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giovedì 26 novembre 2009

Solo i ragazzi non sentono la crisi...

Ogni 6 minuti muore sulla Terra un bambino per denutrizione e intanto...

Traggo da un articolo pubblicato su Iesus del mese di novembre 2009 (pag. 31):

“....la crisi pone problemi alle famiglie, nel 60 per cento dei casi; due terzi degli adulti acquistano in minor quantità vestiti ed elettrodomestici, hanno ridotto i viaggi e le vacanze, vanno meno a pranzo fuori, ma per i ragazzi poco è cambiato, la “paghetta” è rimasta invariata, e così le attività per il tempo libero: l’83 per cento del campione ha ridotto poco o per niente l’acquisto dei beni indicati”.

Stiamo forse perdendo, sviati da una forma assurda di “buonismo genitoriale” una opportunità unica per educare le nuove generazioni a tener conto del bene comune, cominciando dal bene comune delle loro famiglie?.

Chiude Iesus: “..qui non si tratta di salvare la psiche di bambini, ma di ottenere, con prudenza, ma anche con una corretta informazione, che la famiglia sia una comunità in cui gli adolescenti crescano un po’ alla volta nella consapevolezza dei problemi comuni e delle comuni responsabilità.”

Cari saluti

domenica 22 novembre 2009

Buona settimana (ogni 6 secondi....)

Cari miei 150 amici, permettetemi questa volta di coinvolgervi brevemente in un semplice sondaggio.

La domanda è: cosa succede di terribile ogni 6 secondi nel mondo?

Aspetto le risposte a questo indirizzo o sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com .

La prossima settimana vi farò sapere l’esito del sondaggio.

Cari saluti e... buona settimana

domenica 15 novembre 2009

L' argine della fraternità

Carissimi,

a mio parere l’altro argine, dopo quello del primato della persona umana, entro il quale far fluire il fiume impetuoso della società “liquida” è il principio di fraternità.

La fraternità ingloba la solidarietà (che tende alla uguaglianza delle persone diseguali) ma la supera perché, partendo da questa uguaglianza, tende a rimarcare le differenze tra fratelli, nell’ottica di un servizio al bene comune.

In una famiglia i fratelli sono uguali in dignità ma quanto possono essere diversi per carattere, capacità, forma fisica!! Occorre valorizzare sia la uguale dignità che le differenze nell’aiuto reciproco.

Senza la fraternità non ci può essere vera uguaglianza, ma neppure reale libertà, perché non ci può essere una liberta fra diseguali e indifferenti (la mia libertà comincia dove comincia la libertà di mio fratello).

Che ne dite?

Intanto, buona settimana!!

domenica 8 novembre 2009

Per non essere liquefatti...

In una società “liquida”, dove la velocità dei cambiamenti rende difficile persino l’abituarsi ai cambiamenti stessi, dovremo imparare ad essere flessibili, leggeri ma ad avere pur sempre dei valori “solidi” a cui aggrapparci, pena la nostra “liquefazione”.

A mio parere il primo di questi valori è il rispetto della dignità di persona di ogni essere umano.

Cosa si deve intendere per persona? Si può azzardare una definizione.

Persona è l’essenza, il substrato fondamentale di ogni essere umano, che va oltre la sua corporeità e la sua spiritualità (pur inglobandole), che lo rende unico, irripetibile, perfetto (anche in sue eventuali deformità), che lo caratterizza dal primo momento dell’esistenza fino alla sua morte naturale né accelerata né ritardata con modalità umane, che lo rende capace di pensare, pensarsi, relazionarsi con gli altri, anzi di realizzarsi nella misura in cui allarga e perfezione la sue relazioni con gli altri.

La persona è sempre un dono per sé e per gli altri e, come tale, è intangibile dalla società e non posponibile a nessun altri valore né elemento.

Per un credente il ritenere ogni essere umano una persona è il modo più intelligibile per capire il suo essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Ma anche per un credente la persona è il concretizzarsi di una concezione di un essere umano basata sull’uguaglianza e sulla libertà di tutti gli uomini.

Pertanto siamo pure leggeri, siamo pure agili e flessibili, ma non “molliamo” sul rispetto della dignità della persona umana, perché rischieremmo di perdere anche la nostra umanità.

Che ne dite? Aspetto vostri pareri sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com ?

Buona settimana

venerdì 6 novembre 2009

Non solo "merito"....



Ho posto su un social network la seguente domanda:Meritocrazia. E' più meritevole un manager che alza del 2% il profitto della propria azienda o il medico che scopre un farmaco per una malattia rara (dal quale non si prevede pertanto un grosso ritorno in termini di profitto per l'industria farmaceutica)?”

La risposta non è facile, e forse neppure è possibile darne una definitiva. Conviene procedere con ordine.

Il termine meritocrazia viene dal greco, significa letteralmente “potere al merito” e identificando quel tipo di modalità di riconoscimento caratterizzato dal premiare le persone più meritevoli nei campi più vari (aziende, scuole, mondo della finanza, sport ecc.).

Meritevole è la persona che contribuisce al successo di un ente, dal più piccolo come una famiglia, ai più grandi, come un’azienda o addirittura una nazione.

E qui cominciano i problemi.

Quali sono i criteri per misurare il successo di un ente e come paragonare le storie di successo nei vari enti per premiare le migliori?

E’ più meritevole il manager che alza del 5% l’utile della propria azienda in Borsa, premiando così gli azionisti ma mandando a casa 10.000 dipendenti, o il manager che l’alza solo del 2% ma evita ogni tipo di licenziamento?

E ancora (e qui la risposta sembra a prima vista più facile) è più meritevole lo scienziato che mette a punto il vaccino per una influenza pandemica (che salva milioni di persone e che fornisce un grosso ritorno in termine di profitto) o lo scienziato che scopre un farmaco per le malattie rare (che salva migliaia di persone con un ritorno di profitto ovviamente inferiore al precedente)? La vita di più persone vale più della vita di meno persone? ponetevi, prima di rispondere, nei panni di una di queste ultime...

Sembra chiaro che la risposta a queste domande non possa prescindere dall’individuazione di criteri oggettivi atti a misurare il contributo dei singoli al successo e, pertanto, dal tipo di società che si vuole costruire.

Se si vuole costruire una società fondata su valori quali la massimizzazione della ricchezza individuale, del profitto aziendale, del PIL nazionale, saranno considerati meritevoli i cittadini che, con la loro attività, avranno meglio contribuito all’accrescimento quantitativo di questi valori.

Se invece la meta è quella di una società in cui si possa vivere meglio, in cui sia distribuita comunque una base di ricchezza sufficiente per una vita dignitosa, e si punti ad uno sviluppo rispettoso delle esigenze ambientali e della necessità di un solido contesto relazionale interpersonale, allora saranno considerati meritevoli i cittadini che maggiormente si saranno impegnati sul fronte della salute, dell’ambiente e di tutto quant’altro consente alle persone di avere solide e realizzanti relazioni umane.

Pertanto solo se si ha chiaro il modello di sviluppo da implementare e il tipo di società da costruire si potrà meglio capire cosa si intenda effettivamente per merito. Di qui la prima conclusione che non può esistere una concezione di merito condivisa da tutti ma che tale concezione dipenda in maniera molto rilevante dai valori sociali che i singoli cittadini professano.

E non è l’unica questione che si presenta.

E’ comune esperienza (sia pratica che scientifica) che le prestazioni individuali (professionali, sportive, relazionali) dipendono in gran parte da fattori che esulano dall’impegno individuale. A titolo di esempio possiamo individuare alcuni di questi: il quoziente di intelligenza (Q.I.), l’ambiente familiare e sociale da cui si proviene, il percorso di studi (spesso obbligato) portato (o non) a termine, le doti fisiche naturali ecc.

Come valutare i meriti di due lavoratori di cui uno, con Q.I. superiore alla media, completa un incarico in pochi minuti e senza eccessiva fatica, e l’altro, con Q.I. inferiore alla media, in un’ora ma con grande impegno? Certo il primo avrà del tempo disponibile per portare a termine altri lavori e il secondo forse no, ma chi dei due è stato più meritevole?

Certo, se ci si basa solo sul criterio del profitto, il primo risulterà necessariamente vincente, ma abbiamo visto che il successo materiale non può essere il solo criterio. Magari il secondo lavoratore, più lento ma maggiormente impegnato, potrebbe essere più capace di integrarsi in un efficace lavoro di team.

E ancora, per tornare ad una domanda iniziale, come valutare, in termini di merito, lo scienziato che predispone il vaccino per milioni persone e quello invece che, magari con maggior impegno, scopre una medicina per una malattia rara? Valuteremo il merito in termini di ritorno di profitto, di numero di potenziali persone (pesandone l’importanza individuale in funzione del numero), o invece misureremo la quantità di impegno profuso da ciascuno dei due nel loro lavoro?

Come valutare l’insegnante, dotata di carisma personale, in grado di tenere la classe in termini di disciplina ma con scarsa capacità di trasmettere conoscenze valori, con un’altra, magari meno esuberante, talvolta schiacciata dagli studenti, ma intenta, con grande impegno, a veicolare in loro sia le conoscenze tecniche che i principali valori sociali? Certo la prima arrecherà meno fastidio al Dirigente scolastico (che potrà limitare i suoi interventi sul piano disciplinare) ma dovrà essere considerata più meritevole dell’altra?

E non sono finiti gli interrogativi da porre sulla questione della meritocrazia.

Come comportarsi sui periodi di valutazione?

Dovremo considerare più meritevole il ricercatore che, annualmente, produce singoli risultati di rilevanza normale, o un altro ricercatore, impegnato in un lavoro più complesso e con necessità di maggior tempo di analisi, che raggiungerà un risultato molto più importante ma dopo più anni? Generalmente si è portati a considerare il breve periodo, ma è giusto, non ci limiteremo così a premiare gli sforzi brevi e a disincentivare gli studi lunghi e complessi?

Scopo ultimo del lavoro, importanza dei fattori individuali predeterminati, rapporto fra risultato e impegno, lunghezza del periodo di valutazione, sono (e forse ce ne saranno anche altri) quattro elementi che mettono a dura prova la fondatezza e la ragionevolezza del motto “potere al merito”.

L’impressione netta è, che in questa come in altre questioni sociali, occorra evitare ogni fondamentalismo, ogni presunzione che problemi complessi siano risolvibili con soluzioni semplici, che ci possano essere, in ogni caso, scorciatoie in grado di evitare la indispensabile fatica del discernere, comprendere e solo alla fine decidere.

Il reale merito dovrà essere valutato tenendo conto non solo del contributo al profitto, al guadagno finanziario o al PIL, ma anche di fattori diversi quali l’impegno individuale, il contributo al bene comune e l’importanza del lavoro in rapporto al tempo impiegato. Solo in una ottica così allargata diventerà possibile avviare una concreta e giusta politica di riconoscimento del merito.