Pagine

lunedì 23 gennaio 2023

Pillole sulla vecchiaia

 


Invecchiare è naturale, ma non è facile, anche perché chi è diventato vecchio prima di te non ti dice tutto quello che succede con l’avanzare dell’età, oppure ti dice cose scontate, risapute, senza avvertirti di cose importanti, ma che vengono ripetutamente sottovalutate.

Aspetti noti


Si sa che la mente non riesce a trattenere tutto nella memoria sicché accade che si ricordino facilmente gli eventi e le persone più lontane nel tempo e che lentamente (ma progressivamente) si attenuino i ricordi di eventi e persone più recenti.
Anzi, per essere più precisi, la emozione che hai provato in quegli eventi (vicini o lontani che siano) gioca spesso un ruolo più rilevante del tempo trascorso. Eventi legati a nascite e a morti importanti, a forti innamoramenti, al matrimonio, a trasferimenti da un luogo all’altro, a promozioni (o rimozioni) rilevanti nella carriera professionale sono realtà che rimangono sempre presenti e impresse nella mente proprio in virtù del grosso impegno emotivo che abbiamo investito in esse.

Si sa anche che la forza fisica diminuisce come anche l’energia psicologica necessaria per affrontare le difficoltà.
In effetti la regolarità nel fare esercizi fisici e nel continuare a cimentarsi in impegni personali di carattere professionale e sociale permette di rallentare il degrado fisico e psicologico, purtroppo non di fermarlo del tutto.
E’ triste accettare che diventa sempre più difficile svolgere ruoli o fare attività che prima svolgevamo e facevamo (bene…) senza fatica, mentre ora ci richiedono sempre più impegno psicofisico e non sempre riusciamo a portare a termine nel modo che vorremmo.
Spesso neppure ci accorgeremmo di tale degrado fisico o psicologico se non avvenissero fatti che ci mettessero di fronte alla cruda realtà.
Come quando mi accadde di scendere velocemente le scale di un ospesdale insieme a mio nipote di 30 anni più giovane; io pensavo di scendere velocemente (e non sarei sicuramente riuscito ad accelerare la mia velocità…) ma vedevo mio nipote allontanarsi sempre più.
Oppure quando io, qualche tempo fa, da vecchio bravo giocatore di ping pong scattavo (o meglio pensavo di scattare) come mio solito per controbattere la pallina e, quando vi arrivavo, regolarmente la stessa era già passata.
O quando, da anziani, camminando velocemente (…), si inciampa e ci si trova a terra malconci senza avere avuto il tempo di mettere le mani avanti e ci chiediamo come sia potuto accadere.
E sì, non solo i muscoli diventano meno robusti e scattanti, ma anche i riflessi! e a questo non si pensa mai… Il degrado muscolare si può rallentare con l’esercizio fisico, quello psicologico con gli esercizi mentali meneonici ma, a quel che so, contro il degrado nei riflessi c’è ben poco da fare.

Si sa pure che anche i sensi lentamente degradano, la vista (con la necessità di usare occhiali con lenti correttive), l’udito (con l’opportunità, in alcuni casi, di apparecchi di rinforzo), il tatto (avete fatto caso che le punte delle dita diventano più sensibili al freddo e meno sensibili nel toccare ed afferrare i fogli di carta e girare le pagine di un libro?), il gusto (la salivazione diminuisce…), l’olfatto (la sensibilità verso gli odori diminuisce).
Sono degradi che si avvertono poco perché avvengono con molta lentezza ma avvengono inesorabilmente e, prima i poi, arriva un momento nel quale ce se ne accorge con chiarezza.

Si sa ancora che una delle caratteristiche della vecchiaia è il ricordare con piacere i tempi passati e confermarsi sempre più nella convinzione che fossero migliori di quelli correnti (dimostrativa è la frase “ai miei tempi…”).
E questo sentimento della nostalgia e del rimpianto per “quando le cose andavano bene” (e il più delle volte non è vero) porta gli anziani ad un atteggiamento di costante incomprensione e di rimprovero verso le giovani generazioni.
Quale la causa vera di questo fenomeno, non confortato da prove reali? A mio parere la presenza di paradigmi mentali superati e obsoleti. Ma ne parleremo più avanti.

Oltre alla labilità mnemonica e mentale, al degrado fisico, psicologico e sensoriale, il vivere in una frequente nostalgia del passato, si potrebbero aggiungere altri aspetti già noti dell’invecchiamento (e ciascuno potrebbe aggiungerne altri), ma è forse giunto il momento per concentrarsi su quelli meno noti.


Aspetti meno noti

Uno di questi contraddice in pieno e sorprendentemente una delle convinzioni più frequenti e diffuse, ovvero quella che i vecchi abbiano più pazienza dei giovani.
Non è vero! La mia esperienza personale, confortata da quella di molti miei coetanei, è che la pazienza non aumenta, bensì diminuisce con l’età.
Ciò che prima veniva sopportato se non con facilità almeno con serenità (un comportamento altrui non adeguato, un ritardo burocratico o personale, un parlare sgrammaticato, un degrado sociale intorno a noi..) ora viene sopportato con molta maggiore difficoltà se non addirittura non sopportato e può  innescare imprevedibili sentimenti di rabbia e di rivalsa.
Mi sono chiesto da che cosa potesse dipendere questa insufficienza di pazienza.
Ho ipotizzato che tale insufficienza potesse dipendere dal minor tempo che una persona anziana inconsciamente (ma realmente) sente di avere davanti a sé, rispetto a quello che sente di avere un giovane.
Il giovane può permettersi di perdere tempo, l’anziano vorrebbe perderne meno possibile perché percepisce di averne sempre meno a disposizione…
Successivamente ho riflettuto che non era il passare inutile del tempo che inquieta l’anziano, ciò che maggiormente lo inquieta è che le cose accadano e che i comportamenti altrui si tengano in maniera molto diversa dalle sue previsioni.


Paradigmi mentali

E qui entrano in gioco i nostri paradigmi mentali.
Tutti noi nella nostra infanzia e adolescenza abbiamo affrontato e superato difficoltà, risolto problemi di vita corrente, deciso le nostre scelte operative, modellando i nostri comportamenti sulla base di valori di orientamento, di criteri di valutazione, di schemi di giudizio (e talvolta di pregiudizio!) appresi nel nostro ambiente familiare, scolastico, sociale e introiettati dentro di noi una volta verificata la loro efficacia.
L’insieme di questi valori, criteri, schemi di giustizia organicamente collegati è ciò che intendo quanto parlo di “paradigmi mentali”.
Tutti i comportamenti della nostra vita, dai più semplici (sedersi, camminare, scendere le scale) ai più complessi (lavorare con professionalità, studiare, giudicare) diventano più semplici da porre in essere nella misura in cui non dobbiamo ogni volta reimparare ma possiamo ricorrere, parzialmente o totalmente ai nostri paradigmi mentali.
Si tratta in pratica di seguire comode scorciatoie ben note piuttosto che dovere costantemente rivedere la mappa stradale e trovare la via migliore.
Senza l’aiuto dei nostri paradigmi mentali la nostra esistenza sarebbe molto più faticosa!
Peraltro essi, man mano che la vita avanza e che la società cambia, rischiano di trasformarsi da comode scorciatoie in difficili percorsi ad ostacoli. E questa trasformazione da scorciatoie che velocizzano il percorso a percorsi ad ostacoli che lo rallentano (o lo bloccano…) acquista sempre maggiore spessore quanto più avanza il cambiamento nella società e, di conseguenza, nella nostra vita.
Molti sociologi di rilievo si sono cimentati nel cercare le spiegazioni dei mutamenti sociali, ne sono state offerte molteplici, alcune convincenti, altre meno, ma una cosa è indiscutibile: la società cambia e cambia in maniera sempre più veloce!
La “società liquida”[1], descritta da Z. Bauman come quella società nella quale l’uomo non fa a tempo a capire alcune realtà sociali che le stesse sono già cambiate, sicuramente non è l’ultimo stadio di questo incessante mutamento.
Non c’è niente da fare. I nostri “paradigmi mentali” molto efficienti ed efficaci nella nostra ,giovinezza per orientare i nostri pensieri e comportamenti, restano strettamente legati alla società per la quale erano stati costruiti.
Ora è necessario e, aggiungerei, vitale, adeguarli e, soprattutto,  adeguarli sempre più in fretta.
D’altra parte però dobbiamo ammettere che siamo sempre portati a porre la nostra fiducia e la nostra sicurezza negli schemi mentali acquisiti e collaudati nella nostra giovinezza e successivamente consolidati durante il susseguirsi degli anni.
Dovremmo cambiare questi schemi di rifermento, questi “paradigmi” e adeguarli alla realtà sociale che cambia, ma non riusciamo a farlo perché sentiamo di stare per avventurarci per strade ignote che rischiamo di mettere a repentaglio o addirittura farci perdere la nostra serena (ma insufficiente) sicurezza.
Forse ora è più facile capire quale sia la motivazione di fondo della costante incomprensione degli anziani verso i più giovani, oppure quella continua carenza di pazienza che avvertiamo ci caratterizza.
Si tratta in fondo, di un conflitto fra, da una parte i nostri paradigmi superati e dall’altra una realtà profondamente mutata e l’esistenza di paradigmi profondamente diversi dai nostri ma stretta conseguenza dei mutamenti sociali.
Se non vogliamo passare il resto dei nostri anni a borbottare e a lamentarci (in pratica a non vivere) non resta altra soluzione praticabile che acquisire nuovi paradigmi mentali.
Ma come abbandonare totalmente o parzialmente i precedenti?
Di seguito la mia esperienza in proposito.

Quando ero poco più che ventenne e avevo in animo di fare la mia tesi di laurea sui valori della democrazia, mi capitò di leggere “I fondamenti della democrazia” di Hans Kelsen[2] .
Kelsen, giurista e sociologo di rilievo mondiale, appartenente alla Scuola di Vienna, sostiene, in questo libro, che il fondamento della democrazia (o, per meglio chiamarla, della liberaldemocrazia) è la cultura del “dubbio”.
Se non ho dubbi, argomentava Kelsen, se penso di avere ragione, di possedere pertanto la “verità” su un determinato argomento, se penso, di conseguenza, che la mia verità non possa che essere sinonimo di bene sia per me che per gli altri (altrimenti non sarebbe “verità”…), quali remore dovrei avere non solo a proporla, ma addirittura ad imporla agli altri... per il loro bene?
Secondo Kelsen solo se mi pongo in un atteggiamento di dubbio, sono capace di presentare la mia opinione all’altro, di ascoltare serenamente la sua e, in uno spirito di ascolto reciproco ( di “dialogo”…), di camminare insieme verso la ricerca della verità.
Nel corso della mia vita talvolta ho avuto la forza (perché non è facile…) di assumere questa cultura del dubbio e mi sono chiesto, in certe situazioni in cui avevo espresso una opinione o adottato un comportamento che altre volte era stato giusto: “se invece avessi torto?”, “se quello che dice il mio interlocutore fosse vero?”, “non è che sto insistendo a seguire la mia idea per ostinazione o, peggio, per pigrizia mentale?”.
Ebbene, quando ho avuto questa forza sovente mi è capitato di cambiare la mia opinione, di accettare in tutto o, più spesso, parzialmente, quella del mio interlocutore.
Avere questa cultura del dubbio può essere il primo passo per l’acquisizione di una maggiore libertà di giudizio rispetto alle informazioni che, da una parte, cerchiamo e troviamo autonomamente dall’altra che ci piovono addosso dall’esterno.
Questo è il primo passo, ma ne occorrono altri.

Una volta acquisita una sana cultura del dubbio, il passo successivo per combattere i paradigmi mentali esistenti consiste nel saper ragionare correttamente e soprattutto nel confrontarsi costantemente con altri.
Leggere molto, leggere, con mente aperta, sia testi concordi con le nostre opinioni che testi discordanti e riportanti opinioni diverse, leggere attentamente notando come le persone articolino e motivino i loro ragionamenti, leggere acquisendo un ampio bagaglio informativo, permette di ampliare non solo le nostre informazioni ma soprattutto la nostra capacità di ragionare ed esprimere giudizi corretti.
Ma non è ancora sufficiente.

Un altro e ultimo passo deve essere quello di confrontare le nostre opinioni, i nostri giudizi con quelli di persone che stimiamo (e che magari hanno opinioni e giudizi diversi) in un dialogo in cui la serenità, la sincerità, la assertività e, soprattutto, la voglia di ascoltarsi reciprocamente rappresentino caratteristiche comuni.

Coltivare sempre il dubbio, leggere (o vedere…) acquisendo il maggior numero possibile di informazioni, classificare, collegare e articolare queste ultime sulla base di ragionamenti corretti, mettere alla prova le nostre conclusioni in confronto e dialogo con amici che partono da conclusioni diverse, tutto ciò dovrebbe permettere di raggiungere un certo livello di capacità mentale e intellettiva sufficiente per riconoscere una gran parte delle informazioni false e fuorvianti e per limitare o superare del tutto l’influenza dei nostri paradigmi mentali e della conseguenti nostre distorsioni cognitive.

Ultima virtù da coltivare è l’umiltà, ovvero la capacità di essere consapevole che, nonostante tutti i tentativi che possiamo mettere in atto, la nostra imperfezione innata di essere umani non ci consentirà mai di essere sicuri di essere completamente liberi da potenziali manipolazioni (di qualsiasi tipo esse siano).

Ma bastano la cultura del dubbio, la lettura intensa e ragionata, il confronto con gli altri, la ricerca dell’umiltà, a superare i nostri paradigmi mentali e a vivere con libertà mentale il presente e il futuro davanti a noi?
No, se, nel contempo non affrontiamo la nostra vita con fiducia, con positività, credendo fermamente che, nonostante tutto quello che ci appare intorno di negativo, il positivo è sempre più grande, anche se così non ci sembra a prima vista.
Ed è su questo aspetto che la Fede (fiducia in un Essere-Amore) può aiutare.



[1] Z. Bauman – Vita liquida – 2008, Laterza editore

[2] H. Kelsen – I fondamenti della democrazia – Il Mulino 1966


Nessun commento: