi che la precede e la provoca, la crisi morale.
Con il nichilismo le persone diventano più povere spiritualmente, culturalmente e, alla fine, anche economicamente.

sabato 16 luglio 2011

Incondizionatamente costruttivo

Un libro interessante per tutti, con suggerimenti particolarmente utili per chi punta ad una cultura del dialogo.
Assioma principale: "essere incondizionatamente costruttivi"
Un link dove comprarlo:
https://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.libreriacoletti.it%2Flibro%2Ftroviamo-un-accordo.aspx%3Fp%3D588976&h=vAQAql_2P

mercoledì 29 giugno 2011

I giovani e l'italiano.

Da un articolo del Corriere della sera del 29 giugno 2011

Tra i 495.771 candidati alla maturità di quest’anno ci saranno pure i futuri manager business development o market access director. Sognano una carriera da manager e intanto inciampano sul congiuntivo. Dicono, questi benedetti studenti, che tanto poi, sul biglietto da visita ci metteranno chief executive o un qualsiasi altro job title che fa lievitare la posizione, e quei difettucci di lingua (scritta e parlata) non si noteranno nemmeno. Gli scritti di questa Maturità 2011 sono già un ricordo e il diploma è vicino. Nelle 12.373 commissioni d’esame si sono lette miglia di pagine, saggi necessariamente brevi, si spera anche corretti.

Ma come scrivono gli studenti? Male. Lo dicono i professori, lo conferma l’Invalsi, nelle sue puntuali rilevazioni degli esiti de prove scritte, all’esame di maturità. Sul sito invalsi.it si possono leggere gli scoraggianti risultati registrati all’esame due anni fa. Diventeranno anche strateghi dibrainsworking, ma per ora, nelle loro esternazioni letterarie, la punteggiatura è latitante, la grammatica è opzionale, laconsecutio temporum, poi, non è neppure stata installata nel software cerebrale. Il risultato? Periodi contorti, lunghi e inefficaci. Gli insegnanti delle medie respingono l’accusa e passano la palla ai maestri, i quali la rimandano ai prof del liceo. Con buona pace di tutti, il giudizio dell’Invalsi è lapidario: «L’emergenza di una generazione di giovani priva di una competenza di base come quella che consiste nel padroneggiare la propria lingua madre».

L’Invalsi ha corretto 545 elaborati, relativi alla prova di italiano nell’esame di Stato dell’anno scolastico 2008-09, mette in luce la scarsa padronanza nell’uso scritto della lingua italiana dei ragazzi al termine della scuola superiore, e rileva che il voto in uscita dalla scuola secondaria di I grado è fortemente correlato ai voti ricevuti nella prova di italiano. In tutte le quattro fondamentali competenze (grammaticale, testuale, lessicale e ideativa) si registra un voto medio inferiore alla sufficienza. La valutazione del compito è espressa in quindicesimi, e un compito sufficiente deve ricevere una valutazione di almeno 10/15. Ebbene, sono stati giudicati insufficienti più della metà degli elaborati (tra il 54 e il 63 per cento a seconda della competenza presa in esame). Il voto medio attribuito ai liceali è appena al di sopra della sufficienza. Tuttavia è elevata la quota delle insufficienze nella competenza grammaticale (34 per cento) e in quella lessicale (45 per cento). E’ esigua la quota delle eccellenze. Negli istituti tecnici il voto medio non raggiunge i 9 quindicesimi. Dopo 13 anni di scuola, la gran parte dei futuri tecnici non raggiunge un livello sufficiente di padronanza della lingua italiana. Il voto medio dei ragazzi che frequentano i professionali non supera l’8; in più dell’80 per cento dei casi, le prove sono considerate insufficienti in tutte le quattro competenze.

Infine, le differenze riscontrate in uscita dalla scuola dell’obbligo tendono a riprodursi, in alcuni casi ad accentuarsi, nella scuola superiore anche se con intensità diverse per tipologia di scuola. Nei giudizi dei correttori, una valutazione di «sufficiente» in uscita dall’esame di I ciclo si associa ad un punteggio medio di 7,7, una valutazione di «buono» a un punteggio di 10,3 e 11,3 per chi ha ricevuto «ottimo». Insomma, «la scarsa padronanza della lingua italiana di chi è licenziato dalla scuola secondaria di I grado con il giudizio di «sufficiente” difficilmente può essere recuperata nella scuola superiore» Come se non bastasse, anche la calligrafia è diventata un problema: con sms, chat, cinguettii e segni vari, la scrittura a mano si fa sempre più rara. L’incapacità si sta diffondendo. Con un serio effetto collaterale: regredisce anche il pensiero. Avanza, nelle classi, un nuovo modo di scrivere, diciamo, minimalista. Il linguaggio rispecchia la complessità del pensiero? Diceva il poeta francese Nicolas Boileau: «Prima che a scrivere, imparate a pensare».

Giuseppe Tesorio
29 giugno 2011

domenica 26 giugno 2011

Buona settimana (ricominciamo sempre ...)

Mi viene in mente, nei momenti difficili, un bel motto della mia seconda mamma Chiara Lubich: "Ricominciare sempre".

Buona settimana

domenica 19 giugno 2011

Una proposta rozza e provocatoria, ma....


Fra tanti altri, tre grossi problemi si stagliano davanti alla società italiana e vanno affrontati nel breve periodo, pena l’accelerarsi del declino del nostro Paese.
In primo luogo il degrado morale e civile della nostra gioventù, bene evidenziato dall’allarme dato dalla Chiesa e da altre Istituzioni attente alla dimensione morale e civile con l’enfasi posta sulla cosiddetta “emergenza educativa”.
Del secondo problema i media parlano di meno, ma le famiglie lo sentono sempre più. Si tratta dell’avanzare dell’età media della popolazione con l’aumento del numero degli anziani e la necessità di una maggiore cura degli stessi.
Il terzo problema è di natura diversa, ma altrettanto importante. Ormai tutti gli studiosi più avveduti e imparziali evidenziamo come la vera palla al piede dello sviluppo del Paese sia un sistema della Pubblica Amministrazione pletorico e troppo burocratico.

Partiamo da quest’ultimo aspetto per analizzarlo e presentare una proposta provocatoria nella sua voluta rozzezza ma che si confida possa diventare base di discussione per qualcosa di più raffinato e concretamente realizzabile.
Parto da una esperienza personale.
Negli anni ’90 dello scorso secolo, nella azienda nella quale lavoravo (ma anche in tante altre aziende,) si sperimentavano progetti che tendevano ad aumentare la qualità del lavoro soprattutto mediante la semplificazione delle procedure. Si era notato, in particolare nelle grandi aziende, che certi processi interni, magari nati con le migliori intenzioni per risolvere determinati problemi, si erano mantenuti nel tempo anche quando la loro necessità era venuta meno. Ciò provocava un appesantimento dei tempi di lavoro, una diminuzione di produttività e di efficienza, una minore soddisfazione dei Clienti.
Ricordo con chiarezza, il gran numero di progetti di semplificazione che vennero presentati (anche perché era previsto un allettante premio per i migliori) e ho ben evidente ancora il grosso miglioramento avuto in termini di produttività.
Il guaio venne quando l’azienda procedette ad una diminuzione di personale a seguito della possibilità di eseguire la stessa attività con meno passi procedurali e con un minor numero di operazioni, e pertanto con meno persone.
L’anno successivo il numero di progetti diminuì sensibilmente perché le persone avevano ben capito che la burocrazia poteva sì essere faticosa ma era utilissima per salvare il posto di lavoro.
Chi scrive non crede troppo nelle statistiche (anche perché ha avuto esperienza di come spesso gli stessi dati possono essere utilizzati per provare due tesi opposte) ma sfida chiunque sia stato utente della P.A. a non essersi accorto che certe procedure burocratiche sono assolutamente inutili. Certo, ora meno di 10 anni fa, ma sicuramente anche ora.
Non si può peraltro chiedere agli impiegati pubblici, fra l’altro particolarmente sensibili e portati alla difesa del loro posto fisso garantito, di indicare spontaneamente le attività obsolete ed inutili delle loro procedure democratiche, con il rischio di diventare loro stessi persone in esubero.
Si potrebbe però innanzitutto richiedere ad una Società privata (magari estera….) di analisi di processi, di effettuare una revisione accurata delle procedure della P.A. (sia quella centrale che locale) per individuare i passaggi inutili in eccesso (la cosiddetta “burocrazia”) e suggerire soluzioni per effettuare le stesse attività con un minor numero di risorse (ad esempio, mediante accorpamenti e accentramenti di uffici che svolgono le stesse mansioni, eliminazioni di enti inutili ecc.). Il tutto ovviamente mantenendo inalterata (o accrescendo) la produttività.
Sono operazioni non difficili che si fanno tutti i giorni nelle imprese private.
Al termine di questa operazione è prevedibile che risulti un gran numero di persone in eccesso.
Qui scatta la seconda parte dell’operazione.
Certo non si può chiedere a quel 10-15% di persone esuberanti di lasciare il posto di lavoro o di andare nella cosiddetta mobilità (in pratica licenziamento con parziale retribuzione temporanea). Anche perché l’operazione coinvolgerebbe migliaia di persone (fra Enti centrali e locali) e farebbe calare la domanda globale interna con effetti recessivi non auspicabili specialmente di questi tempi.
Bisogna però chiedersi, in maniera rude e provocatoria, se non ci sarebbe l’opportunità di ridurre ugualmente le risorse umane della P.A. offrendo particolari condizioni a chi decidesse liberamente di accettare una alternativa.
Ecco allora la proposta.
Non si tratta di mandare le persone in mobilità o, peggio, di licenziarle (fra l'altro due opzioni impossibili con l'attuale normativa), ma bensì di dar loro come lavoro quello di tornare in famiglia per occuparsi dei figli o di genitori anziani. Si tratterebbe sempre di un lavoro pubblico e sicuramente di utilità sociale reale.
Poiché a queste persone dovrebbe essere garantito ugualmente il livello salariale e la posizione contributiva, si potrebbe pensare o ad una permanenza nell’Ufficio in cui sono incardinati (magari considerandoli “in distacco” presso la famiglia) o inserendoli tutti in una struttura amministrativa costituita ad hoc (con il rischio, però, di creare un altro carrozzone).
Resta ovvio che realmente le persone dovrebbero occuparsi della famiglia e non svolgere attività in nero (magari prevedendo, in caso di inosservanza, pene pecuniarie altissime).
La proposta dovrebbe essere “orientata” verso i dipendenti meno giovani, in modo da abbassare il livello di età e aumentare il livello di capacità creativa, di digitalizzazione e innovazione (proprie dei giovani) dell’intera P.A.

Il tutto dovrebbe essere fatta su base di libera scelta anche se magari, in alcune occasioni, si renderà necessaria anche una “spinta” alla decisione.
I vantaggi per la società civile sarebbero:
1) una maggior velocità ed efficacia della P.A.;
2) un maggior sostegno personalizzato a figli e a genitori anziani;
3) un abbassamento del livello di età dei pubblici dipendenti.
Tali vantaggi sarebbero sicuramente esuberanti rispetto al fatto di dover pagare ugualmente gli stipendi a persone in esubero rispetto alle necessità produttive.
Ma la vera novità consiste nel grado di aiuto che questa operazione potrebbe avere nel contribuire a risolvere gli altri due problemi (giovani e anziani) evidenziati all’inizio di questo articolo.
Infatti la massa di persone libere dal loro lavoro (ma pur sempre incardinate in qualche modo nella P.A.) dovrebbe essere spinta, magari anche attraverso corsi adeguati di riqualificazione, a svolgere con maggiore attenzione il ruolo a loro spettante all’interno della famiglia.
Genitori dovrebbero riprendere a occuparsi a tempo pieno dell’educazione, non solo scolastica, ma anche morale e civile, dei loro figli.
Figli adulti dovrebbero avere tempo per dedicarsi ad accudire genitori anziani bisognosi di cure ed assistenza. Ciò fra l’altro provocherebbe anche una riduzione dei costi per l’assistenza sociale e sanitaria.
Chi non avesse figli o genitori o parenti stretti bisognosi di aiuto potrebbe essere spinto ad accedere ad associazioni di volontariato già esistenti o create ad hoc.
Si attendono commenti, critiche, contributi in grado di raffinare la proposta.