Parte
1
Come
valutare il merito?
Tutto parte dalla seguente domanda birichina che mi
sono posto da solo: “Meritocrazia. E' più degno di apprezzamento (e
meritevole…) un manager che alza del 2% il profitto della propria azienda farmaceutica
o il medico, della medesima azienda, che scopre un farmaco per una malattia
rara (dal quale non si prevede pertanto un grosso ritorno in termini di
profitto per l'industria farmaceutica)?”
La risposta non è facile, e forse neppure è possibile darne una definitiva.
Conviene procedere con ordine.
Il termine meritocrazia viene dal greco,
significa letteralmente “potere al merito” e identificando quel tipo di
modalità di riconoscimento caratterizzato dal premiare le persone più
meritevoli nei campi più vari (aziende, scuole, mondo della finanza, sanità, sport
ecc.).
Meritevole è la persona che contribuisce al successo di un ente, dal più
piccolo come una famiglia, ai più grandi, come un’azienda o addirittura una
nazione.
E qui cominciano i problemi.
Quali sono i criteri
per misurare il successo di un ente e come paragonare le storie di successo nell’ambito
dei vari enti per premiare le migliori?
E’ più meritevole il manager che alza del 5% l’utile
della propria azienda in Borsa, premiando così gli azionisti ma mandando a casa
10.000 dipendenti, o il manager che l’alza solo del 2% ma evita ogni tipo di
licenziamento?
E ancora (e qui la risposta sembra a prima vista più facile) è più meritevole
lo scienziato che mette a punto il vaccino per una influenza pandemica (che
salva milioni di persone e che fornisce un grosso ritorno in termine di
profitto) o lo scienziato che scopre un farmaco per le malattie rare (che salva
migliaia di persone con un ritorno di profitto ovviamente molto inferiore al
precedente)? La vita di più persone vale più della vita di meno persone?
ponetevi, prima di rispondere, nei panni di una di queste ultime...
Sembra chiaro che la risposta a queste domande non
possa prescindere dall’individuazione di criteri oggettivi atti a misurare il
contributo dei singoli al successo e, pertanto, dal tipo di società che si
vuole costruire.
Se si vuole costruire una società fondata su valori
quali la massimizzazione della ricchezza individuale, del profitto aziendale,
del PIL nazionale, saranno considerati meritevoli i cittadini che, con la loro
attività, avranno meglio contribuito all’accrescimento quantitativo di questi
valori.
Se invece la meta è quella di una società in cui si possa vivere meglio, in cui
sia distribuita comunque una base di ricchezza sufficiente per una vita
dignitosa, e si punti ad uno sviluppo rispettoso delle esigenze ambientali e
della necessità di un solido contesto relazionale interpersonale, allora
saranno considerati meritevoli i cittadini che maggiormente si saranno impegnati
sul fronte della salute, dell’ambiente e di tutto quant’altro consente alle
persone di avere solide e realizzanti relazioni umane.
Pertanto solo se si ha chiaro il modello di sviluppo
da implementare e il tipo di società da costruire si potrà meglio capire cosa
si intenda effettivamente per merito. Di qui la prima conclusione che non
può esistere una concezione di merito condivisa da tutti ma che tale concezione
dipenda in maniera molto rilevante dai valori sociali che i singoli cittadini
professano.
E non è l’unica questione che si presenta.
E’ comune esperienza (sia pratica che scientifica) che
le prestazioni individuali (professionali, sportive, relazionali) dipendono in
gran parte da fattori che prescindono dall’impegno individuale. A titolo
di esempio possiamo individuare alcuni di questi:
· il
quoziente di intelligenza (Q.I.);
· l’ambiente
familiare e sociale da cui si proviene;
· il
percorso di studi (spesso obbligato) portato (o non) a termine;
· le
doti fisiche e psichiche (talento) naturali.
Come valutare i meriti di due lavoratori di cui uno,
con Q.I. superiore alla media, completa un incarico in pochi minuti e senza
eccessiva fatica, e l’altro, con Q.I. inferiore alla media, in un’ora ma con
grande impegno? Certo il primo avrà del tempo disponibile per portare a termine
altri lavori e il secondo forse no, ma chi dei due è stato più meritevole?
Certo, se ci si basa solo sul criterio del profitto,
il primo risulterà necessariamente vincente, ma abbiamo visto che il
successo materiale non può essere il solo criterio. Magari il secondo
lavoratore, più lento ma maggiormente impegnato, potrebbe essere più capace di
integrarsi in un efficace lavoro di team.
E ancora, per tornare ad una domanda iniziale, come valutare, in termini di
merito, lo scienziato che predispone il vaccino per milioni persone e quello
invece che, magari con maggior impegno, scopre una medicina per una malattia
rara? Valuteremo il merito in termini di ritorno di profitto, di numero di
potenziali persone (pesandone l’importanza individuale in funzione del numero),
o invece misureremo la quantità di impegno profuso da ciascuno dei due nel loro
lavoro?
Come valutare l’insegnante, dotata di carisma personale, in grado di tenere la
classe in termini di disciplina ma con scarsa capacità di trasmettere
conoscenze e valori, con un’altra, magari meno esuberante, talvolta schiacciata
dagli studenti, ma intenta, con grande impegno, a veicolare in loro sia le
conoscenze tecniche che i principali valori sociali? Certo la prima arrecherà
meno fastidio al Dirigente scolastico (che potrà limitare i suoi interventi di
tipo disciplinare) ma dovrà essere considerata più meritevole dell’altra?
E non sono finiti gli interrogativi da porre sulla
questione della meritocrazia.
Come comportarsi sui periodi di valutazione?
Dovremo considerare più meritevole il ricercatore che, annualmente, produce
singoli risultati di rilevanza normale, o un altro ricercatore, impegnato in un
lavoro più complesso e con necessità di maggior tempo di analisi, che
raggiungerà un risultato molto più importante ma dopo più anni? Generalmente si
è portati a considerare il breve periodo, ma è giusto, non ci limiteremo così a
premiare gli sforzi brevi e a disincentivare gli studi lunghi e complessi?
Riepilogando,
· scopo
ultimo del lavoro,
· importanza
dei fattori individuali predeterminati,
· rapporto
fra risultato e impegno,
· lunghezza
del periodo di valutazione
sono (e forse ce ne saranno anche altri) quattro
elementi che mettono a dura prova la fondatezza e la ragionevolezza del
motto “potere al merito”.
L’impressione netta è, che in questa come in altre
questioni sociali, occorra evitare ogni fondamentalismo, ogni presunzione che
problemi complessi siano risolvibili con soluzioni semplici, che ci possano
essere, in ogni caso, scorciatoie in grado di evitare la indispensabile fatica
del discernere, comprendere e solo alla fine decidere.
Il reale merito dovrà essere valutato
tenendo conto non solo del contributo al profitto, al guadagno finanziario o al
PIL, ma anche di fattori diversi quali l’impegno individuale, il contributo al
bene comune e l’importanza del lavoro in rapporto al tempo impiegato.
Solo in una ottica così allargata diventerebbe possibile avviare una concreta e
giusta politica di riconoscimento del merito.
Parte
2
Ma
è vero merito?
Ma, nel sostenere il principio meritocratico, siamo
certi che veramente stiamo riconoscendo il merito delle persone che premiamo?
Non sarà necessario, prima di ogni cosa, mettere tutte le persone in
condizione di godere delle medesimo opportunità? Ovvero garantire quella
che viene definita come l’uguaglianza delle condizioni di partenza, di
uguaglianza garantita come pari opportunità per arrivare al successo nel
proprio campo?
Una volta che fossero definite ed implementate delle sane e positive politiche
in campo scolastico, sociale, sanitario, culturale per potenziare i soggetti
più deboli e consentire loro di dedicarsi alla attività desiderata perché
non innescare, a questo punto, il principio meritocratico e riconoscere il
valore dei più meritevoli?
Forse perché il talento del quale siamo dotati e che
ci permette di raggiungere o meno determinati risultati di successo non può
essere considerato solo “nostro” ma è frutto di un dono o della sorte.
Ogni essere umano nasce infatti con un determinato patrimonio genetico, con
determinate doti caratteriali che vengono affinate e potenziate dall’ambiente
familiare e sociale nel quale viviamo e che ci offre (ci dona) precise
possibilità di crescita.
il DNA genitoriale, il contesto culturale e professionale delle
nostre amicizie, la possibilità di accedere a strutture formative adeguate,
le risorse finanziare necessarie per viaggiare e conoscere ambienti
diversi, sono tutti elementi che giocano a favore (o a sfavore…) di ciascuno di
noi nella via verso il successo.
Chi ha avuto la sorte di vivere in un contesto favorevole, di aver goduto di una istruzione adeguata,
di aver frequentato stimolanti ambienti nazionali e internazionali, ha davvero
pochi meriti personali in più rispetto a chi ha avuto una sorte sfavorevole
per poter pretendere e rivendicare un riconoscimento maggiore nel
raggiungimento di determinati risultati.
Se si preferisce, invece di sorte, si può parlare (per chi è credente) di dono
di Dio, ovvero di benevolenza divina gratuita, ma in questo caso chi ne è
beneficiario non se ne può assolutamente gloriare.
Sane positive sociali in campo scolastico, sociale,
sanitario, scolastico potrebbero parzialmente livellare le condizioni di
partenza ma non potrebbero mai annullarle e alcune condizioni favorevoli
(come il DNA, le amicizie del proprio ambiente sociale, l’influsso culturale
familiare) contribuirebbero sempre ad agevolare il cammino dei più
rispetto ai meno fortunati.
Si potrebbe forse affermare che, anche se non è certo che ci sia del merito a
raggiungere determinati risultati in condizioni di privilegio, si potrebbe però
pur sempre riconoscere e premiare l’impegno di chi ha saputo mettere a
frutto il talento consegnatogli gratuitamente dalla sorte o dalla grazia
divina. Si potrebbe arrivare a teorizzare una meritocrazia dell’impegno.
Siamo certi che almeno l’impegno (visto come
capacità di concentrare, anche con sacrificio, i propri sforzi per raggiungere
un risultato degno di riconoscimento) sia il frutto autonomo di una nostra
scelta?
Non sarà anche l’impegno frutto del nostro peculiare DNA,
dell’educazione che abbiamo ricevuto nel nostro contesto familiare e sociale?
La maggior parte di noi conosce ragazzi capaci tranquillamente di impegnarsi in
una attività e altri molto meno capaci. Se poi andiamo ad approfondire il loro
contesto familiare e sociale di questi ultimi, ci rendiamo conto che è
difficile per loro acquisire capacità di impegno e di sacrificio se, intorno a
loro, nessuno li sprona in questa direzione o ha dato loro un esempio di
vita significativo in tal senso.
Ma allora, se il merito è frutto in maggior parte
della sorte o di un dono di Dio, che senso ha parlare di meritocrazia e della
necessità di riconoscere i più meritevoli? Non è meglio, se si vuol essere
realisti e, allo stesso tempo, equi, rinunciare ad ogni forma di
valutazione e di riconoscimento sulla base del merito?
Parte 3
Che
succede se rinunciamo al merito?
Rinunciare ad ogni forma di valutazione e di riconoscimento
sulla base di un merito che si riconosce esistente altro non vuol dire che
passare da una forma di giustizia distributiva che attribuisca a ciascuno secondo
i suoi meriti (tenendo conto di alcuni trattamenti minimi non comprimibili)
ad un'altra che attribuisca a ciascuno secondo i suoi bisogni.
Nessuno, in migliaia di anni di storia del genere umano, è riuscito nell’applicare
integralmente, in un contesto di rispetto della libertà personale, il secondo
criterio se non all’interno di singole piccole comunità o sette ad alta e
condivisa tensione ideale.
Il criterio si è rivelato inapplicabile e dissolto nella misura in cui
la dimensione di queste comunità è cresciuta, o che la tensione ideale sia
fortemente diminuita.
Vuol forse dire che qualche problema di realismo e di compatibilità esiste ed è
insuperabile?
Ma la rinuncia ad ogni forma di valutazione e di
riconoscimento sulla base di un merito porrebbe problemi anche di normale
carattere pratico.
Come eserciteremmo, in una democrazia parlamentare, in una libera associazione,
in un condominio, il nostro diritto di voto per scegliere una persona per un
incarico? Dovremmo pur sempre valutare i comportamenti e le capacità dei
singoli candidati e scegliere quella persona che, a nostro parere,… meriterebbe
il nostro voto! Magari le daremmo il nostro voto sulla base dei criteri più
disparati (l’età, il livello di istruzione, il genere, il colore dei capelli,
il ceto, la residenza…) ma, in ogni caso, dovremmo darle una preferenza e
decidere sul perché merita la mia preferenza rispetto ad un’altra
persona!
Non vorrei essere semplicistico ma mi sembra che la
soppressione tout court del “merito” come criterio di valutazione non sia
realisticamente possibile.
Diversa è la soluzione sul come valutare il merito, su quali criteri
utilizzare. Come già accennato in precedenza, il reale merito dovrebbe essere
valutato tenendo conto di vari fattori quali la competenza personale, l’impegno
individuale, il contributo al bene comune, l’importanza del
lavoro in rapporto al tempo impiegato, non solo pertanto di fattori
solo finanziari quali il contributo al profitto o alla crescita economica.
Solo in una ottica così allargata diventerebbe possibile avviare una concreta e
giusta politica di riconoscimento del merito.
Questa ottica postula necessariamente un
discernimento serio e il più possibile oggettivo e condiviso.
Se la valutazione personale non appare basata su dati oggettivi e
misurabili nonché effettuata senza una sufficiente condivisione, diventa
inevitabile che possa venire contestata da chi non si ritenga (magari a
torto) inferiore a colui il quale è stato riconosciuto un merito maggiore.
A livello socio-politico certi fenomeni populistici vanno proprio ascritti a
questa motivazione, la sensazione di essere stati trattati ingiustamente per
una non corretta valutazione del merito personale.
Più sono trasparenti e pubblici sia i criteri per la valutazione del merito sia
gli strumenti di misurazione dello stesso, più diventa difficile contestare le
valutazione e i conseguenti riconoscimenti (fermo restando che l’unanimità non
si potrà mai verificare).
Per chi vorrà approfondire l’argomento appena
accettato in queste considerazioni, potrà leggere con profitto:
1. Carlo
Cottarelli – All’inferno e ritorno – Feltrinelli 2021
2. Michael
J. Sandel – La tirannia del merito – Feltrinelli 2021
Luca Ricolfi - La rivoluzione del merito - Rizzoli 2023
Roma 20 marzo 2023