Pagine

venerdì 4 dicembre 2015

Fiducia o catena?



Ci sono alcuni “segni” che sono da considerare come dei simboli significativi che richiamano direttamente delle realtà. Seguire la storia dei segni equivale a raccontare la storia delle realtà sottostanti.
Illuminante può essere l’esempio degli anelli nuziali (altrimenti dette “vere”).
Per anni l’ambiente nel quale trascorrevo la maggior parte del mio tempo è stato l’azienda presso  la quale lavoravo,  una grande azienda multinazionale con migliaia di dipendenti diversi per età, per origine, per cultura, un microcosmo sì ma in grado di dare una rappresentazione abbastanza fedele, quasi fotografica, della realtà sociale.
Per anni è stato normale vedere le vere al dito anulare dei dipendenti, ben grosse quelle dei dirigenti e della persone comunque agiate, un po’ più piccole per gli altri. Comunque la vera era portata dalla grande maggioranza dei dipendenti.
In questo atteggiamento giocava la sua parte anche una certa sorta di conformismo. L’azienda, di origine americana, era nota anche per una certo puritanesimo che faceva vedere di malocchio le coppie non formalmente sposate. Ricordo la rabbia di una nostra collega (e il nostro sconcerto) per non essere stata invitata, lei convivente da anni di un dirigente, ad un ricevimento formale al quale tutte le mogli erano state invitate.

Con il passar del tempo (diciamo da metà degli anni ’80 dello scorso secolo) ho notato un calo progressivo, prima lento poi sempre più accelerato, delle vere presenti sui diti dei miei colleghi.
Quando lasciai l’azienda, nel 2005, la grande maggioranza dei dipendenti, sia che fossero sposati o conviventi, non portava più la vera.
Negli anni successivi il mio ambiente di riferimento, da pensionato e studioso, è cambiato ma è rimasta intatta la mia voglia di osservazione e ho notato che il calo dell’uso della vera è stato costante. Basta fare un esercizio, salite una volta su un bus pubblico o su una metropolitana, constaterete che ormai solo un 10% dei passeggeri porta l’anello nuziale.

Ma quale è il senso profondo del segno della vera?
Non è senza  significato la circostanza che questo segno sia chiamato oltre che vera o anello nuziale, anche “fede”.
Fede richiama fiducia e forse proprio la fiducia è il significato, profondo, sostanziale, connaturato all’anello nuziale.
Fiducia in un altro che si è scelto come compagno di viaggio.
Fiducia che è un rischio perché una persona non è una cosa quantificabile, non è un oggetto, è un soggetto che può avere idee e comportamenti molto diversi dai nostri.
Fiducia che vuol dire capacità di osare verso questa persona, ricominciando ogni giorno nonostante difficoltà e problemi.
Fiducia che vuol dire uscire da noi stessi, dalle nostre sicurezze, dalle nostre idee, per andare verso un altro, per affrontare con questa persona un viaggio completamente diverso (e forse meno sicuro) da quello che avremmo fatto da soli.
Fiducia che ci mette in discussione ma che ci fa anche crescere perché ci fa camminare con un altro che per noi non sarà mai pienamente comprensibile ma invece sempre nuovo, una persona non raggiungibile con la sola ragione ma che necessita di quel sentimento sublime che è l’amore.
Possiamo dire ch la fiducia è un elemento essenziale affinché un essere umano possa essere definito “persona”.
L’anello nuziale richiama essenzialmente la scelta fondamentale e fiduciosa  di una persona di condividere pienamente la propria esistenza con un’altra, ricominciando da capo ogni giorno, nella prospettiva che questa unione sia anche in grado di garantire il futuro della società attraverso strumenti quali la procreazione (naturale ovvero artificiale) e la adozione.
Ma è anche possibile un’altra interpretazione dell’anello nuziale.
La vera può anche essere vista come l’ anello di una catena, ovvero il simbolo di un legame formale tra persone e segno ufficiale di un reciproco patto di convivenza, un vero e proprio contratto sottostante.
Appare di tutta evidenza il minor respiro vitale di questa visione che si basa non sulla fiducia ma sulla logica contrattuale e che vede nella fede non l’espressione di un amore verso un’altra persona ma solo il segno di un legame, seppur volontario.

Sembra anche chiaro come la prima concezione sia connaturale ad una società basata su una cultura che si potrebbe definire personalistica, dove vige la convinzione che non ci sia crescita personale se non nell’ambito di una apertura verso l’altro e verso una crescita globale della società, e dove è diffusa l’opinione che l’interesse individuale non possa essere perseguito se non attraverso la ricerca contemporanea del bene comune.
Non è allora un caso se, dagli anni ’80 dello scorso secolo ad oggi, l’uso della vera ha subito questo vero e proprio tracollo.
La cultura maggioritaria corrente è una cultura di matrice prettamente individualistica, nella quale il diritto e l’interesse del singolo vengono vissuti come elementi principali e inviolabili anche di fronte alle esigenze del bene comune.
E’ una cultura che misconosce l’aspetto della fiducia, del dono, della gratuità (se non in ambiti molto ristretti) e che si basa sulla logica contrattuale del do ut des.
L’anello nuziale non viene più visto come segno di una fiducia nell’altro (e negli altri….) ma solo come legame che comprime i nostri interessi individuali. L’unione fra due persone non viene più vista come un rapporto normalmente a tempo indeterminato, in quanto basato sulla fiducia e sulla voglia di reiniziare ogni giorno,  ma piuttosto come una relazione che è conveniente per entrambi in quanto realizzatrice di interessi sentimentali, fisici e magari patrimoniali. Come tale questa relazione dura finché questi interessi vengono soddisfatti e può tranquillamente terminare quando si ritiene che un’altra persona possa soddisfarli meglio.
In questa ultima ottica la vera è vista proprio come l’anello di una catena e appare chiaro che a nessuno venga la voglia di portarlo.

Ma può un sistema sociale vivere e svilupparsi solo basandosi sull’idea dello scambio contrattuale e misconoscendo o lasciando in secondo piano tutto ciò che richiama gli elementi della fiducia, del dono, della gratuità?
Sono sempre di più gli economisti e i sociologi che ritengono la fiducia come uno essenziale virtù sociale.
In Italia possiamo ricordare Stefano Zamagni, Lorenzo Becchetti, Luigino Bruni ma soprattutto gli studi che a questo aspetto ha dedicato Vittorio Pelligra (“I paradossi della fiducia”, Mulino 2007).
Ma anche oltre oceano possiamo citare l’opera di un grande studioso che già nel 2006 sottolineava l’importanza della fiducia per lo sviluppo coerente e integrale della società (F. Fukuyama “Fiducia. Come le virtù sociali contribuiscono alla creazione della prosperità” Rizzoli 1996).
Chi volesse approfondire l’argomento, appena accennato in questo scritto può ben leggere gli autori citati.