Fra tanti altri, tre grossi problemi si stagliano davanti alla società italiana e vanno affrontati nel breve periodo, pena l’accelerarsi del declino del nostro Paese.
In primo luogo il degrado morale e civile della nostra gioventù, bene evidenziato dall’allarme dato dalla Chiesa e da altre Istituzioni attente alla dimensione morale e civile con l’enfasi posta sulla cosiddetta “emergenza educativa”.
Del secondo problema i media parlano di meno, ma le famiglie lo sentono sempre più. Si tratta dell’avanzare dell’età media della popolazione con l’aumento del numero degli anziani e la necessità di una maggiore cura degli stessi.
Il terzo problema è di natura diversa, ma altrettanto importante. Ormai tutti gli studiosi più avveduti e imparziali evidenziamo come la vera palla al piede dello sviluppo del Paese sia un sistema della Pubblica Amministrazione pletorico e troppo burocratico.
Partiamo da quest’ultimo aspetto per analizzarlo e presentare una proposta provocatoria nella sua voluta rozzezza ma che si confida possa diventare base di discussione per qualcosa di più raffinato e concretamente realizzabile.
Parto da una esperienza personale.
Negli anni ’90 dello scorso secolo, nella azienda nella quale lavoravo (ma anche in tante altre aziende,) si sperimentavano progetti che tendevano ad aumentare la qualità del lavoro soprattutto mediante la semplificazione delle procedure. Si era notato, in particolare nelle grandi aziende, che certi processi interni, magari nati con le migliori intenzioni per risolvere determinati problemi, si erano mantenuti nel tempo anche quando la loro necessità era venuta meno. Ciò provocava un appesantimento dei tempi di lavoro, una diminuzione di produttività e di efficienza, una minore soddisfazione dei Clienti.
Ricordo con chiarezza, il gran numero di progetti di semplificazione che vennero presentati (anche perché era previsto un allettante premio per i migliori) e ho ben evidente ancora il grosso miglioramento avuto in termini di produttività.
Il guaio venne quando l’azienda procedette ad una diminuzione di personale a seguito della possibilità di eseguire la stessa attività con meno passi procedurali e con un minor numero di operazioni, e pertanto con meno persone.
L’anno successivo il numero di progetti diminuì sensibilmente perché le persone avevano ben capito che la burocrazia poteva sì essere faticosa ma era utilissima per salvare il posto di lavoro.
Chi scrive non crede troppo nelle statistiche (anche perché ha avuto esperienza di come spesso gli stessi dati possono essere utilizzati per provare due tesi opposte) ma sfida chiunque sia stato utente della P.A. a non essersi accorto che certe procedure burocratiche sono assolutamente inutili. Certo, ora meno di 10 anni fa, ma sicuramente anche ora.
Non si può peraltro chiedere agli impiegati pubblici, fra l’altro particolarmente sensibili e portati alla difesa del loro posto fisso garantito, di indicare spontaneamente le attività obsolete ed inutili delle loro procedure democratiche, con il rischio di diventare loro stessi persone in esubero.
Si potrebbe però innanzitutto richiedere ad una Società privata (magari estera….) di analisi di processi, di effettuare una revisione accurata delle procedure della P.A. (sia quella centrale che locale) per individuare i passaggi inutili in eccesso (la cosiddetta “burocrazia”) e suggerire soluzioni per effettuare le stesse attività con un minor numero di risorse (ad esempio, mediante accorpamenti e accentramenti di uffici che svolgono le stesse mansioni, eliminazioni di enti inutili ecc.). Il tutto ovviamente mantenendo inalterata (o accrescendo) la produttività.
Sono operazioni non difficili che si fanno tutti i giorni nelle imprese private.
Al termine di questa operazione è prevedibile che risulti un gran numero di persone in eccesso.
Qui scatta la seconda parte dell’operazione.
Certo non si può chiedere a quel 10-15% di persone esuberanti di lasciare il posto di lavoro o di andare nella cosiddetta mobilità (in pratica licenziamento con parziale retribuzione temporanea). Anche perché l’operazione coinvolgerebbe migliaia di persone (fra Enti centrali e locali) e farebbe calare la domanda globale interna con effetti recessivi non auspicabili specialmente di questi tempi.
Bisogna però chiedersi, in maniera rude e provocatoria, se non ci sarebbe l’opportunità di ridurre ugualmente le risorse umane della P.A. offrendo particolari condizioni a chi decidesse liberamente di accettare una alternativa.
Ecco allora la proposta.
Non si tratta di mandare le persone in mobilità o, peggio, di licenziarle (fra l'altro due opzioni impossibili con l'attuale normativa), ma bensì di dar loro come lavoro quello di tornare in famiglia per occuparsi dei figli o di genitori anziani. Si tratterebbe sempre di un lavoro pubblico e sicuramente di utilità sociale reale.
Poiché a queste persone dovrebbe essere garantito ugualmente il livello salariale e la posizione contributiva, si potrebbe pensare o ad una permanenza nell’Ufficio in cui sono incardinati (magari considerandoli “in distacco” presso la famiglia) o inserendoli tutti in una struttura amministrativa costituita ad hoc (con il rischio, però, di creare un altro carrozzone).
Resta ovvio che realmente le persone dovrebbero occuparsi della famiglia e non svolgere attività in nero (magari prevedendo, in caso di inosservanza, pene pecuniarie altissime).
La proposta dovrebbe essere “orientata” verso i dipendenti meno giovani, in modo da abbassare il livello di età e aumentare il livello di capacità creativa, di digitalizzazione e innovazione (proprie dei giovani) dell’intera P.A.
Il tutto dovrebbe essere fatta su base di libera scelta anche se magari, in alcune occasioni, si renderà necessaria anche una “spinta” alla decisione.
I vantaggi per la società civile sarebbero:
1) una maggior velocità ed efficacia della P.A.;
2) un maggior sostegno personalizzato a figli e a genitori anziani;
3) un abbassamento del livello di età dei pubblici dipendenti.
Tali vantaggi sarebbero sicuramente esuberanti rispetto al fatto di dover pagare ugualmente gli stipendi a persone in esubero rispetto alle necessità produttive.
Ma la vera novità consiste nel grado di aiuto che questa operazione potrebbe avere nel contribuire a risolvere gli altri due problemi (giovani e anziani) evidenziati all’inizio di questo articolo.
Infatti la massa di persone libere dal loro lavoro (ma pur sempre incardinate in qualche modo nella P.A.) dovrebbe essere spinta, magari anche attraverso corsi adeguati di riqualificazione, a svolgere con maggiore attenzione il ruolo a loro spettante all’interno della famiglia.
Genitori dovrebbero riprendere a occuparsi a tempo pieno dell’educazione, non solo scolastica, ma anche morale e civile, dei loro figli.
Figli adulti dovrebbero avere tempo per dedicarsi ad accudire genitori anziani bisognosi di cure ed assistenza. Ciò fra l’altro provocherebbe anche una riduzione dei costi per l’assistenza sociale e sanitaria.
Chi non avesse figli o genitori o parenti stretti bisognosi di aiuto potrebbe essere spinto ad accedere ad associazioni di volontariato già esistenti o create ad hoc.
Si attendono commenti, critiche, contributi in grado di raffinare la proposta.