Raccontata da una amica insegnante di liceo a Roma.
Poco meno di un mese fa il Preside (o Dirigente scolastico?), con una nota sul sito della scuola, ammonisce duramente gli studenti (e i relativi genitori) a non OCCUPARE la scuola perché incorrerebbero in un invito alla polizia a liberare i locali nonché in pesanti provvedimenti disciplinari.
Ovviamente il giorno dopo gli studenti ovviamente occupano con motivi pretestuosi ("Renzi vattene", "non alternanza scuola-lavoro da McDonald"...).
Il Preside chiama la polizia ma non chiede lo sgombero e negozia con gli studenti per trasformare l'occupazione in COGESTIONE (ovvero, in sostanza, facciamo finta di decidere insieme qualcosa da fare, in effetti voi decidete e i docenti si dedicano alla sorveglianza dei locali per prevenire ed evitare danneggiamenti).
Dopo tre giorni di occupazione si passa alla cogestione per una settimana.
Poi gli studenti terminano la protesta (??!!) più che altro perché si sono stufati e perché dentro la scuola fa freddo nel pomeriggio e di notte.
Il Preside convoca un collegio docenti e, in quella sede, si decide di SOSPENDERE i ragazzi che hanno partecipato alla occupazione con 14 giorni di sospensione con obbligo di frequenza (non 15 giorni perché altrimenti scatterebbe automaticamente il 5 in condotta e la conseguente bocciatura).
Piccolo problema: come individuare i ragazzi che hanno partecipato all'occupazione? semplice i genitori dei ragazzi che ho hanno partecipato devono dichiararlo con una AUTOCERTIFICAZIONE!
Conseguenza, la scuola era piena di ragazzi occupanti (come dimostrano ampiamente le foto pubblicate da loro stessi su facebook) mentre all'atto pratico tutti i genitori, tranne forse neppure una decina, hanno fatto la dichiarazione di non partecipazione.
E come si fa, si chiede il Preside, a sanzionare solo quei poveri ragazzi i cui genitori sono stati onesti? Si vanno a vedere le foto pubblicate? No!!
La soluzione alternativa è semplice e tempestiva!!
Ieri la mia amica docente è stata raggiunta da una telefonata della vicepreside che, in maniera ipocrita ma chiara, le chiedeva di telefonare a uno dei genitori onesti per suggerirgli di firmare e inviare una FALSA dichiarazione di non partecipazione.
E analoghe telefonate sono arrivate ad altri docenti.
Conclusione, dalla iniziale nota "fulmini e fiamme" del Preside si è arrivati ad una sanatoria generalizzata.
Poi dite che ce l'ho con il "BUONISMO" ma pensate che simili comportamenti siano efficaci per instillare in giovani e adulti il senso civico e il principio della legalità?
In una azienda privata seria il Dirigente in questione (il Preside) sarebbe stato LICENZIATO per comportamento gravemente lesivo dell'immagine e degli interessi dell'azienda.
E, ultima considerazione, chi pensa che con un Ministro sindacalista e diplomato in Scienze umane, la situazione generale potrà migliorare?
Non esistono due persone che non si comprendono, solo due persone che non comunicano (proverbio africano)
giovedì 15 dicembre 2016
giovedì 17 novembre 2016
Democrazia governata o governante?
Secondo gli scienziati della politica, ci sono due visioni diverse della democrazia, la democrazia governata, che dà la priorità ai meccanismi di funzionamento della decisione a prescindere dalla snellezza, e la democrazia governante che, ferma restando la maggior parte dei meccanismi di garanzia, dà la priorità all'efficienza del sistema e alla velocità di decisione.
Per storia e cultura personale, sono affezionato alla prima visione (che ha funzionato benissimo in Italia fino agli anni '80...), ora non so se questa visione sia adeguata ad affrontare le sfide di un mondo globale, liquido e competitivo, nel quale acquista sempre più importanza la capacità di decidere e di decidere in fretta.
Certo è importante, anzi fondamentale, conservare una cintura istituzionale di garanzia democratiche.
Mi pare che la riforma Boschi sostanzialmente contenga tale cintura: 1) il ruolo della Camera rimane inalterato; 2) il Senato mantiene parte dei poteri e può, agendo in simbiosi, con le Regioni, tutelare meglio gli interessi delle comunità locali; 3) c'è lo strumento (ora inesistente) del referendum di tipo propositivo; 4) rimangono i poteri del Capo dello Stato (che anche oggi, dal quarto scrutinio in poi, potrebbe essere eletto direttamente dalla maggioranza di Governo); 5) è pienamente confermato il ruolo della Corte Costituzionale.
Rispetto alla situazione attuale ciò che veramente avviene è solo un depotenziamento del Senato (che non dà più la fiducia al Governo) e delle Regioni che su alcune materie precise di interesse nazionali (sanità, istruzione, grandi infrastrutture, energia..) perdono il potere di interdizione.
Siamo di fronte ad una deriva autoritaria? è legittima un'opinione del genere, io ne ho una diversa.
Se vincerà il no non mi strapperò i capelli (ce ne ho anche pochi...), da tempo ho smesso di illudermi sugli Italiani (ma esistono poi realmente gli italiani?....).
Mi dispiace solo per i più giovani (non per quelli ricchi che se ne vanno a studiare e a lavorare all'estero, ma per quelli con meno risorse familiari, che devono restare in Italia).
Per storia e cultura personale, sono affezionato alla prima visione (che ha funzionato benissimo in Italia fino agli anni '80...), ora non so se questa visione sia adeguata ad affrontare le sfide di un mondo globale, liquido e competitivo, nel quale acquista sempre più importanza la capacità di decidere e di decidere in fretta.
Certo è importante, anzi fondamentale, conservare una cintura istituzionale di garanzia democratiche.
Mi pare che la riforma Boschi sostanzialmente contenga tale cintura: 1) il ruolo della Camera rimane inalterato; 2) il Senato mantiene parte dei poteri e può, agendo in simbiosi, con le Regioni, tutelare meglio gli interessi delle comunità locali; 3) c'è lo strumento (ora inesistente) del referendum di tipo propositivo; 4) rimangono i poteri del Capo dello Stato (che anche oggi, dal quarto scrutinio in poi, potrebbe essere eletto direttamente dalla maggioranza di Governo); 5) è pienamente confermato il ruolo della Corte Costituzionale.
Rispetto alla situazione attuale ciò che veramente avviene è solo un depotenziamento del Senato (che non dà più la fiducia al Governo) e delle Regioni che su alcune materie precise di interesse nazionali (sanità, istruzione, grandi infrastrutture, energia..) perdono il potere di interdizione.
Siamo di fronte ad una deriva autoritaria? è legittima un'opinione del genere, io ne ho una diversa.
Se vincerà il no non mi strapperò i capelli (ce ne ho anche pochi...), da tempo ho smesso di illudermi sugli Italiani (ma esistono poi realmente gli italiani?....).
Mi dispiace solo per i più giovani (non per quelli ricchi che se ne vanno a studiare e a lavorare all'estero, ma per quelli con meno risorse familiari, che devono restare in Italia).
domenica 13 novembre 2016
Riforma istituzionale perfetta?
Non ho mai scritto che la riforma istituzionale sia perfetta.
Il SI o il NO non è alla perfezione della riforma ma alla convinzione che sia comunque meglio della situazione attuale.
1) E' meglio o no avere una sola Camera con pieni poteri politici o avere due Camere con pari poteri (anche se le modalità di elezione dei senatori vanno sicuramente perfezionate)?
2) E' meglio o no avere riportato nelle competenza dello Stato centrale alcune competenze di interesse nazionale prima in concorrenza con la competenza delle Regioni (sanità, istruzione, energia....)?
3) E' meglio o no abolire il CNEL, ideato nel 1948 sull'onda della teoria corporativistica e ormai nettamente superato dal contesto sociale?
4) è meglio o no aver ridotto da 315 a 105 il numero dei senatori (anche se sarebbe stato forse preferibile eliminarli del tutto)?
Il confronto va fatto fra la situazione attuale e quella delineata dalla riforma, non fra la riforma proposta e una considerata perfetta (e impossibile...).
Il perfetto e l'ottimo sono nemici del bene.
Il SI o il NO non è alla perfezione della riforma ma alla convinzione che sia comunque meglio della situazione attuale.
1) E' meglio o no avere una sola Camera con pieni poteri politici o avere due Camere con pari poteri (anche se le modalità di elezione dei senatori vanno sicuramente perfezionate)?
2) E' meglio o no avere riportato nelle competenza dello Stato centrale alcune competenze di interesse nazionale prima in concorrenza con la competenza delle Regioni (sanità, istruzione, energia....)?
3) E' meglio o no abolire il CNEL, ideato nel 1948 sull'onda della teoria corporativistica e ormai nettamente superato dal contesto sociale?
4) è meglio o no aver ridotto da 315 a 105 il numero dei senatori (anche se sarebbe stato forse preferibile eliminarli del tutto)?
Il confronto va fatto fra la situazione attuale e quella delineata dalla riforma, non fra la riforma proposta e una considerata perfetta (e impossibile...).
Il perfetto e l'ottimo sono nemici del bene.
sabato 12 novembre 2016
Perché Mattarella dovrà sciogliere le Camere...
Gianroberto Casaleggio aveva tratteggiato la strategia politica del M5S sull'ipotesi che nel 2017 ci sarebbero state le elezioni anticipate.
Poiché ho sempre pensato che Casaleggio fosse un tipo pericoloso per la democrazia ma non un matto irrazionale, ho cercato di comprendere i motivi di questa sua ipotesi e alla fine li ho compresi.
Tutto si ricollega a due eventi, il referendum sulla riforma istituzionale e l'implementazione del nuovo sistema elettorale.
Se il referendum sarà vinto dai SI alla riforma, ci troveremo di fronte ad un assetto istituzionale completamente diverso da quello vigente nel momento in cui l'attuale Parlamento fu eletto (basta pensare all'abolizione del bicameralismo perfetto, al ribilanciamento delle competenze fra Stato centrale e Regione e alla introduzione del referendum propositivo come ulteriore strumento di democrazia diretta).
Si aggiunge che avrebbe piena attuazione anche il sistema elettorale dell'Italicum (nella forma attuale o, più probabilmente, in quella successivamente modificata) e che pertanto l'attuale Parlamento risulterebbe eletto con un sistema elettorale completamente differente da quello vigente.
Mattarella, se vuole essere fedele ad una interpretazione corretta del suo ruolo, non potrebbe non sciogliere un Parlamento eletto in un contesto istituzionale profondamente modificato e con una legge elettorale completamente diversa. E' un classico caso di scioglimento anticipato che si legge nei manuali di Diritto Costituzionale.
Ma anche nel caso di vittoria del NO probabilmente l'esito non sarebbe diverso.
C'è il precedente del gennaio 1994 quando il Presidente Scalfaro sciolse le Camere perché, a seguito dei referendum elettorali del 1993, si era nella classica situazione di un Parlamento delegittimato in quanto eletto con un sistema elettorale diverso da quello vigente.
Va anche aggiunto che difficilmente Mattarella potrebbe, da un punto di vista politico e non più istituzionale, reggere la pressione di una esplicita richiesta delle opposizioni sulla base della circostanza che la maggioranza governativa, battuta al referendum, non rappresenterebbe più la maggioranza del Paese.
Mattarella potrebbe peraltro opporsi sia per la necessità di tempo per approvare un sistema elettorale nuovo per Senato (non troppo difforme da quello in essere per la Camera) sia perché, in fondo, la scadenza naturale delle elezioni politiche sarebbe comunque vicina, nel 2018.
Si può concludere, dando ragione a Casaleggio che, nel caso di vittoria del SI lo scioglimento sarebbe pressoché automatico, nel caso di vittoria del NO altamente probabile.
Poiché ho sempre pensato che Casaleggio fosse un tipo pericoloso per la democrazia ma non un matto irrazionale, ho cercato di comprendere i motivi di questa sua ipotesi e alla fine li ho compresi.
Tutto si ricollega a due eventi, il referendum sulla riforma istituzionale e l'implementazione del nuovo sistema elettorale.
Se il referendum sarà vinto dai SI alla riforma, ci troveremo di fronte ad un assetto istituzionale completamente diverso da quello vigente nel momento in cui l'attuale Parlamento fu eletto (basta pensare all'abolizione del bicameralismo perfetto, al ribilanciamento delle competenze fra Stato centrale e Regione e alla introduzione del referendum propositivo come ulteriore strumento di democrazia diretta).
Si aggiunge che avrebbe piena attuazione anche il sistema elettorale dell'Italicum (nella forma attuale o, più probabilmente, in quella successivamente modificata) e che pertanto l'attuale Parlamento risulterebbe eletto con un sistema elettorale completamente differente da quello vigente.
Mattarella, se vuole essere fedele ad una interpretazione corretta del suo ruolo, non potrebbe non sciogliere un Parlamento eletto in un contesto istituzionale profondamente modificato e con una legge elettorale completamente diversa. E' un classico caso di scioglimento anticipato che si legge nei manuali di Diritto Costituzionale.
Ma anche nel caso di vittoria del NO probabilmente l'esito non sarebbe diverso.
C'è il precedente del gennaio 1994 quando il Presidente Scalfaro sciolse le Camere perché, a seguito dei referendum elettorali del 1993, si era nella classica situazione di un Parlamento delegittimato in quanto eletto con un sistema elettorale diverso da quello vigente.
Va anche aggiunto che difficilmente Mattarella potrebbe, da un punto di vista politico e non più istituzionale, reggere la pressione di una esplicita richiesta delle opposizioni sulla base della circostanza che la maggioranza governativa, battuta al referendum, non rappresenterebbe più la maggioranza del Paese.
Mattarella potrebbe peraltro opporsi sia per la necessità di tempo per approvare un sistema elettorale nuovo per Senato (non troppo difforme da quello in essere per la Camera) sia perché, in fondo, la scadenza naturale delle elezioni politiche sarebbe comunque vicina, nel 2018.
Si può concludere, dando ragione a Casaleggio che, nel caso di vittoria del SI lo scioglimento sarebbe pressoché automatico, nel caso di vittoria del NO altamente probabile.
lunedì 10 ottobre 2016
Emozionalismo, individualismo....
Le crisi sociali, economiche, politiche hanno sempre dei presupposti di natura culturale.
Si influisce di più (e più a lungo..) con una prevalenza culturale che con una maggioranza parlamentare.
E' la cultura che recepisce ed elabora gli stimoli e le domande che riceve dalla società e, di contro, formula risposte forgiando modelli di comportamento, fissando ruoli, costruendo istituzioni.
Ora a me pare che l'attuale crisi socio-economica e politica trova i suoi fondamenti e le sue cause nel prevalere di due schemi culturali.
Il primo è l'emozionalismo che porta a compiere scelte solo o perlopiù sulla base di emozioni o interne o indotte, anche subdolamente, dall'esterno.
Il secondo è l'individualismo che porta gli essere umani a compiere scelte sulla base dell'esclusivo tornaconto individuale (o magari di gruppo di interessi) a prescindere dalla valutazione degli impatti sul bene comune (o interesse collettivo).
Per superare la crisi occorre superare questi due schemi con altri due alternativi.
Il primo è il razionalismo che porta controllare (non reprimere) e indirizzare le proprie emozioni verso comportamenti e obiettivi elaborati con l'aiuto della ragione.
Il secondo è il solidarismo che porta a conciliare l'interesse individuale con l'interesse collettivo.
Che ne dite?
Si influisce di più (e più a lungo..) con una prevalenza culturale che con una maggioranza parlamentare.
E' la cultura che recepisce ed elabora gli stimoli e le domande che riceve dalla società e, di contro, formula risposte forgiando modelli di comportamento, fissando ruoli, costruendo istituzioni.
Ora a me pare che l'attuale crisi socio-economica e politica trova i suoi fondamenti e le sue cause nel prevalere di due schemi culturali.
Il primo è l'emozionalismo che porta a compiere scelte solo o perlopiù sulla base di emozioni o interne o indotte, anche subdolamente, dall'esterno.
Il secondo è l'individualismo che porta gli essere umani a compiere scelte sulla base dell'esclusivo tornaconto individuale (o magari di gruppo di interessi) a prescindere dalla valutazione degli impatti sul bene comune (o interesse collettivo).
Per superare la crisi occorre superare questi due schemi con altri due alternativi.
Il primo è il razionalismo che porta controllare (non reprimere) e indirizzare le proprie emozioni verso comportamenti e obiettivi elaborati con l'aiuto della ragione.
Il secondo è il solidarismo che porta a conciliare l'interesse individuale con l'interesse collettivo.
Che ne dite?
lunedì 12 settembre 2016
La teoria dell' EQUILIBRIO.
Quando avevo circa 20 anni formulai tra me e me una "teoria dell' EQUILIBRIO" che trovo oggi tuttora valida.
1) se si va verso un eccesso di SOLIDARIETA' si provoca un deficit di capacità di INIZIATIVA (e viceversa);
2) se si va verso un eccesso di GIUSTIZIA si provoca un deficit di LIBERTA' (e viceversa);
3) se si va verso un eccesso di FEDE si provoca un deficit di RAZIONALISMO (e viceversa);
4) se si va verso un eccesso di PESSIMISMO si vive male, se si va verso un eccesso di OTTIMISMO si rischiano grosse delusioni.
E così via. Ne concludevo che solidarietà e iniziativa, giustizia e libertà, fede e ragione, pessimismo e ottimismo non possono essere convissute insieme nella loro massima espressione, ma vanno conciliate in un punto di EQUILIBRIO, peraltro non fisso e stabile nel tempo, ma variabile in funzione delle contrapposte forze in campo
lunedì 29 agosto 2016
La sorgente di ogni violenza
Riflessioni personali a seguito di una meditazione ascoltata a Pomaio in questi giorni sulla storia di Caino e Abele.
Questa storia insegna, specialmente (ma non solo..) a chi crede che la SORGENTE della VIOLENZA è nei RIFIUTO del FRATELLO.
Chi crede nella Bibbia non può non rendersi conto che la DIVERSITA' del fratello è nel DISEGNO di Dio.
Occorre, se si vuole essere coerenti, APRIRSI al fratello, dilatare la mente e il cuore per accogliere la diversità del fratello.
ACCOGLIERE non vuol dire subito o solo accettare o condividere, si può transitare (ma anche sostare indefinitamente) nelle fasi della SOPPORTAZIONE o DELLA RASSEGNAZIONE.
E non bisogna dar retta al semplicismo di chi dice che ogni diversità è frutto di ARRICCHIMENTO, spesso accogliere la diversità comporta un depauperamento, una PERDITA.
Alcune strade che un credente può percorrere per arrivare ad aprirsi (almeno un po') al fratello:
1) ascolto di Dio nella PREGHIERA;
2) ascolto di Dio nella COSCIENZA personale;
3) ascolto di Dio nel DIALOGO con i fratelli.
Antinomie non componibili uno volta per tutte né in maniera semplice e indolore:
A) antinomia fra misericordia e giustizia;
B) antinomia fra carità e verità;
C) antinomia fra comunità e pluralismo;
D) antinomia fra mente e cuore.
Scusate la lunghezza della riflessione; ma esiste sempre la possibilità di abbandonare la lettura.
Buona settimana.
martedì 16 agosto 2016
Comunione e fraternità.
Riflessione di un credente durante il soggiorno a Vienna e la bella esperienza di fraternità (anche leggendo un libro di selezione di scritti di Chiara Lubich)
Se Gesù ha pregato il Padre "affinché tutti sia no uno" significa che il suo massimo desiderio è che fra gli uomini esista lo stesso spirito di comunione che esiste nella Trinità.
E questo spirito si può tradurre unicamente in una voglia intensa di e una dedizione continua a costruire momenti sempre più intensi e frequenti di fraternità.
Il mio motto personale "costruire positivo" deve essere vissuto alla luce di questo fine.
Se Gesù ha pregato il Padre "affinché tutti sia no uno" significa che il suo massimo desiderio è che fra gli uomini esista lo stesso spirito di comunione che esiste nella Trinità.
E questo spirito si può tradurre unicamente in una voglia intensa di e una dedizione continua a costruire momenti sempre più intensi e frequenti di fraternità.
Il mio motto personale "costruire positivo" deve essere vissuto alla luce di questo fine.
mercoledì 13 luglio 2016
Pensieri sparsi in tema di società liquida
Società liquida perché nel
tempo che si impiega per comprendere pienamente gli elementi di una
determinata situazione, la stessa già si è modificata perché la
società cambia ad una velocità sempre maggiore.
Diventa necessario aumentare costantemente la velocità di comprensione dei problemi e delle decisioni da prendere. Comportamento obbligatorio anche a causa della competizione sociale.
Diventa necessario aumentare costantemente la velocità di comprensione dei problemi e delle decisioni da prendere. Comportamento obbligatorio anche a causa della competizione sociale.
Necessità di ricorrere
sempre più massicciamente all'informatica.
Quattro ordini di problemi e di rischi:
Quattro ordini di problemi e di rischi:
- frammentazione sempre più netta e gerarchizzazione della popolazione di una nazione in funzione della capacità di comprensione e della velocità nella stessa;
- frammentazione sempre più netta e gerarchizzazione delle nazioni del mondo in funzione della capacità di comprensione e della velocità nella stessa;
- sempre maggiore difficoltà nel comunicare efficacemente, e sempre maggior facilità di manipolare la comunicazione;
- alta probabilità di prendere decisioni approssimative non essendo possibile pervenire ad una piena comprensione delle situazione ed essendo obbligati a decidere dalla presenza di concorrenti.
Conseguenze di ordine
politico.
Se è sempre più difficile per la maggioranza delle persone comprendere appieno tutti gli elementi di una determinata situazione sociale e prendere la decisione più opportuna in tempi brevi, come sarà possibile fare questo in un regime democratico nel quale le decisioni vanno prese a maggioranza e con processi incompatibili con la velocità?
D'altra parte rinunciare a decidere, mantenendo un passo lento, non sarebbe innocuo. Le comunità che decidessero di stare fuori del giro della velocità indotta dalla società liquida, imboccherebbero il rapido tunnel dell'arretratezza.
Dobbiamo avviarci verso forme nuove di necessaria dittatura per riuscire a governare efficientemente e velocemente una nazione?
Dobbiamo aspettarci nuovi rischi di guerra dovuti alla crescente frammentazione e gerarchizzazione (con conseguente aumento della forbice della ricchezza) fra le nazioni?
Cosa comporterà la necessaria approssimazione delle decisioni prese di corsa senza il possesso di tutti gli elementi necessari?
Soluzioni????
Se è sempre più difficile per la maggioranza delle persone comprendere appieno tutti gli elementi di una determinata situazione sociale e prendere la decisione più opportuna in tempi brevi, come sarà possibile fare questo in un regime democratico nel quale le decisioni vanno prese a maggioranza e con processi incompatibili con la velocità?
D'altra parte rinunciare a decidere, mantenendo un passo lento, non sarebbe innocuo. Le comunità che decidessero di stare fuori del giro della velocità indotta dalla società liquida, imboccherebbero il rapido tunnel dell'arretratezza.
Dobbiamo avviarci verso forme nuove di necessaria dittatura per riuscire a governare efficientemente e velocemente una nazione?
Dobbiamo aspettarci nuovi rischi di guerra dovuti alla crescente frammentazione e gerarchizzazione (con conseguente aumento della forbice della ricchezza) fra le nazioni?
Cosa comporterà la necessaria approssimazione delle decisioni prese di corsa senza il possesso di tutti gli elementi necessari?
Soluzioni????
venerdì 24 giugno 2016
Maggioranza sfigata o avanguardia creativa e felice? usare il portafoglio !
La consapevolezza che la nostra
esistenza e le nostre scelte siamo ampiamente condizionate, se non
completamente determinate, da quella che Papa Francesco definisce
“tirannia” dei mercati finanziari internazionali, finora presente
in una ristretta cerchia di esperti economisti e sociologi, dotati di
una spiccata sensibilità sociale, sta ora diffondendosi e diventando
patrimonio comune di un'ampia fetta di opinione pubblica nazionale e
internazionale.
O con la promessa di mirabolanti guadagni tramite redditizi investimenti finanziari (tanto più rischiosi quanto più redditizi...), o con la minaccia di reazioni negative da parte dei mercati internazionali (se non si vota così sale l'esposizione finanziaria, di conseguenza sale lo spread, e di conseguenza ancora salgono le tasse...) le nostre scelte di ogni giorno vengono indirizzate da fattori esterni che sembrano fuori della nostra portata.
Ma è veramente così? Veramente ognuno di noi è nell'impossibilità di fare qualcosa per difendere la propria dignità di essere libero e pensante, desideroso di autodeterminarsi?
O con la promessa di mirabolanti guadagni tramite redditizi investimenti finanziari (tanto più rischiosi quanto più redditizi...), o con la minaccia di reazioni negative da parte dei mercati internazionali (se non si vota così sale l'esposizione finanziaria, di conseguenza sale lo spread, e di conseguenza ancora salgono le tasse...) le nostre scelte di ogni giorno vengono indirizzate da fattori esterni che sembrano fuori della nostra portata.
Ma è veramente così? Veramente ognuno di noi è nell'impossibilità di fare qualcosa per difendere la propria dignità di essere libero e pensante, desideroso di autodeterminarsi?
Forse no, forse qualcosa si può fare.
Prendo lo spunto da un episodio
verificatosi nella mia vita circa 12 anni fa.
Nell'azienda per la quale lavoravo era pienamente in atto un'altra tornata di licenziamenti e una gran parte di noi era altamente allarmata dalla possibilità di perdere il posto di lavoro.
Mi ricordo (e come potrei dimenticarlo?) un colloquio con una nostra collega molto in gamba, professionalmente preparata ma anche culturalmente e spiritualmente formata, alche impegnata nel volontariato, nel corso del quale lei mi disse: “sai Giuseppe, fino a qualche giorno fa ero preoccupata, poi ho pensato che, infondo mia nonna faceva la contadina e viveva bene, con bellissime relazioni personali con parenti e con amici. Se mi licenziassero, certamente mi darò da fare per trovare un lavoro alternativo basato sulla mia professionalità ma, anche se non lo trovassi, sono certa che non morirò di fame. Al limite mi rimetterò anche io a coltivare la terra”.
Ecco, questo è il primo elemento del quale dobbiamo acquistare consapevolezza. Dobbiamo vedere in faccia la realtà e combattere la paura che non sia possibile vivere una esistenza diversa da quella che i mercati internazionali ci comandano, principalmente tramite i media.
Si vive bene, anzi forse si vive meglio:
Nell'azienda per la quale lavoravo era pienamente in atto un'altra tornata di licenziamenti e una gran parte di noi era altamente allarmata dalla possibilità di perdere il posto di lavoro.
Mi ricordo (e come potrei dimenticarlo?) un colloquio con una nostra collega molto in gamba, professionalmente preparata ma anche culturalmente e spiritualmente formata, alche impegnata nel volontariato, nel corso del quale lei mi disse: “sai Giuseppe, fino a qualche giorno fa ero preoccupata, poi ho pensato che, infondo mia nonna faceva la contadina e viveva bene, con bellissime relazioni personali con parenti e con amici. Se mi licenziassero, certamente mi darò da fare per trovare un lavoro alternativo basato sulla mia professionalità ma, anche se non lo trovassi, sono certa che non morirò di fame. Al limite mi rimetterò anche io a coltivare la terra”.
Ecco, questo è il primo elemento del quale dobbiamo acquistare consapevolezza. Dobbiamo vedere in faccia la realtà e combattere la paura che non sia possibile vivere una esistenza diversa da quella che i mercati internazionali ci comandano, principalmente tramite i media.
Si vive bene, anzi forse si vive meglio:
- anche se non si è in possesso dell'ultimo modello di smartphone o di ipad, ma si usa il modello precedente;
- anche se non si va tutte le settimana in palestra, ma si fa una bella corsa nel parco in compagnia di amici;
- anche se non si è continuamente connessi ma se si scambiano 4 chiacchiere di persona con un amico;
- anche se non si compra l'ultimo cibo esotico, ultra propagandato ma si consuma il cibo prodotto localmente e ben conosciuto dai nostri nonni;
- anche se non si segue continuamente l'ultima moda stravagante ma si cerca di usare i bei vestiti comprati negli anni precedenti;
- anche se non si investe in titoli azionari ad alto rischio ma in titoli meno redditizi e a rischio inferiore, magari propostici in sede di finanza etica;
- e così via, avete capito no?
Si tratta di fare delle scelte controcorrente e usare il portafoglio in maniera diversa.
Ma soprattutto si tratta di cambiare lo stile di vita, comprando e consumando i beni necessari e quelli utili e privilegiando, rispetto all'acquisto di beni assolutamente superflui o obsoleti, il consolidamento delle belle e sane amicizie che già abbiamo e all'acquisizione di altre, senza dimenticare la possibilità di dedicare più tempo al godimento delle relazioni familiari.
Studi approfonditi di psicologia
sociale hanno appurato che, raggiunto un certo livello di reddito (un
po' superiore ad un livello dignitoso), la felicità individuale non
cresce con l'eventuale aumento del reddito, ma solo con l'accrescersi
di solide e positive relazioni personali.
Certo questo mutamento di vita comporta
dei costi, il percepire di essere minoranza, i giudizi critici di
alcuni nostri amici e parenti, qualche sguardo di compassione verso
chi vuole vivere da “sfigato”...
Si riesce a andare avanti solo con la consapevolezza che questo procedere controcorrente è l'unico cammino che ci permette di riacquistare la nostra capacità di decidere.
Anzi dovremmo essere fieri di essere non tanto una “minoranza sfigata” quanto una “avanguardia creativa” e, soprattutto,felice
Ma immagino anche la reazione dei miei conoscenti esperti di economia alla lettura di questi pensieri: “Ma sei diventato matto? Se tutti si comportassero come tu suggerisci, ci sarebbe un terribile calo della domanda globale e entreremmo in una recessione senza precedenti. Con la perdita di migliaia di posto di lavoro”.
Si riesce a andare avanti solo con la consapevolezza che questo procedere controcorrente è l'unico cammino che ci permette di riacquistare la nostra capacità di decidere.
Anzi dovremmo essere fieri di essere non tanto una “minoranza sfigata” quanto una “avanguardia creativa” e, soprattutto,felice
Ma immagino anche la reazione dei miei conoscenti esperti di economia alla lettura di questi pensieri: “Ma sei diventato matto? Se tutti si comportassero come tu suggerisci, ci sarebbe un terribile calo della domanda globale e entreremmo in una recessione senza precedenti. Con la perdita di migliaia di posto di lavoro”.
Risponderei serenamente: “perché?
cosa è successo in questi ultimi 10 anni seguendo i suggerimenti e
gli stili di vita imposti dal modello culturale dominante? non
abbiamo forse perso migliaia di posti di lavoro? non abbiamo
aumentato la forbice tra una minoranza sempre più ristretta di
ricchi e una maggioranza sempre più ampia di poveri o di avviati
verso la povertà? non è forse vero che la storia ci ha ormai
dimostrato che, con questi meccanismi economici e finanziari, non si
esce dalla crisi?”
E' certamente vero che uno stile di vita più sobrio e solidale, come quello auspicato in queste considerazioni, causerebbe quasi sicuramente un calo generale del PIL e un aumento provvisorio della disoccupazione.
Ma è anche vero che:
E' certamente vero che uno stile di vita più sobrio e solidale, come quello auspicato in queste considerazioni, causerebbe quasi sicuramente un calo generale del PIL e un aumento provvisorio della disoccupazione.
Ma è anche vero che:
- il PIL non è l'unico strumento per misurare la ricchezza, la più accorta dottrina economica e molte normative finanziarie nazionali (non ultima l'italiana) hanno introdotto il concetto di BES (livello di Benessere Equo e Solidale) per misurare la ricchezza di un Paese non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi (come il grado di felicità individuale e collettiva);
- una società sobria e solidale, non potrebbe non essere anche dinamica e creativa, capace di ridurre, con reti di solidarietà, i disagi di chi perde il posto di lavoro, e di creare nuova occupazione magari in ambito ora trascurati (quale quello importantissimo della cura e dell'attenzione alle persone più deboli);
- non dobbiamo dimenticare che l'uomo è nato per relazionarsi, non per pensare solo a produrre, e che la felicità nasce soprattutto dalle rete delle nostre relazioni parentali e amicali.
Una volta lessi in un libro (purtroppo
ormai non più disponibile) che si può trascorrere l'esistenza sulla
base di due slogan alternativi, magari trovando un giusto
posizionamento fra i due estremi.
Il primo slogan diceva: “Vince chi muore più ricco (di soldi, di potere, di visibilità mediatica..)”.
Il secondo diceva: “Vince chi muore con più amici”.
Il primo slogan diceva: “Vince chi muore più ricco (di soldi, di potere, di visibilità mediatica..)”.
Il secondo diceva: “Vince chi muore con più amici”.
Voi dove vi posizionate?
mercoledì 8 giugno 2016
Roma rinascerà....
Lo scrivo adesso e poi non scriverò più nulla sull'argomento.
Andrò a votare al ballottaggio e cercherò anche stavolta di scegliere il meno peggiore, ma con poche speranze.
Potrà cambiare poco Giachetti finché avrà alle spalle un partito in non piccola parte omogeneo a quei poteri sociali ed economici che hanno portato Roma al disastro.
Potrà cambiare poco la Raggi, certamente disomogenea rispetto ai poteri di cui sopra, ma priva della necessaria forza politica per imporsi ad una burocrazia amministrativa che le remerà contro, legata come è agli interessi dei "soliti noti".
La rinascita di Roma potrà venire solo da un rinnovamento culturale, ossia (in termini più semplici) da un cambio di mentalità.
Ritrovare il senso del dovere, sentirsi responsabili gli uni degli altri, non aspettarsi subito che gli altri facciano qualcosa per noi ma chiedersi prima cosa possiamo fare noi per gli altri, mettere l'interesse collettivo almeno a livello pari a quello individuale e così via, fare questo tutti insieme, giovani e meno giovani, in una alleanza intergenerazionale.
E servirà, seppure gradualmente, abbandonare i vecchi contenitori e i vecchi strumenti e inventarne e costruirne dei nuovi.
Questa è la strada lunga, faticosa ma imprescindibile se si vuol puntare ad una vera e duratura rinascita.
Chi ci sta?
mercoledì 6 aprile 2016
La rivoluzione della velocità
Spesso mi trovo a riflettere su una considerazione espressa da Sergio Zavoli nel suo libro “C’era una volta la prima Repubblica” pubblicato nel 1999 e che, pressappoco, suonava così: “la rivoluzione non è più il cambiamento, ma la velocità con cui questo avviene”.
Zavoli non faceva altro che vedere la realtà che si era andata sviluppando in quell’ultimo decennio dello scorso secolo. La sempre maggiore diffusione degli strumenti informatici (in primo luogo i computer portatili di grande potenza), la modernizzazione e l’accelerazione dei mezzi di trasporto (aerei e treni superveloci), l’avvento e la veloce diffusione di Internet hanno causato un aumento della velocità delle nostre decisioni e dei nostri comportamenti.
Oggi i computer compiono in nanosecondi operazioni che 20 anni fa costavano minuti di calcolo, il web ci scarica addosso miriadi di informazioni che il più delle volte rischiano di sommergerci, il nostro cervello per far fronte a questa invasione di dati è costretto ad accelerare la propria velocità di elaborazione e a comandare al corpo immediati e rapidi comportamenti conseguenti.
Non è un caso che molti ragazzi soffrano oggi di iperattivismo e comunque non appaiano in grado di dedicare il tempo necessario per considerare esaurientemente un tema complesso. Ricevono così tanti input in brevi periodi di tempo che sono costretti a scelte rapide ma soprattutto approssimative, spesso dettate solo dall’emotività.
Scrive bene Bauman nella sua teorizzazione della “società liquida” che i tempi del cambiamento sono ormai così veloci che spesso, nel momento in cui riusciamo a cogliere l’essenza di un cambiamento, questo è già superato.
L’unica soluzione sembra essere quella di accelerare, rischiando di perdere alcuni elementi indispensabili per una corretta valutazione di un fatto, o di limitarsi a vivere il momento presente assumendo decisioni che non tengono conto del passato e che si limitano ad una prospettiva di breve periodo.
Le persone e i Paesi che non cambiano il modo di vivere, accettando questa accelerazione, si trovano ben presto a correre il rischio di essere emarginati.
Certo occorre, d’altra parte, prendere atto che questa rivoluzione della velocità si è rivelata essere uno dei fattori di sviluppo del mondo attuale.
L’utilizzo dei computer è servito per alleviare il lavoro meccanico di tante persone e per migliorare la qualità della vita (basti pensare ai progressi resi possibili nell’ambito della medicina).
La sempre più ampia possibilità di effettuare veloci viaggi virtuali sul web, o viaggi fisici sui mezzi di trasporto ad alta velocità, quella di poter avviare comunicazioni immediate e a basso costo con persone di Paesi lontani, non ultima quella di avere informazioni in diretta sui fatti che si verificano o sui movimenti di opinione che si stanno sviluppando in tutto il mondo, hanno reso quest’ultimo simile ad un villaggio in cui la vicinanza (seppur solo virtuale) è la regola.
Il formidabile vantaggio di questa vicinanza globale deriva dallo scambio di esperienze, di informazioni e di know-how che permette a tutti di poter crescere nelle proprie capacità personali e professionali (quello che A. Sen, Nobel dell’economia chiama “functionning”), di potersi confrontare, di scegliere le soluzioni più vantaggiose per se stessi, per la propria comunità, per il proprio Paese.
Non si possono d’altra parte, sottovalutare i grossi rischi che il mondo sta correndo inseguendo di corsa questa rivoluzione.
Abbiamo già accennato prima alla grande difficoltà che hanno i ragazzi nella possibilità di elaborare esaurientemente e con frutto tutte le informazioni dalle quali sono investiti. Sono il più delle volte costretti a fare delle scelte, non sulla base di criteri di valore o di reale importanza, bensì sulla base della maggiore emozione che una informazione suscita nella propria struttura psicologica. Le decisioni sono prese sulla base dell’emotività e in una prospettiva di breve periodo, perché non si ha il tempo per una riflessione ponderata e di maggior durata (il rischio è che, mentre si spende tempo per la riflessione, un problema cambi profondamente di consistenza rendendo inutile il tempo speso per rifletterci meglio).
Non è detto che la situazione cambi profondamente nel mondo degli adulti. La necessità di prendere decisioni veloci costringe spesso a valutazioni non approfondite e approssimative basate su assunzioni di rischio (potenzialmente errate) e sul presupposto (che il più delle volte si rivela impossibile da realizzarsi) di approfondimenti in un secondo tempo. Anche in questo caso la prospettiva non può essere che di breve periodo, sulla base del bene immediato di chi prende le decisioni, in assenza di una adeguata valutazione delle conseguenze nel medio e lungo periodo che, invece avrebbero potuto suggerire una ben diversa decisione. L’ interesse personale o di una piccola collettività nel breve periodo viene privilegiato rispetto al bene comune in un periodo più lungo, il cui raggiungimento avrebbe potuto meglio beneficiare la persona o la piccola collettività che invece ha deciso diversamente.
Le conseguenze della rivoluzione della velocità possono essere poi disastrose per gli anziani, nei quali la necessità di una maggiore lentezza nei comportamenti è conseguenza diretta del maggior numero di anni sulle spalle. Inoltre una inevitabile e progressiva diminuzione della flessibilità cerebrale li porta ad affrontare con sempre maggiore difficoltà il cambiamento, incluso quello per attività che ormai stanno divenendo praticamente indispensabili quali l’accesso ad internet o l’utilizzo di strumenti ICT sempre più complessi (basta pensare alle difficoltà incontrate dai nostri genitori o nonni nel passaggio alla TV digitale o a quelle che incontrano quotidianamente nei rapporti con istituti bancari dai servizi sempre più automatizzati). Si rischia concretamente di arrivare ad una piena emarginazione e ad un completo isolamento degli anziani.
Va anche approfondito il rapporto fra istituzioni, finanza ed economia, alla luce della rivoluzione della velocità.
La competizione crescente, non solo fra le singole persone, ma anche fra i Paesi, costringe questi ultimi a dotarsi di sistemi istituzionali più rivolti a favorire la rapidità decisionale rispetto alle esigenze di partecipazione popolare. L’emergere di sistemi di potere “personalistici”, il successo economico di regimi a base totalitaria, il ricorso a Governi di tipo “tecnico” parzialmente svincolati dal controllo parlamentare, possono essere visti come la conseguenza a livello istituzionale della rivoluzione della velocità.
Ma anche a livello aziendale le scelte economiche vanno assunte velocemente e spesso sulla base di informazioni sommarie e approssimative. Questo può comportare, nelle aziende, la trasformazione dei dipendenti da collaboratori a meri esecutori di operazioni dettagliatamente programmate (l’importante diventa non capire cosa si fa o perché la si fa, ma farla in maniera conforme a quanto previsto). Anche nelle aziende, come nei casi prima indicati, la prospettiva non può non essere che di breve periodo. Nell’impossibilità di spendere tempo per valutare tutti gli aspetti del problema e le possibili conseguenze delle decisioni, ci si sofferma su quelli più evidenti e immediati, trascurando altri forse più importanti ma che non impattano il breve periodo (conseguenze sull’ambiente, sulla qualità della vita, sulle relazioni con e tra le persone, dipendenti o meno).
C’è un ulteriore aspetto da considerare.
La velocità nella elaborazione delle informazioni e nella esecuzione di comportamenti è certamente necessaria allorché si è investiti da un numero considerevoli di dati in periodi di tempo spesso minimi.
Ma, in un mondo dove la competizione fra nazioni, aziende, persone, rappresenta l’elemento discriminante, per poter emergere (e talvolta anche solo per sopravvivere) non è necessario solo essere veloci, ma anche saper andare più veloce dell’altro.
Potremmo oggi riformulare la frase di Zavoli “la rivoluzione non è il cambiamento, ma la velocità con cui questo avviene” in “la rivoluzione non è più la velocità del cambiamento, ma l’accelerazione continua di questa velocità”.
Cosa vuol dire tutto questo? Cosa significa per le persone essere costrette ad accelerare sempre più, a spingere sempre al massimo il motore del proprio cervello, dei propri arti?
Come si coniuga questa accelerazione con l’aumento, nel mondo, dei suicidi, di fatti criminali apparentemente inspiegabili, l’incremento di malattie nervose quali depressioni, stress ecc.
Come reagisce la parte spirituale, morale, sentimentale di noi, a queste accelerazioni, alla impossibilità di fermarsi a riflettere, a contemplare, ad amare?
Non si tratta di denigrare il mondo moderno, gli strumenti della tecnica, in particolare quelli della più moderna tecnologia, non si tratta di auspicare un impossibile ritorno indietro, ma certo occorre dare una risposta costruttiva (e forse anche creativa) alle domande appena più sopra formulate.
Ne va della nostra capacità di saper costruire una società in cui la persona umana sia ancora al centro.
Zavoli non faceva altro che vedere la realtà che si era andata sviluppando in quell’ultimo decennio dello scorso secolo. La sempre maggiore diffusione degli strumenti informatici (in primo luogo i computer portatili di grande potenza), la modernizzazione e l’accelerazione dei mezzi di trasporto (aerei e treni superveloci), l’avvento e la veloce diffusione di Internet hanno causato un aumento della velocità delle nostre decisioni e dei nostri comportamenti.
Oggi i computer compiono in nanosecondi operazioni che 20 anni fa costavano minuti di calcolo, il web ci scarica addosso miriadi di informazioni che il più delle volte rischiano di sommergerci, il nostro cervello per far fronte a questa invasione di dati è costretto ad accelerare la propria velocità di elaborazione e a comandare al corpo immediati e rapidi comportamenti conseguenti.
Non è un caso che molti ragazzi soffrano oggi di iperattivismo e comunque non appaiano in grado di dedicare il tempo necessario per considerare esaurientemente un tema complesso. Ricevono così tanti input in brevi periodi di tempo che sono costretti a scelte rapide ma soprattutto approssimative, spesso dettate solo dall’emotività.
Scrive bene Bauman nella sua teorizzazione della “società liquida” che i tempi del cambiamento sono ormai così veloci che spesso, nel momento in cui riusciamo a cogliere l’essenza di un cambiamento, questo è già superato.
L’unica soluzione sembra essere quella di accelerare, rischiando di perdere alcuni elementi indispensabili per una corretta valutazione di un fatto, o di limitarsi a vivere il momento presente assumendo decisioni che non tengono conto del passato e che si limitano ad una prospettiva di breve periodo.
Le persone e i Paesi che non cambiano il modo di vivere, accettando questa accelerazione, si trovano ben presto a correre il rischio di essere emarginati.
Certo occorre, d’altra parte, prendere atto che questa rivoluzione della velocità si è rivelata essere uno dei fattori di sviluppo del mondo attuale.
L’utilizzo dei computer è servito per alleviare il lavoro meccanico di tante persone e per migliorare la qualità della vita (basti pensare ai progressi resi possibili nell’ambito della medicina).
La sempre più ampia possibilità di effettuare veloci viaggi virtuali sul web, o viaggi fisici sui mezzi di trasporto ad alta velocità, quella di poter avviare comunicazioni immediate e a basso costo con persone di Paesi lontani, non ultima quella di avere informazioni in diretta sui fatti che si verificano o sui movimenti di opinione che si stanno sviluppando in tutto il mondo, hanno reso quest’ultimo simile ad un villaggio in cui la vicinanza (seppur solo virtuale) è la regola.
Il formidabile vantaggio di questa vicinanza globale deriva dallo scambio di esperienze, di informazioni e di know-how che permette a tutti di poter crescere nelle proprie capacità personali e professionali (quello che A. Sen, Nobel dell’economia chiama “functionning”), di potersi confrontare, di scegliere le soluzioni più vantaggiose per se stessi, per la propria comunità, per il proprio Paese.
Non si possono d’altra parte, sottovalutare i grossi rischi che il mondo sta correndo inseguendo di corsa questa rivoluzione.
Abbiamo già accennato prima alla grande difficoltà che hanno i ragazzi nella possibilità di elaborare esaurientemente e con frutto tutte le informazioni dalle quali sono investiti. Sono il più delle volte costretti a fare delle scelte, non sulla base di criteri di valore o di reale importanza, bensì sulla base della maggiore emozione che una informazione suscita nella propria struttura psicologica. Le decisioni sono prese sulla base dell’emotività e in una prospettiva di breve periodo, perché non si ha il tempo per una riflessione ponderata e di maggior durata (il rischio è che, mentre si spende tempo per la riflessione, un problema cambi profondamente di consistenza rendendo inutile il tempo speso per rifletterci meglio).
Non è detto che la situazione cambi profondamente nel mondo degli adulti. La necessità di prendere decisioni veloci costringe spesso a valutazioni non approfondite e approssimative basate su assunzioni di rischio (potenzialmente errate) e sul presupposto (che il più delle volte si rivela impossibile da realizzarsi) di approfondimenti in un secondo tempo. Anche in questo caso la prospettiva non può essere che di breve periodo, sulla base del bene immediato di chi prende le decisioni, in assenza di una adeguata valutazione delle conseguenze nel medio e lungo periodo che, invece avrebbero potuto suggerire una ben diversa decisione. L’ interesse personale o di una piccola collettività nel breve periodo viene privilegiato rispetto al bene comune in un periodo più lungo, il cui raggiungimento avrebbe potuto meglio beneficiare la persona o la piccola collettività che invece ha deciso diversamente.
Le conseguenze della rivoluzione della velocità possono essere poi disastrose per gli anziani, nei quali la necessità di una maggiore lentezza nei comportamenti è conseguenza diretta del maggior numero di anni sulle spalle. Inoltre una inevitabile e progressiva diminuzione della flessibilità cerebrale li porta ad affrontare con sempre maggiore difficoltà il cambiamento, incluso quello per attività che ormai stanno divenendo praticamente indispensabili quali l’accesso ad internet o l’utilizzo di strumenti ICT sempre più complessi (basta pensare alle difficoltà incontrate dai nostri genitori o nonni nel passaggio alla TV digitale o a quelle che incontrano quotidianamente nei rapporti con istituti bancari dai servizi sempre più automatizzati). Si rischia concretamente di arrivare ad una piena emarginazione e ad un completo isolamento degli anziani.
Va anche approfondito il rapporto fra istituzioni, finanza ed economia, alla luce della rivoluzione della velocità.
La competizione crescente, non solo fra le singole persone, ma anche fra i Paesi, costringe questi ultimi a dotarsi di sistemi istituzionali più rivolti a favorire la rapidità decisionale rispetto alle esigenze di partecipazione popolare. L’emergere di sistemi di potere “personalistici”, il successo economico di regimi a base totalitaria, il ricorso a Governi di tipo “tecnico” parzialmente svincolati dal controllo parlamentare, possono essere visti come la conseguenza a livello istituzionale della rivoluzione della velocità.
Ma anche a livello aziendale le scelte economiche vanno assunte velocemente e spesso sulla base di informazioni sommarie e approssimative. Questo può comportare, nelle aziende, la trasformazione dei dipendenti da collaboratori a meri esecutori di operazioni dettagliatamente programmate (l’importante diventa non capire cosa si fa o perché la si fa, ma farla in maniera conforme a quanto previsto). Anche nelle aziende, come nei casi prima indicati, la prospettiva non può non essere che di breve periodo. Nell’impossibilità di spendere tempo per valutare tutti gli aspetti del problema e le possibili conseguenze delle decisioni, ci si sofferma su quelli più evidenti e immediati, trascurando altri forse più importanti ma che non impattano il breve periodo (conseguenze sull’ambiente, sulla qualità della vita, sulle relazioni con e tra le persone, dipendenti o meno).
C’è un ulteriore aspetto da considerare.
La velocità nella elaborazione delle informazioni e nella esecuzione di comportamenti è certamente necessaria allorché si è investiti da un numero considerevoli di dati in periodi di tempo spesso minimi.
Ma, in un mondo dove la competizione fra nazioni, aziende, persone, rappresenta l’elemento discriminante, per poter emergere (e talvolta anche solo per sopravvivere) non è necessario solo essere veloci, ma anche saper andare più veloce dell’altro.
Potremmo oggi riformulare la frase di Zavoli “la rivoluzione non è il cambiamento, ma la velocità con cui questo avviene” in “la rivoluzione non è più la velocità del cambiamento, ma l’accelerazione continua di questa velocità”.
Cosa vuol dire tutto questo? Cosa significa per le persone essere costrette ad accelerare sempre più, a spingere sempre al massimo il motore del proprio cervello, dei propri arti?
Come si coniuga questa accelerazione con l’aumento, nel mondo, dei suicidi, di fatti criminali apparentemente inspiegabili, l’incremento di malattie nervose quali depressioni, stress ecc.
Come reagisce la parte spirituale, morale, sentimentale di noi, a queste accelerazioni, alla impossibilità di fermarsi a riflettere, a contemplare, ad amare?
Non si tratta di denigrare il mondo moderno, gli strumenti della tecnica, in particolare quelli della più moderna tecnologia, non si tratta di auspicare un impossibile ritorno indietro, ma certo occorre dare una risposta costruttiva (e forse anche creativa) alle domande appena più sopra formulate.
Ne va della nostra capacità di saper costruire una società in cui la persona umana sia ancora al centro.
sabato 26 marzo 2016
A domani
Sabato Santo, tutto sembra finito, non si vede nulla all'orizzonte, sembra il trionfo del nichilismo.
Diceva il Cardinal C. M. Martini che l'epoca attuale gli ricordava il Sabato Santo, nessuna prospettiva concreta, nessun segnale nuovo all'orizzonte, solo la Speranza.
Ma domani sarà .... PASQUA!!!! Un evento inatteso (anche se predetto) che cambia tutto.
E allora aspettiamo anche noi la Pasqua per la nostra epoca attuale, lavorando affinché si verifichi presto.
A domani!!!!
Diceva il Cardinal C. M. Martini che l'epoca attuale gli ricordava il Sabato Santo, nessuna prospettiva concreta, nessun segnale nuovo all'orizzonte, solo la Speranza.
Ma domani sarà .... PASQUA!!!! Un evento inatteso (anche se predetto) che cambia tutto.
E allora aspettiamo anche noi la Pasqua per la nostra epoca attuale, lavorando affinché si verifichi presto.
A domani!!!!
mercoledì 23 marzo 2016
A chi faccio del male?
Chissà se qualche volta vi è capitato di chiedere a chi butta della cartaccia per terra (magari laddove è presente un cestino ad una decina di metri di distanza) o a chi sale sull’autobus dalla porta vietata (anche se il mezzo è semivuoto) o a chi parcheggia in duratura seconda fila (anche se c’è un posto libero venti metri più davanti): “perché lo fai?”.
La risposta esplicita è sempre la stessa: “ma a te che interessa, mica ti sto facendo del male, a chi sto facendo del male?”, la risposta implicita e inespressa è: “ma quanto rompi….”
Questo atteggiamento apparentemente così semplice e insignificante denota una profonda convinzione culturale e una chiara visione della società, una società nella quale sono presenti un insieme di interessi individuali tra loro confliggenti senza che sia presente anche un interesse collettivo a loro sovraordinato.
Questa concezione culturale e questa visione sociale prevedono che affinché una azione venga considerata quantomeno inopportuna ci deve essere un individuo fisicamente presente un cui interesse visibile deve essere danneggiato dall’azione che si sta per compiere.
Nel caso di una carta gettata per terra, di una salita sbagliata sull’autobus, di un parcheggio in seconda fila, il più delle volte l’individuo non c’è e pertanto l’azione è considerata pienamente legittima.
Se poi si cerca di spiegare al vostro interlocutore che sta ledendo l’interesse di tutti (ovvero collettivo) ad un ambiente pulito, ad un più rapido afflusso e deflusso su gli autobus, ad una circolazione automobilistica più scorrevole, vi guarderà sconcertato e, spesso, vi renderete conto che state usando la categoria mentale dell’interesse collettivo perfettamente incomprensibile da chi vi sta ascoltando.
Non vi azzardate poi a spiegare che l’interesse collettivo non è la somma totale degli interessi individuali, ma l’interesse della collettività come agente autonomo e che, quasi sempre, la soddisfazione dell’interesse collettivo permette, nel medio termine, di realizzare anche i singoli interessi individuali meglio di come sarebbero realizzati tramite una azione illegittima nel breve termine. Vi guarderà come se veniste da Marte pensando “questo non solo è un rompiscatole, ma chissà da dove viene?
Il problema diventa più grande quando questo atteggiamento si applica anche a fenomeni più complessi quale, ad esempio il pagamento delle tasse: “se evado le tasse a chi faccio del male? Quale interesse di una persona fisicamente presente ledo?”.
Ma lo stesso ragionamento si applica tutte le volte che il cittadino deve rispettare delle regole di comportamento stabilite “a chi faccio del male se riesco ad evitare una fila?” e così via.
Ma perché è così difficile spiegare che esiste un interesse collettivo (non parliamo per carità di bene comune che è un concetto ancora più difficile) sovraordinato ai singoli interesse individuali la cui realizzazione è conveniente per tutti nel medio termine?
La discussione è aperta ma una idea può essere proposta.
Ci troviamo in un contesto globale in cui gli imput culturali del “qui ed ora” e dell’ “usa e getta” sono spinti da una industria che ha sempre più bisogno di consumatori pronti a stufarsi dei prodotti comprati e ad acquistarne di nuovi, e da forze finanziarie che hanno bisogno di massimizzare il profitto delle loro operazioni nel più breve tempo possibile investendo e disinvestendo rapidamente su prodotti o su monete, a prescindere completamente dalle conseguenze che tali operazioni avranno sul destino delle singole persone.
Questi soggetti industriali e finanziari devono assolutamente evitare che gli individui possano porsi il problema delle conseguenze di una loro azione per se stessi e per gli altri in un periodo appena più lungo di quello sul quale sono abituati (spinti….) ad agire. Ciò causerebbe un ritardo e un intralcio incompatibile con il buon funzionamento di questo modello di sviluppo economico.
Forse se ne esce solo se gli individui riscopriranno la loro dignità di persone, ovvero di essere umani pensanti e ontologicamente connessi gli uni agli altri.
Mi fermo qui perché mi pare di aver messo già molta carne al fuoco, mi aspetto interventi per poter riprendere il confronto.
La risposta esplicita è sempre la stessa: “ma a te che interessa, mica ti sto facendo del male, a chi sto facendo del male?”, la risposta implicita e inespressa è: “ma quanto rompi….”
Questo atteggiamento apparentemente così semplice e insignificante denota una profonda convinzione culturale e una chiara visione della società, una società nella quale sono presenti un insieme di interessi individuali tra loro confliggenti senza che sia presente anche un interesse collettivo a loro sovraordinato.
Questa concezione culturale e questa visione sociale prevedono che affinché una azione venga considerata quantomeno inopportuna ci deve essere un individuo fisicamente presente un cui interesse visibile deve essere danneggiato dall’azione che si sta per compiere.
Nel caso di una carta gettata per terra, di una salita sbagliata sull’autobus, di un parcheggio in seconda fila, il più delle volte l’individuo non c’è e pertanto l’azione è considerata pienamente legittima.
Se poi si cerca di spiegare al vostro interlocutore che sta ledendo l’interesse di tutti (ovvero collettivo) ad un ambiente pulito, ad un più rapido afflusso e deflusso su gli autobus, ad una circolazione automobilistica più scorrevole, vi guarderà sconcertato e, spesso, vi renderete conto che state usando la categoria mentale dell’interesse collettivo perfettamente incomprensibile da chi vi sta ascoltando.
Non vi azzardate poi a spiegare che l’interesse collettivo non è la somma totale degli interessi individuali, ma l’interesse della collettività come agente autonomo e che, quasi sempre, la soddisfazione dell’interesse collettivo permette, nel medio termine, di realizzare anche i singoli interessi individuali meglio di come sarebbero realizzati tramite una azione illegittima nel breve termine. Vi guarderà come se veniste da Marte pensando “questo non solo è un rompiscatole, ma chissà da dove viene?
Il problema diventa più grande quando questo atteggiamento si applica anche a fenomeni più complessi quale, ad esempio il pagamento delle tasse: “se evado le tasse a chi faccio del male? Quale interesse di una persona fisicamente presente ledo?”.
Ma lo stesso ragionamento si applica tutte le volte che il cittadino deve rispettare delle regole di comportamento stabilite “a chi faccio del male se riesco ad evitare una fila?” e così via.
Ma perché è così difficile spiegare che esiste un interesse collettivo (non parliamo per carità di bene comune che è un concetto ancora più difficile) sovraordinato ai singoli interesse individuali la cui realizzazione è conveniente per tutti nel medio termine?
La discussione è aperta ma una idea può essere proposta.
Ci troviamo in un contesto globale in cui gli imput culturali del “qui ed ora” e dell’ “usa e getta” sono spinti da una industria che ha sempre più bisogno di consumatori pronti a stufarsi dei prodotti comprati e ad acquistarne di nuovi, e da forze finanziarie che hanno bisogno di massimizzare il profitto delle loro operazioni nel più breve tempo possibile investendo e disinvestendo rapidamente su prodotti o su monete, a prescindere completamente dalle conseguenze che tali operazioni avranno sul destino delle singole persone.
Questi soggetti industriali e finanziari devono assolutamente evitare che gli individui possano porsi il problema delle conseguenze di una loro azione per se stessi e per gli altri in un periodo appena più lungo di quello sul quale sono abituati (spinti….) ad agire. Ciò causerebbe un ritardo e un intralcio incompatibile con il buon funzionamento di questo modello di sviluppo economico.
Forse se ne esce solo se gli individui riscopriranno la loro dignità di persone, ovvero di essere umani pensanti e ontologicamente connessi gli uni agli altri.
Mi fermo qui perché mi pare di aver messo già molta carne al fuoco, mi aspetto interventi per poter riprendere il confronto.
sabato 16 gennaio 2016
Non scholae sed vitae discimus
Ho riflettuto a lungo sui tre 30 e lode presi negli esami di questo mio
ritorno universitario (Storia moderna, Sociologia, Storia delle dottrine
politiche).
A parte l'indubbia benevolenza dei docenti verso uno studente "diversamente giovane" e il mio impegno personale nello studio dei libri di testa (peraltro con grossi limiti di memoria) penso che il motivo del successo sia dovuto altro.
Dopo la laurea in Giurisprudenza (conseguita nel marzo 1971), sono stato borsista di Diritto parlamentare a Scienze politiche a Firenze nell'anno accademico 1972 e 1973 e successivamente, dal 1974 al 1978, impiegato IBM a Milano.
In quel periodo (i miei 20 anni!!) avevo molto tempo libero e ho letto molto sia frequentando la biblioteca di Facoltà (il mitico Istituto C. Alfieri di Firenze), sia utilizzando parte dei risparmi della borsa di studio e, poi, dello stipendio per acquistare (e leggere!) libri sulle materie che mi interessavano (politologia, storia, economia, sociologia).
Questi libri e questi autori (Sartori, Salvemini, Friedman, Samuelson, Mosca,
Salvatorelli, Chabod, Fisichella, Montesquieu, Constant, Rousseau, De Felice, Scoppola, Mounier, Maritain.....) sono tuttora presenti nella mia biblioteca e, soprattutto, le loro linee portanti sono tuttora fisse nella mia mente...
Ed ecco allora l'invito ai miei amici più giovani. Non limitatevi allo studio dei libri di testo, coltivate i vostri interessi culturali, navigate su Internet (io non potevo farlo, voi si...) e approfondite e ampliate quello che apprendete a lezione o sui libri di testo.
L'importante non è solo superare bene l'esame quanto ampliare la vostra mente e la capacità di pensiero e di pensiero autonomo.
Come dicevano i latini "non scholae sed vitae discimus" (non per la scuola ma per la vita studiamo).
A parte l'indubbia benevolenza dei docenti verso uno studente "diversamente giovane" e il mio impegno personale nello studio dei libri di testa (peraltro con grossi limiti di memoria) penso che il motivo del successo sia dovuto altro.
Dopo la laurea in Giurisprudenza (conseguita nel marzo 1971), sono stato borsista di Diritto parlamentare a Scienze politiche a Firenze nell'anno accademico 1972 e 1973 e successivamente, dal 1974 al 1978, impiegato IBM a Milano.
In quel periodo (i miei 20 anni!!) avevo molto tempo libero e ho letto molto sia frequentando la biblioteca di Facoltà (il mitico Istituto C. Alfieri di Firenze), sia utilizzando parte dei risparmi della borsa di studio e, poi, dello stipendio per acquistare (e leggere!) libri sulle materie che mi interessavano (politologia, storia, economia, sociologia).
Questi libri e questi autori (Sartori, Salvemini, Friedman, Samuelson, Mosca,
Salvatorelli, Chabod, Fisichella, Montesquieu, Constant, Rousseau, De Felice, Scoppola, Mounier, Maritain.....) sono tuttora presenti nella mia biblioteca e, soprattutto, le loro linee portanti sono tuttora fisse nella mia mente...
Ed ecco allora l'invito ai miei amici più giovani. Non limitatevi allo studio dei libri di testo, coltivate i vostri interessi culturali, navigate su Internet (io non potevo farlo, voi si...) e approfondite e ampliate quello che apprendete a lezione o sui libri di testo.
L'importante non è solo superare bene l'esame quanto ampliare la vostra mente e la capacità di pensiero e di pensiero autonomo.
Come dicevano i latini "non scholae sed vitae discimus" (non per la scuola ma per la vita studiamo).
Iscriviti a:
Post (Atom)