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mercoledì 23 marzo 2016

A chi faccio del male?

Chissà se qualche volta vi è capitato di chiedere a chi butta della cartaccia per terra (magari laddove è presente un cestino ad una decina di metri di distanza) o a chi sale sull’autobus dalla porta vietata (anche se il mezzo è semivuoto) o a chi parcheggia in duratura seconda fila (anche se c’è un posto libero venti metri più davanti): “perché lo fai?”.
La risposta esplicita è sempre la stessa: “ma a te che interessa, mica ti sto facendo del male, a chi sto facendo del male?”, la risposta implicita e inespressa è: “ma quanto rompi….”
Questo atteggiamento apparentemente così semplice e insignificante denota una profonda convinzione culturale e una chiara visione della società, una società nella quale sono presenti un insieme di interessi individuali tra loro confliggenti senza che sia presente anche un interesse collettivo a loro sovraordinato.
Questa concezione culturale e questa visione sociale prevedono che affinché una azione venga considerata quantomeno inopportuna ci deve essere un individuo fisicamente presente un cui interesse visibile deve essere danneggiato dall’azione che si sta per compiere.
Nel caso di una carta gettata per terra, di una salita sbagliata sull’autobus, di un parcheggio in seconda fila, il più delle volte l’individuo non c’è e pertanto l’azione è considerata pienamente legittima.

Se poi si cerca di spiegare al vostro interlocutore che sta ledendo l’interesse di tutti (ovvero collettivo) ad un ambiente pulito, ad un più rapido afflusso e deflusso su gli autobus, ad una circolazione automobilistica più scorrevole, vi guarderà sconcertato e, spesso, vi renderete conto che state usando la categoria mentale dell’interesse collettivo perfettamente incomprensibile da chi vi sta ascoltando.
Non vi azzardate poi a spiegare che l’interesse collettivo non è la somma totale degli interessi individuali, ma l’interesse della collettività come agente autonomo e che, quasi sempre, la soddisfazione dell’interesse collettivo permette, nel medio termine, di realizzare anche i singoli interessi individuali meglio di come sarebbero realizzati tramite una azione illegittima nel breve termine. Vi guarderà come se veniste da Marte pensando “questo non solo è un rompiscatole, ma chissà da dove viene?

Il problema diventa più grande quando questo atteggiamento si applica anche a fenomeni più complessi quale, ad esempio il pagamento delle tasse: “se evado le tasse a chi faccio del male? Quale interesse di una persona fisicamente presente ledo?”.
Ma lo stesso ragionamento si applica tutte le volte che il cittadino deve rispettare delle regole di comportamento stabilite “a chi faccio del male se riesco ad evitare una fila?” e così via.

Ma perché è così difficile spiegare che esiste un interesse collettivo (non parliamo per carità di bene comune che è un concetto ancora più difficile) sovraordinato ai singoli interesse individuali la cui realizzazione è conveniente per tutti nel medio termine?
La discussione è aperta ma una idea può essere proposta.
Ci troviamo in un contesto globale in cui gli imput culturali del “qui ed ora” e dell’ “usa e getta” sono spinti da una industria che ha sempre più bisogno di consumatori pronti a stufarsi dei prodotti comprati e ad acquistarne di nuovi, e da forze finanziarie che hanno bisogno di massimizzare il profitto delle loro operazioni nel più breve tempo possibile investendo e disinvestendo rapidamente su prodotti o su monete, a prescindere completamente dalle conseguenze che tali operazioni avranno sul destino delle singole persone.
Questi soggetti industriali e finanziari devono assolutamente evitare che gli individui possano porsi il problema delle conseguenze di una loro azione per se stessi e per gli altri in un periodo appena più lungo di quello sul quale sono abituati (spinti….) ad agire. Ciò causerebbe un ritardo e un intralcio incompatibile con il buon funzionamento di questo modello di sviluppo economico.
Forse se ne esce solo se gli individui riscopriranno la loro dignità di persone, ovvero di essere umani pensanti e ontologicamente connessi gli uni agli altri.

Mi fermo qui perché mi pare di aver messo già molta carne al fuoco, mi aspetto interventi per poter riprendere il confronto.

1 commento:

scargi ha detto...

La tua analisi, Giuseppe, è tristemente vera. Sono però un po' più ottimista, ma solo in una visione astratta, io credo che tutti, anche quelli che più sembrano menefreghisti e individualisti, sanno che il bene comune conviene. Alcuni sentimenti tengono oppressa questa consapevolezza; sono la pigrizia, l'ignoranza intesa più come stoltezza che mancanza di istruzione e la paura. La caratteristica poi di rivoltarsi contro quando qualcuno riprende l'altro che non tiene conto del bene comune, la definirei orgoglio e presunzione mista a paura di sembrare deboli. Sentimenti fragili che si trasformano in aggressività e ribellione gratuita. L'educazione e l'esempio sono una via di crescita. Ci vuole grande pazienza e temperanza.