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martedì 18 agosto 2009

Riprogettare il modello di sviluppo

In un fondo di qualche giorno fa sul Corriere della Sera l’autorevole economista T. Padoa Schioppa metteva in risalto come l’exit strategy dalla crisi non potesse prescindere da un rallentamento delle economie dei Paesi più industrializzati e da una accelerazione di quelli emergenti.

Infatti le politiche espansionistiche messe in atto dai primi (indispensabili per sostenere la domanda durante la crisi ancora in atto) stanno provocando incrementi di disavanzo di bilancio che dovranno essere ripianati. E, a parte funambolerie finanziarie (che si pagano sempre prima o poi a caro prezzo) due sono le politiche fondamentali per risanare i bilanci: a) aumento della pressione fiscale; b) taglio della spesa pubblica.

Nessun governo futuro (di qualsiasi colore sarà) potrà prescindere da questa strettoia; la ripresa dell’economia la potrà attenuare ma non assolutamente eliminare.

Si tratterà di attuarla conciliando la necessaria stretta con la indispensabile equità della stessa, perché, seguendo quanto afferma il Premio Nobel per l’economia A. Sen “il bisogno di equità non è mai così grande come quando si stanno facendo sacrifici”.

Padoa Schioppa evidenzia anche la necessità di metter mano a ristrutturare il modello di sviluppo che non potrà più basarsi su una struttura di base “finanziarizzata” come quella prima della crisi e la cui evanescenza e vacuità ha provocato la crisi stessa.

Questa osservazione non ci può non riportare a quanto dice con forza Benedetto XVI nell’ultima enciclica sulla possibilità di vedere la crisi come “occasione di discernimento e di nuova progettualità”. Il Papa auspica una “riprogettazione globale dello sviluppo” ricordando che “il primo capitale da salvaguardare è l’uomo, la persona, nella sua integrità”.

Aggiunge il Papa che è richiesta “una nuova approfondita riflessione senso dell’economia e dei suoi fini, nonché sul revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.

Riguardo alla globalizzazione, spesso invocata come limite invalicabile alla messa in atto di politiche economiche innovative ed eque, il Papa ricorda che “se si legge de terministicamente la globalizzazione si perdono i criteri per valutarla ed orientarla... Occorre quindi impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria.

Riguardo a ciò che possiamo fare tutti noi il Papa ritiene che sia “necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono, e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”.

Come uomini, come cattolici, come fautori di quel personalismo comunitario richiamato anche dal Papa, non possiamo fare a meno sia di farci profondamente interrogare da queste osservazioni che di adeguare alle stesse il nostro impegno culturale e politico.

Cari saluti.

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