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domenica 30 gennaio 2011

Buona settimana (c'è ancora speranza)

Ho trascorso tre giorni a Castelgandolfo ad un raduno dei fedeli laici del Movimento dei Focolari, tre giorni meravigliosi, da credente direi di Paradiso.

Esistono ancora persone che vogliono donarsi agli altri, che comprendono come il vero bene personale passa attraverso il raggiungimento del bene comune.

C'è ancora speranza (con la S maiuscola?)

Buona settimana

domenica 23 gennaio 2011

Ama quello che fai

Una frase, dettami da un amico psicologo, che sempre mi viene in mente quando una attività mi appare pesante: “ama quello che fai, e farai quello che ami”.

Che ne dite?

Buona settimana

venerdì 21 gennaio 2011

Perché ho lasciato la Rosa per l'Italia

Uso il mio blog personale per spiegare i motivi per i quali ho deciso di lasciare la Rosa per L’Italia.

Sin da ragazzo e da giovane studente universitario (anni ’60 e ’70 dello scorso secolo) ho sempre sognato una Italia politicamente e culturalmente più “europea” più vicina al sistema politico ed economico di alcune Nazioni del centro-europa come la Francia e la Germania.

Per questo ho sempre auspicato l’idea di sistemi elettorali che spingessero verso forme di sintesi polipartitiche di tipo bipolare, come il maggioritario a singolo o a doppio turno o, in alternativa, il sistema tedesco con rafforzamento però della parte uninominale.

E, andando controcorrente, non ho mai avuto grossi problemi contro il “porcellum” se non per la completa assenza della possibilità di attribuire delle preferenze.

Questa mia convinzione maggioritaria e presidenzialista si è andata rafforzando quando mi sono reso conto che, nel sistema ormai sempre più globale dell’economia, una Nazione non potesse competere efficacemente se non in presenza di processi decisionali interni che garantissero contemporaneamente un adeguato tasso di partecipazione democratica e un congruo livello di velocità e di efficienza decisionale.

La strada, alternativa a quella del sistema elettorale, per operare sintesi politiche in una Nazione come l’Italia, sarebbe dovuta passare attraverso un lungo processo educativo degli Italiani ad un maggior sentimento civico e del bene comune, e mi appare molto impraticabile vista la dissoluzione morale ormai diffusa in abbondanza e la mancanza di tempo adeguato per portare a termine questo processo educativo.

Un altro elemento sul quale da 40 anni si è focalizzata la mia attenzione è stato l’utilizzo della spesa pubblica non solo per coprire spese correnti produttive e/o investimenti pubblici, ma per motivi clientelari se non quando anche a scopo di finanziamento pubblico tramite esperienze di corruzione. Ho sempre ammirato la capacità del governi francesi e tedeschi (a prescindere dal colore politico) di mantenere sotto controllo il deficit pubblico imponendo ai propri cittadini una condotta operosa, seria e produttiva.

Non per altro nonostante le mie radici pienamente cristiane, l’uomo politico che ho ammirato di più non è stato un democristiano bensì il repubblicano (e massone...) Ugo La Mafa, guardiano attento dei conti pubblici e del “conti morali” nazionali.

Venendo agli ultimi 20 anni, sulla falsariga di queste mie opinioni di fondo, appoggiai dapprima Mariotto Segni, quindi l’Ulivo di Prodi, finché in questo decennio il bipolarismo si strutturò in due poli entrambi impraticabili, l’uno di sinistra che ancora deve fare i conti con le conseguenze dell’economia globale restando ancorato a schemi novecenteschi, l’altro di destra per me non accettabile per i problemi etici e di conflitto d’interesse del suo leader nonché per alcuni aspetti troppo classisti del suo programma. Per entrambi i poli sussisteva poi la perplessità di fondo sulla la coerenza, teorica e pratica, con i principi fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa.

Né mi sentivo di aderire sic et simpliciter all’UDC che mi pareva riproporre completamente la mentalità politica e economica della DC che avevo conosciuto (quella spendaccione mollacciona degli anni ’70 e ’80, non quella di De Gasperi, Sturzo, Vanoni, Fanfani che rimane per me un modello).

Il lancio della Rosa da parte di Monticone, Pezzotta e Tabacci (lasciamo stare Baccini che era chiaro che se ne sarebbe andato prima o poi, per incompatibilità politica e morale) mi dava ampie garanzie da un punto di vista etico, mentre la presenza di Bruno Tabacci mi rassicurava per la parte economica. Ero consapevole che si trattava di personale politico maggiormente favorevole al proporzionalismo elettorale ma restavo convinto che la necessità di una sintesi partitica si sarebbe resa chiara da una serena e onesta analisi del rapporto fra sistema elettorale e sviluppo economico.

Ho cominciato così il mio cammino nella Rosa, in una piena fedeltà alla persona di Savino Pezzotta, nonostante che il progetto iniziale perdesse mano mano del suo smalto e alcuni lasciassero o per motivi ideali (perlopiù l’unione con l’UDC di Casini) o di interesse personale.

Restava fermo in me l’obiettivo di contribuire a costruire un polo popolare liberal-democratico, di ispirazione cristiana ma aperto alle componenti laiche, a vocazione maggioritaria e fondato sul pensiero personalistico (pienamente accettabile anche da componenti laiche), che si ponesse come uno dei due poli fondamentali del sistema politico (collegandosi al Partito Popolare Europeo) e che fosse in grado di restituire all’Italia dignità morale e sviluppo economico.

Tutto questo presupponeva, da parte dei componenti della Rosa Bianca, la consapevolezza e la condivisione di questo sbocco finale e la capacità di considerare la politica come servizio con la conseguente consapevolezza di essere capaci di mettersi da parte in vista del raggiungimento dell’obiettivo finale e del bene comune.

In questa ottica ho ben visto, come possibile tappa intermedia, la potenziale nascita del Polo della Nazione fra UdC (in tutte le sue componenti), FlI, ApI e MpA, tenendo ben presente la necessità che il futuro (e diverso) polo popolare liberal-democratico non fosse il frutto di un mero rimescolamento delle carta fra le componenti suddette del Polo della Nazione, ma un soggetto politico completamente nuovo, aperto alle componenti sane della società civile, ad una buona parte di quel 40% che ora non va a votare o vota scheda nulla o bianca.

Con mio sommo dispiacere mi sono reso conto che la grande maggioranza dei componenti della Rosa bianca continua a pensare, in modo più o meno consapevole, ad una riedizione della vecchia ultima DC, riproponendo, negli interventi, la propria avversione ad un sistema bipolare, la preferenza per un sistema proporzionale (magari con poche e poco significanti modifiche), il rimpianto per le popolari (e devastanti) politiche di deficit spending, la strenua difesa della propria identità di piccolo soggetto politico e la volontà di conquistare o difendere il proprio posto negli organismi di partito magari, in “quota” della Rosa, perdendo di vista lo spirito di servizio al bene comune e alla Nazione che deve animare chi svolge politica attiva.

Sono incompatibile con questo progetto e con questo modo di fare politica.

Ed ora? Non aderirò certo ad alcun altro soggetto politico esistente; mi ritroverei di fronte ai problemi appena detti o con gravi incompatibilità di valori o di programmi. Cercherò, nel breve periodo, di portare avanti, nel dialogo aperto con gli amici di Persona è futuro, il progetto politico sopra delineato. La base culturale sarà costituita sempre dalla visione “personalistica” della Dottrina Sociale della Chiesa ribadita con forza nell’ultima enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI.

domenica 16 gennaio 2011

Buona settimana (come semplici anelli di una catena?)

Questa volta il buona settimana ve lo do con una osservazione del pensatore tedesco (di origine italiana Romano Guardini):

“Quando l’azione non è più sorretta dalla coscienza personale, un vuoto singolare si determina in colui che agisce, Egli non ha più il senso di essere lui ad agire, il senso che l’azione cominci da lui e che egli pertanto ne debba rispondere. Sembra che egli non esista più in quanto soggetto e che l’azione passi semplicemente attraverso di lui, semplice anello di una catena”.

Riprendiamoci la coscienza personale!!

Commenti?

Buona settimana

venerdì 14 gennaio 2011

Difendere la verità o difendere la democrazia?

Questo scritto non ha assolutamente la pretesa di esaurire l’argomento o di fornire risposte definitive, ma rappresenta solo la volontà di presentare degli spunti per iniziare un dialogo su un argomento che si ritiene fondamentale.

Il rapporto tra libertà e verità costituisce uno dei nodi più complessi e intricati della cultura contemporanea anche se viene da molto lontano. È fra l’altro un rapporto che si riflette immediatamente su quello, più concreto e politico, fra democrazia e verità.
La domanda fondamentale è la seguente: “come è possibile rispettare la libertà dell’altro allorché si pensi di essere in possesso della verità e si creda che quest’ultima non possa che fare del bene all’altro?” Non viene forse spontaneo e legittimo imporre la verità proprio per il vero bene dell’altro?
Sul fronte politico della democrazia la domanda è molto simile: “come è possibile rispettare un progetto politico alternativo, magari anche suffragato dalla maggioranza, qualora si ritenga che questo sia in contrasto con la verità?”.
I fautori del primato della verità sulla libertà sostengono che la vera libertà non è quella di scegliere qualsiasi opzione (la libertà come possibilità di fare qualsiasi cosa) ma è essenzialmente tensione verso il bene e il vero. E che il volere della maggioranza non può rappresentare un criterio scientifico ed esatto per individuare ciò che è buono e giusto.
I fautori del primato della libertà sostengono che subordinare questa ad una pretesa verità, seppure sotto forma del buono, del giusto o del vero, equivale a renderla vuota e a toglierle ogni fondamento
Quando ero un giovane studente universitario fui molto colpito e convinto dai ragionamenti di Hans Kelsen, famoso giurista della Scuola di Vienna, sostenitore della tesi che la cultura del dubbio fosse il fondamento della democrazia, in quanto solo chi dubita della propria posizione e della propria idea possa essere portato a confrontarsi con l’altro, mentre chi non dubita ma è convinto di essere in possesso della verità sia portato inevitabilmente ad imporla all’altro proprio per fare quello che si ritiene essere il suo bene.
Questa impostazione della Scuola di Vienna mi parve sostenuta dall’analisi delle dittature sorte nel 900 in Russia, Germania, Cina e Italia fondate sulla pretesa infallibilità delle ideologie totalitarie di marca comunista e fascista.
Questa posizione è anche confermata purtroppo da alcuni episodi, del passato, in cui anche il nome di Dio è stato usato per ridurre la libertà dell’altro e viene suffragata anche dall’emergenza attuale del fondamentalismo religioso.
Non si può peraltro negare validità anche alla visione contraria.
Nella Enciclica “Splendor Veritatis” di Giovanni Paolo II e in tutto lo snodarsi del pensiero di Joseph Ratzinger (ora Benedetto XVI) viene messo in evidenza come la verità sia la base per un corretto uso della libertà.
Sul piano filosofico una libertà che non tende al vero non sembra forse girare a vuoto e porsi solo come fondamento di una visione individualistica di tipo narcisista?
Sul piano politico come è possibile accettare che la democrazia prescinda da valori naturali alla stessa preesistenti e che trovano origine nella verità? Come è possibile razionalmente accettare che il destino delle persone (talvolta delle loro vite) sia in mano al volere di una maggioranza?
Anche su questo fronte si fa riferimento ai milioni di vite uccise dai regimi totalitari anche quando questi stessi erano sostenuti dalla maggioranza dei cittadini.
La fondatezza della tesi che la maggioranza non possa essere un criterio esatto e scientifico per rappresentare il vero e il giusto è stato avvertita nel tempo anche dagli ideatori e costruttori di quel costituzionalismo liberale che ha posto dei vincoli ben chiari al potere della maggioranza quali l’individuazione di precisi e inviolabili diritti di libertà (religiosa, di pensiero, di associazione, di riunione...) e il principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario).
Successivamente alle libertà già indicate, che identificavano un’area degli individui indisponibile da parte dello Stato, ma che si limitavano ad aspetto più o meno formali, si sono andati aggiungendo i diritti, quali la libertà dal bisogno e dalla paura, che incidevano sulla situazione storico-sociale permettendo la piena partecipazione di tutti alla vita politica e economica.
Possiamo forse sostenere che questa sfera di riferimento personale inviolabile da parte di individui o di istituzioni (anche se a base maggioritaria) costituisce, almeno in Occidente, il risultato di una evoluzione del pensiero collettivo che ha permesso, nel confronto costruttivo tra diverse posizioni religiose e culturali, l’emergere di alcuni valori condivisibili da tutti perché intrinsecamente ragionevoli e posti così come base di una serena convivenza civile.
I problemi rimangono su due fronti, uno territoriale e l’altro ontologico.
Il primo riguarda il nostro atteggiamento verso quelle culture di tipo orientale o africane, che hanno origine e fondamenti ben diversi da quello occidentale e che non sono assolutamente riconducibili allo schema appena delineato.
Se si ritiene che il modo di pensare e di vivere del mondo occidentale sia il migliore può venire la tentazione non solo di proporlo, ma anche di imporlo a culture differenti. La politica della “esportazione della democrazia” non è altro che il risultato di questa impostazione e, a ben vedere, i suoi risultati non sembrano buoni.
L’altro fronte aperto è ancora più delicato e riguarda la natura dell’uomo. E’ il fronte bioetico che si può esprimere in domande come queste: “quando ha inizio la vita umana?”, “quando una vita può considerarsi ancora umana?”, “può l’uomo disporre della vita?”.
Sono domande che hanno risposte diverse a fronte delle due impostazioni culturali che, nel mondo moderno si fronteggiano e che richiamano sempre, ancora una volta, il problema del rapporto tra verità e libertà.
Da una parte c’è chi sostiene l’inesistenza di criteri valoriali ultimi esterni rispetto al volere del singolo individuo, volere che diventa così il fondamento della libertà personale e unico parametro di tipo etico. La conseguenza di questa impostazione è che lo scontro di voleri non si risolve con riferimento ad un bene superiore ed esterno ai singoli ma con un procedimento di mera conciliazione tra interessi contrapposti mirando a che il risultato sia adeguato alla bisogna, ma non necessariamente giusto o buono.
Da una parte c’è chi sostiene anche in questo campo l’esistenza di diritti inviolabili, quali l’indisponibilità della vita umana, iscritti nella natura dell’uomo e pertanto non dall’uomo modificabili con norme che abbiano una legittimità morale o giuridica.
Anche in questi due campi forse non se ne uscirà se non con un sereno confronto e un dialogo costruttivo che tenga conto delle lezioni della storia, ovvero delle conseguenze pratiche che l’applicazione delle diverse culture arreca in concreto al benessere morale e materiale delle persone umane.
Da parte mia ritengo che una Verità esista, che sia esterna all’uomo e per questo di natura non umana ma divina, e che, proprio perché divina, non possa essere posseduta una volta per tutte ma che sia essa invece a possedere noi, sicché il nostro compito sia quello di continuare a cercarla scoprendola sempre di più e mettendola in pratica.
Come cristiano ritengo che questa Verità ha il volto di una Persona, Gesù Cristo, che è morto per amore per la liberazione di tutto il genere umano dal peccato e da ogni male, svelandoci appieno l’identità di un Dio Padre Amore infinito.
Nel cristianesimo, come ben rileva anche Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, amore e verità non possono essere separati. L’amore permette di offrire la verità senza la tentazione di imporla (anche perché non la si possiede tutta..) e di offrire le basi per un dialogo reale, la verità evita che il solo amore sfoci in un vago sentimentalismo o peggio in un confronto privo di basi reali.

sabato 8 gennaio 2011

Perché no? una Chiesa "ambientale"..

Durante il Concilio Vaticano II fu elaborata la nozione di Chiesa locale per indicare la comunità di credenti presenti in un determinato luogo (generalmente coincidente con una zona ecclesiale quale la Parrocchia o la Diocesi), e quella di Chiesa domestica per indicare la comunità familiare.

Mi chiedo se non esistano anche le Chiese “ambientali”, ovvero le comunità di credenti che, negli ambienti di lavoro o in quelli socio-culturali, si impegnano nella evangelizzazione e nella promozione umana.

Il pensiero corre alla comunità dei fedeli laici impegnati in IBM a Roma in questo primo decennio del secolo, con l’augurio che sentano sempre più di essere una piccola Chiesa ambientale, ma anche a tante altre esperienza in essere e in fieri.

Chissà se qualche teologo non se la sentirà di contribuire alla elaborazione del concetto e dell’essenza di una Chiesa ambientale.

Che ne dite? Ne parliamo sul blog?

Buona settimana

domenica 2 gennaio 2011

Buona settimana (e buon anno nuovo.. ??)

Carissimi, il nuovo anno sarà buono nella misura in cui saremo buoni noi, ovvero cercheremo di porre in essere azioni in grado di conseguire il nostro bene, quello dei nostri cari, quello della società intera.

Altrimenti potrebbe essere pura ipocrisia augurarsi buon anno.

In questa ottica e solo in questa ottica cari auguri di un sereno e felice 2011.

Ci scambiamo gli auguri sul blog?

E, tanto per cominciare, buona settimana!