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giovedì 30 settembre 2021

Farò qui tre capanne...



Dal Vangelo di Matteo (17,1-9):
1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

L’episodio della Trasfigurazione è uno dei più importanti del Vangelo e uno dei più significativi per la storia personale di tutti noi.
Gesù apre uno squarcio in quella che è la realtà quotidiana (famiglia, lavoro, amicizie…) e ci offre un’anteprima del futuro che può aspettarci, una anteprima del suo Corpo dopo la Resurrezione, una anteprima di una immensa luce che quasi ci abbaglia.

Ci sono “momenti di luce” che attraversano la vita di tutti noi.
Per i credenti sono esperienze spirituali che permettono loro un accesso più diretto a Dio.
Per i non credenti sono esperienze, di carattere mistico seppure non religioso, che li avvertono di un loro maggiore avvicinamento a quello che un agnostico laico come Norberto Bobbio chiamava il “mistero” che circonda l’universo.

Sono comunque momenti meravigliosi che tutti quelli che li passano vorrebbero che non finissero mai.
In questo senso sono quanto mai significative le parole di Pietro “«Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».
Che c’è di più bello che essere e permanere vicini all’origine e al fine (non alla fine…) della vita!
Mi vengono in mente i momenti di luce che anche io ho passato. Uno in particolare mi si aprì nel 1999, durante il mio 5^ pellegrinaggio in Terrasanta, proprio sul Monte Tabor laddove, secondo la tradizione, avvenne la Trasfigurazione di Gesù. Una esperienza meravigliosa che tutti noi, comunità di amici vivemmo insieme.

La voce di Gesù sveglia i discepoli (e sveglia noi…) dal sogno ad occhi aperti (“Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi…»”) e ci invita a scendere dal monte, a ricordare l’esperienza vissuta e ributtarci nelle realtà di tutti i giorni.
E’ un invito rivolto a tutte le persone, a prescindere dalla loro convinzioni religiose.
Sia per i credenti che per i non credenti si tratta di fare tesoro di quei momenti di luminosa esperienza passata e di trasformare (trasfigurare?) le realtà quotidiane alla luce di quanto si è vissuto o compreso / percepito in quei momenti.  

Possiamo però tutti testimoniare che quell’entusiasmo, quella determinazione, nella dura lotta della vita di tutti i giorni, nel confronto con gli, altri, nelle delusioni, nelle offese arrecate e ricevute, nell’ingiustizia diffusa, durano poco.
Ci ritroviamo ben presto ad arrancare, ad avanzare a fatica se non ad arretrare e ci chiediamo come fare per ritrovare a vivere l’esperienza luminosa trascorsa.

Per quanto mi riguarda, da aspirante credente non posso dare una risposta precisa ed esatta, solo riavvolgere la memoria e provare a ricordare qualche aspetto da annotare.

·      Particolarmente importante per me è la Lectio divina quotidiana mattutina, fondata sulla preghiera mirata e sull’ascolto metodico di come Gesù mi parla attraverso la Bibbia.
Per preghiera mirata intendo un colloquio con Dio-Trinità, con Maria e con i Santi che inizia con la lode e il ringraziamento per quanto già ricevuto e prosegue con orazioni di richiesta con specifiche intenzioni e per specifiche persone.
Poi passo a leggere un passo della Bibbia, generalmente tratto dal Nuovo Testamento, leggo due o tre volte in atteggiamento prima attivo per capire e poi passivo peri ascoltare ciò che il Signore mi sta dicendo. Può essere molto utile in questa fase farsi aiutare dalla lettura di qualche riflessione autorevole sullo stesso testo (penso a quanto mi hanno aiutato le riflessioni di, ad esempio, C. M. Martini, E. Bianchi, U. Vanni, S. Fausti…).

·      Un’altra cosa dalle quale traggo giovamento consiste nella visita di qualche luogo che, per me, riveste un particolare rilievo (la Cappella del Crocifisso nella Chiesa del Gesù a Roma, la Porziuncola ad Assisi, la Cappella del S.S. Sacramento a S. Maria Maggiore a Roma, la Chiesa della Fraternità di S. Lorenzo a Pomaio vicino Arezzo).

·      Importante anche l’attenzione e la concentrazione nella S. Messa domenicale, particolarmente durante l’Eucarestia, vissuta come il momento nel quale Gesù mi lava i piedi, ovvero mi purifica per farmi ripartire…

·      Come non ricorrere poi a ricordare e a cercare di rivivere le esperienze passate, le nostre “Trasfigurazioni” personali? La mia prima Mariapoli, le visite a Nazareth durante i miei viaggi in Terrasanta, l’esplosione di gioia che ebbi al S. Sepolcro quando mi resi conto che lì Gesù non era tanto morto quanto, soprattutto risorto (il bene vince sempre sul male)…

Sono aspetti che mi aiutano a mantenere (o meglio, a non far declinare troppo…) la tensione spirituale acquistata e maturata durante il “momento di luce”. Quest’ultimo invece non si può ottenerlo a richiesta come fosse un diritto.
La Trasfigurazione è un momento di Grazia, ovvero un dono gratuito di Dio che viene quando meno te lo aspetti, può solo essere frutto di una paziente speranza e di una indefessa fede.

Questi raccontati qui sopra sono strumenti che possono essere suggeriti a chi è già credente o cerca di percorrere un cammino di fede,sono il mio modo personale di ripetere quanto detto da Pietro “Signore, farò qui tre capanne…”

Non mi permetto di suggerire nulla a chi, da non credente, ha avuto gli stessi momenti di luce al cospetto del Mistero e che cerca di riottenerli per sostenere il suo cammino di persona umana nel suo sforzo di miglioramento di se stesso e delle realtà sociali che lo circondano.

Sarebbe veramente bello, almeno per me conoscere una esperienza simile da parte di un non credente.

Roma 30/09/2021                                                                          Giuseppe Sbardella

lunedì 27 settembre 2021

E se sono ricco?


 

Riflessioni bibliche sulla ricchezza


Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.” (Matteo 5,3-1)

“a voi ora, o ricchi! Piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti. Sulla terra siete vissuti sfarzosamente e nelle baldorie sfrenate; avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage”. (Giacomo 5,1-5)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. (Matteo 6, 19-21)

Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"». Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».  Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?»  Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio». (Marco 10, 17-31)

Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona» (Luca 16,13)

Venne Giuseppe d'Arimatea, illustre membro del Consiglio, il quale aspettava anch'egli il regno di Dio; e, fattosi coraggio, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù. (Marco 15,43)

In un precedente testo ( https://giuseppesbardella.blogspot.com/2021/09/noi-e-gli-ultimi.html ) ho messo in rilievo come, a mio parere, la “scelta preferenziale verso i poveri” operata dalla Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II debba essere intesa nel senso che il Cristiano debba vedere la realtà sociale con gli occhi e con la mente del povero, avere la loro stessa visione del mondo e, di conseguenza, desiderare e costruire la società che il povero sogna.

Che pensare allora della ricchezza?
Gesù dichiara beati i poveri (Matteo 5,3-1) e il termine beati secondo alcuni può essere tradotto con “il Signore è vicino a…”, sia nel Vecchio Testamento (si legga, ad esempio il profeta Amos) sia nel Nuovo Testamento non mancano (tutt’altro!) i testi che condannano la ricchezza (Lettera di Giacono 5,1-5, Vangelo di Marco 10,17-31, Vangelo di Luca 16,13, solo per citarne alcuni riportati all’inizio di questa riflessione.

Sembra quasi che un ricco sia impossibilitato a raggiungere la pienezza del suo essere uomo secondo il disegno di Dio su di lui (in questo senso si può interpretare il termine “salvezza”), pare che debba essere oggetto ineluttabilmente di una condanna irrevocabile. Che il suo destino sia segnato…

Eppure..

Eppure è lo stesso Gesù che, rispondendo ai discepoli, un po’ angosciati al pensiero che nessun ricco possa salvarsi (forse qualcuno di loro si sente ricco…), afferma “ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”.
Eppure gli stessi Vangeli ci parlano di alcune persone, amici o discepoli di Gesù, che non possono essere annoverati fra i poveri, gli ultimi; Maria, Marta e Lazzaro, amici di Gesù hanno una casa, una tomba, non possono essere considerati poveri, Giuseppe d’Arimatea, seguace di Gesù e che gli donò la sua tomba, è definito “illustre membro del Consiglio” non sicuramente un ebreo qualunque! E sicuramente non era povero Nicodemo, altro membro del Consiglio... seguace di Gesù di nascosto!

E allora, quali sono le modalità con le quali un ricco può raggiungere la pienezza del disegno di Dio su di lui, come può diventare seguace, amico, di Gesù?

Innanzitutto il Vangelo ci mostra come Gesù preferisca andare verso gli ultimi, allietare le loro sofferenze, mostrare loro la sua predilezione…. Ma non sbatte la porta in faccia ai ricchi, cammina anche verso di loro chiedendo che diventino poveri in spirito.

Epulone (leggi Luca 16-19,31) è la figura ideale, classica, del ricco che non condivide, vuol tenere tutto per sé, accumula (leggi Matteo 6,19-21) beni su beni.

Questo termine “accumulare” ripetuto sia nel brano anzidetto di Matteo sia nella lettera di Giacomo riportata all’inizio (“Avete accumulato tesori…”) può essere oggetto di riflessione.

Accumulare vuol dire avere dentro di sé il tarlo della incertezza e della insicurezza verso il futuro, volere sempre più cose (beni materiali, cultura, intelligenza, potere, successo, fama..) confidare che la sicurezza e la salvezza si avvicinino (senza però farsi mai raggiungere) nella misura in cui si possieda di più.
Colui che accumula ha il suo “tesoro”, il suo “cuore” nella ricchezza, non ha spazio per altro, tantomeno per Gesù a meno che non lo si “cosizzi” lo si separi dalla sua Paola, lo si faccia oggetto di devozioni e di riti impetratori.

Dal messaggio di Gesù sembra evincersi che la sua condanna non è verso i ricchi, ma verso i ricchi che pensano ad accumulare sempre di più.
E’ giusto avere quanto necessario per una vita dignitosa per sé e per i propri cari, è giusto avere risorse per sviluppare la propria azienda, dare lavoro e una giusta remunerazione, conseguire un equo profitto.
Ma il ricco che è “povero in spirito” è colui che non è roso dal tarlo della accumulazione, è capace di condividere con chi ha meno, sa donare con serenità il “superfluo” ben comprendendo che  questo termine non significa dare ciò che avanza quando si sono soddisfatti tutti i propri bisogni e quelli dei propri cari. Il superfluo dipende anche dal livello di vita dei poveri che ci sono vicini. Non possiamo soddisfare altri bisogni che non siano essenziali se chi ci è vicino manca dell’essenziale per vivere.
Certo si tratta di usare il giusto discernimento.
Non si può, ad esempio, far fallire un’azienda e far perdere ai nostri dipendenti il posto di lavoro per condividere i nostri beni con chi è povero, sarebbe preferibile forse coinvolgere anche i dipendenti per uno sforzo comune verso una certa condivisione.

E’ ricco, ma povero di spirito che è capace di condividere, chi ha il coraggio per rinunciare alle sirene del consumismo e condurre una vita all’insegna della sobrietà, della solidarietà, del rispetto verso l’ambiente naturale.

 

Roma 27/09/2021

Giuseppe Sbardella


mercoledì 22 settembre 2021

Noi e gli ultimi

 



Giorni fa ho scritto questa frase sul mio profilo Facebook:

Più che a schierarci dalla parte degli ultimi, Gesù ci invita a guardare il mondo con gli occhi degli ultimi”.

Questa espressione condensa la parte finale di un percorso che è durato, lungo la mia esistenza, fino ad ora.
Con l’aiuto di biblisti e teologi vicini alla Compagnia di Gesù (n particolare i compianti U. Vanni e S. Fausti) e il Movimento dei Focolari (in particolare P. Coda e G. Rossé) ho approfondito cosa volesse significare quella “scelta preferenziale dei poveri” che accompagna la Chiesa cattolica dai tempi del Concilio Vaticano II.

Gesù parla continuamente dei poveri, degli ultimi, per usare un termine più attuale.
“Beati i poveri”, “I poveri li avrete sempre con voi”, “gli ultimi saranno i primi, i primi saranno ultimi”, “qualunque cosa avete fatto a questi ultimi fra voi, l’avete fatto a Me”…. e così via.
Le frasi appena scritte sono state citate a memoria, non c’è bisogno di cercare con inquiry  apposite sul web le frasi nelle quali nei Vangeli viene citato il termine “povero”, ultimo”, “piccolo”, perché i Vangeli ne sono pieni, è il motivo ricorrente del gioioso annuncio.

Gesù non si è limitato a parlare, si è anche comportato costantemente da ultimo.
Tanto per fare esempi, ha iniziato il suo cammino mettendosi in fila per ricevere il battesimo di Giovanni, non ha mai voluto essere chiamato Rabbi (Maestro), non ha posseduto soldi se non quelli necessari per vivere (provenienti da una comunione dei beni), è entrato a Gerusalemme, non come re su carro trainato da un cavallo bianco, ma come una persona normale in dorso ad una asina, ha amato e dato peso ai bambini e alle donne (stimati irrilevanti all’epoca)…
Tutto il suo comportamento è stato da ultimo ed ha avuto il suo culmine nella crocifissione, la morte più ignobile, da ultimo fra gli ultimi.

Come interpretare questo suo pensiero insistente sugli ultimi?

Alcuni, partendo dalla sua frase “i poveri li avrete sempre tra voi” (Mc 14,7) ritengono che non bisogna affannarsi in soluzioni durature e strutturali (tanto il problema è irrisolvibile…), occorre fare del bene a loro, un panino, l’elemosina, un pranzo occasionale… (magari a Natale!), senza illudersi e illuderli troppo.
Con tutta franchezza mi sembra che queste persone siano fuori strada. Dal complesso delle parole e del comportamento di Gesù risulta non tanto che lui inviti a spendere qualcosa per i poveri, ma piuttosto che lui inviti a spendersi per i poveri.

Altri pensano che l’atteggiamento di Gesù sia quello di schierarsi dalla parte dei poveri.
Questa riflessione mi piace di più, la condivido, ma non con il retro-pensiero (che talvolta è presente) che Gesù sia dalla parte dei poveri contro la parte dei ricchi.
Gesù ha avuto amici e seguaci anche tra i ricchi, Lazzaro non era certamente un povero, neppure Giuseppe d’Arimatea lo era.
E’ vero che ha detto “è più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei cieli” ma, agli apostoli che ne deducevano l’impossibilità della salvezza per i ricchi, ha risposto “ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio”.
L’uomo non deve mettere la ricchezza al centro della sua vita, ma entrerà nel Regno se userà la ricchezza secondo i disegni di Dio.

E allora come interpretare correttamente la opzione preferenziale verso i poveri espressa da Gesù?
A mio avviso c’è una strada…

Ognuno di noi ha vissuto la propria esistenza in dei contesti familiari (uno o più…), ha frequentato determinati ambienti lavorativi e sociali, ha stretto determinate amicizie, ha assorbito certe spinte culturali,…, si è conformato ad un certo stile di vita, si è creato a poco a poco una propria visione del mondo, (scala dei valori ai quali ispirarsi, modalità di azione da usare, tipi di persone con cui entrare in contatto, beni da preferire rispetto ad altri…).
La nostra visione del mondo orienta i nostri comportamenti, il nostro rapportarsi con le persone e con le cose
Rientra in tale visione del mondo il nostro modo di come desiderare che sia strutturata la società.
Così chi ama la cultura vorrebbe dei luoghi dove fosse possibile vedere in mostra opere d’arte, ascoltare conferenze, vorrebbe scuole dove gli studenti socializzassero tra di loro ma anche imparassero quelle materia che li mettessero in grado di capire e seguire  il senso della loro vita.
Chi ama il divertimento vorrebbe dei luoghi dove potersi divertire in maniera sana (o, se del caso, sregolata), cinema, discoteche, pub, sale da ballo.
Chi ama lo sport vorrebbe che fosse incrementato il numero e innalzata la qualità degli impianti sportivi (senza trascurare quelli meno popolari)
E così via…

E allora che ne pensate se interpretiamo l’invito di Gesù a compiere una scelta preferenziale degli ultimi come l’invito a iniziare a guardare il mondo, la società, con gli occhi dei poveri, ad acquisire la loro visione del mondo, a chiedersi come loro vorrebbero che fosse strutturata la società e a darci da fare per costruirla a misura loro?
Allora forse ci accorgeremmo che non basta (anche se talvolta è necessario…) dare un panino, fare una elemosina, emettere un ordine di un cospicuo bonifico ad una Onlus, offrire un occasionale pasto o un letto.
Forse ci accorgeremmo che occorre mettere in atto quella che Papa Francesco chiama “carità politica” ovvero una tensione di amore che si esprime nell’edificare “strutture di bene”, ovvero correnti di pensiero, organizzazioni stabili, luoghi, edifici, scuole che promuovano e diffondano una cultura della sobrietà e della solidarietà,
Chissà che non sia una società forgiata da una tale cultura che sognano gli ultimi?

A proposito, la foto inserita all’inizio è ovviamente provocatoria…

P.S.: Mi accorgo ora che non ho affrontato il problema di definire gli ultimi. Forse lo farò in un’altra occasione, ma penso che, se ci guardiamo dentro la coscienza, riusciamo subito a capire chi sono i veri ultimi.

22/09/2021

Giuseppe Sbardella

venerdì 17 settembre 2021

La via di Gesù

 


Mi è sempre rimasta impressa la riflessione che sviluppò il caro amico biblista Padre Ugo Vanni sul percorso seguito da Gesù Cristo per l’annuncio della Buona Notizia, l’avvento del Regno di Dio e la necessità, per potervi accedere, di una conversione del nostro cuore.

Cercherò di ripercorrere quella riflessione, integrandola con delle mie povere considerazioni.

Innanzitutto due premesse.
La prima riguarda il fatto che, in funzione della sua doppia natura divina e umana, Gesù era sì figlio di Dio ma era anche pienamente uomo, con tutti i pesi, i dubbi, le incertezze che gli derivavano dalla sua natura umana  e che doveva di volta in volta sciogliere, decidendo che cosa fare.
La seconda riguarda il fatto che la strada per scioglierli non potesse essere altro che la ricerca faticosa, e soggetta a possibili errori di valutazione, della volontà del Padre, attraverso il dialogo fiducioso, nella preghiera, nella meditazione, nel discernimento personale seguendo la coscienza.

Gesù inizia il suo percorso di annunciatore del Vangelo con i suoi grandi discorsi (chi non ha mai letto almeno una volta il “discorso della montagna?), insiemi articolati di indicazioni chiare e concrete per vivere la volontà di Dio ed entrare nel Suo Regno.
Si accorge ben presto però che questi discorsi rimangono sulla superficie di chi lo ascoltava, non penetravano nel cuore di chi, pieno di distorsioni cognitive, si aspettava come Messia un re guerriero in grado di cacciare i romani e ripristinare il regno di Israele.
Forse i suoi ascoltatori rigettavano inconsciamente oppure non erano in grado di elaborare e di fare proprie delle indicazioni, (comunicate a loro e pertanto a loro solo esterne), tanto in contrasto con quella che era la mentalità corrente?

Gesù allora comincia a raccontare delle parabole, piccoli racconti di vita quotidiana che, se fatti propri e successivamente elaborati  personalmente da coloro che li ascoltavano, erano in grado di far sorgere direttamente nel loro cuore quelle indicazioni già trasmesse nei grandi discorsi e non accolte.
Si tratta di chiedere ai suoi ascoltatori una sorta di mediazione culturale fra la realtà del messaggio divino e la realtà della vita umana concreta.
Anche con questa modalità Gesù non riesca a fare breccia nel cuore e nella mente di chi lo ascolta.

Allora passa ad una modalità più concreta.
Attraverso i miracoli, segni del suo essere figlio di Dio, attraverso la sua vita di tutti i giorni, l’attenzione preferenziale agli ultimi (i malati, i poveri, le vedove, gli accecati dalla ricchezza) cerca di mostrare con chiarezza la sua statura di pastore mite e umile di cuore, non di re guerriero e superbo.
La salvezza, la liberazione che Lui annuncia non passa attraverso la forza e la violenza ma attraverso la debolezza e la misericordia.

Nonostante tutti questi suoi tentativi, anche quello estremo di annunciare la sua morte e la sua resurrezione, nonostante l’ingresso in Gerusalemme sul dorso di un’asina (invece che su un cavallo bianco o su un carro trionfale), i suoi ascoltatori (anche i suoi discepoli che lo seguivano da anni) non capiscono e dubitano (qualcuno dubiterà anche dopo la Resurrezione…!).

Nella mente di Gesù, nel suo dialogo continuo con il Padre, si fa strada quella che è la via giusta, non basta amare i suoi ascoltatori, facendo loro grandi annunci, raccontando parabole, mostrando la sua intima personalità, deve donare la vita come massimo gesto di amore per loro.
A mio parere il dramma patito da Gesù nel Getsemani è proprio questo, nel rendersi conto che la liberazione dell’umanità dal peccato, la salvezza, la capacità, per ogni uomo, di entrare in una dimensione divina, passano attraverso l’accettazione piena della volontà di Dio, nel donare la vita per amore di tutti gli uomini (nessuno escluso, neppure chi lo ha tradito).
Finora Gesù è stato attivo, ha parlato, ha annunciato, ha fatto miracoli, ora ha capito che deve essere passivo e che attraverso questa passività (“Passione”…) si attua la volontà di Dio.
Gesù dona la vita per amore, senza sapere nel momento prima della morte, che risorgerà (altrimenti perché griderebbe “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), muore nell’incertezza ma anche con un atteggiamento di fede (altrimenti perché direbbe “tutto è compiuto” e “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”?).
Sulla Croce Gesù appare realmente come uomo che dubita (natura umana) ma che si affida alla fede (natura divina).

Cosa dice a me, a noi, questa ricostruzione della missione di Gesù?
Ci dice forse che i grandi discorsi, le accurate meditazione servono a poco perché difficilmente infrangono la durezza del cuore e le distorsioni cognitive della mente?
Ci dice forse che spesso è inutile ricorrere alle mediazioni culturali per incapacità di essere elaborate o perché le loro logiche conseguenze sono deviate dalla nostra grande capacità di non accettare conseguenze pratiche che vanno contro le nostre abitudini?
Ci dice forse che anche un nostro comportamento concreto di sequela di Gesù si infrange contro le difficoltà anzidette?
Ci dice forse, infine, che l’unica via giusta è quella di donare, ogni giorno, ogni attimo, la nostra vita per amore, con pazienza, perseveranza, accettando gli errori e ricominciando sempre?
Alcuni aspettano sempre la Croce (talvolta incoscientemente la invocano), non si accorgono che occorrerebbe soltanto seguire la volontà di Dio di ogni giorno, con tanti dubbi, sapendo di passare attraverso il sacrificio, ma con la fiducia di arrivare alla Resurrezione.

 

Roma 17/09/2021                                                      Giuseppe Sbardella

lunedì 6 settembre 2021

Papa Francesco e il suo linguaggio "binario"

 


Il brano che segue è tratto dal videomessaggio di Papa Francesco in occasione della 109ma Conferenza internazionale del lavoro del 17 giugno 2021[1]:

“Oltre a una corretta comprensione del lavoro, uscire dalla crisi attuale in condizioni migliori richiederà lo sviluppo di una cultura della solidarietà, per contrastare la cultura dello scarto che è all’origine della disuguaglianza e che affligge il mondo.
Per raggiungere questo obiettivo, occorrerà valorizzare l’apporto di tutte quelle culture, come quella indigena, quella popolare, che spesso sono considerate marginali, ma che mantengono viva la pratica della solidarietà, che «esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici» 7.
Ogni popolo ha una sua cultura, e credo che sia il momento di liberarci definitivamente dell’eredità dell’illuminismo, che associava la parola cultura a un certo tipo di formazione intellettuale o di appartenenza sociale.
Ogni popolo ha la propria cultura e dobbiamo accettarla così com’è
.
«È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro [...]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari»

Si tratta di un video messaggio molto denso ricco di riflessioni attuali e di spunti molto stimolanti.

Quello che invece mi ha lasciato molto perplesso è la valutazione negativa sull’eredità dell’illuminismo e l’affermazione netta e decisa che “ogni popolo ha una propria cultura e dobbiamo accettarla così come è”.

Con riferimento alla riflessione di Francesco sull’illuminismo le mie perplessità sono ben compendiate nelle considerazioni che il Prof. Pietro Ichino ha esposto in un testo di suo commento al videomessaggio:
“Uno dei passaggi che può suscitare perplessità è l’auspicio che possiamo «liberarci definitivamente dell’eredità dell’illuminismo»: a più di due secoli di distanza dalle origini di quel movimento di pensiero, mi sembra che la Chiesa possa lasciarsi alle spalle polemiche e contrapposizioni anche durissime, che lo spirito evangelico impone di collocare nel loro contesto storico, e riconoscere i meriti dell’illuminismo nella civilizzazione del mondo, ad esempio le battaglie contro la tortura e la pena di morte, per l’affermazione dei diritti fondamentali della persona e in particolare della libertà di pensiero e della ricerca scientifica, per il perfezionamento dell’organizzazione dei poteri dello Stato”.

Altra (e forse più importante) perplessità riguarda lo stile (e anche il tono) con il quale Papa Francesco esprime il suo pensiero.

La frase “credo che sia giunto il momento di liberarci definitivamente dell’eredità dell’illuminismo” come anche la frase “ogni popolo ha una sua cultura e dobbiamo accettarla così come è” sono espressioni di un linguaggio fatto di asserzioni decise di una persona che ritiene di avere la verità e di poterla proclamare senza alcuna possibilità di errare.
Un tipo di linguaggio confermato da un altro passaggio dello stesso discorso “evitiamo le passate fissazioni sul profitto, l’isolazionismo e il nazionalismo, il consumismo cieco…” laddove peraltro il termine “fissazione” suona quanto meno offensivo per chi la pensa in maniera diversa.

Intendiamoci bene, il Papa, a mio parere, ha in gran parte ragione.

Sembra veramente che sia giunto il momento di coltivare e mettere al centro una cultura (e un’etica!) della solidarietà, cercando di comprendere quello che c’è di buono nelle culture diverse da quella illuministica e riconoscendo con franchezza alcuni limiti importanti di quest’ultima. Questo per senza peraltro dover accettare le altre culture così come sono, senza criticare elementi in esse presenti che conducono ad aperte violazioni della dignità umana.

Sembra veramente che sia giunto il momento di ripensare e rivedere alcune insistenze sul profitto, sull’isolazionismo, sul nazionalismo e il consumismo cieco alla luce dei nuovi problemi emersi in un mondo sempre più interconnesso e dai limiti originati dalla sostenibilità ambientale.

Ecco, ho riformulato sostanzialmente i due brani, prima riportati, del messaggio di Francesco usando un linguaggio chiaro ma aperto al confronto, un linguaggio di qualcuno che vuole non imporre il proprio pensiero ma, seppure forte delle proprie convinzioni, dialogare con chi la pensa in maniera diversa.

Usare locuzioni come “…che sia giunto il momento di liberarci definitivamente…” o “…dobbiamo accettarla cosi come è.”, oppure ancora usare termini come “fissazione”, è tipico di un linguaggio che anticamente si definiva manicheo (qui sta il bene, lì sta il male) e che ora potremmo definire, in termini matematici, “binario” !
Un linguaggio cioè che usa solo due termini, 0 o 1, ovvero, esemplificando, bianco o nero (eliminando i grigi), bene e male (eliminando il bene possibile e il male minore), verità o errore (eliminando ogni forma di dubbio) e così via..

Il linguaggio binario è perfettamente legittimo ma sarebbe bene sapere che, usandolo, si corre il rischio di esacerbare le differenze, di accendere conflitti, di dare spazio a possibili divisioni…

Mi fermo qui. Chi vuol fare ulteriori riflessioni in proposito?

 

Roma 6/09/2021



[1] I testi in grassetto sono reperibili sul numero 8-9 (agosto settembre 2021) della Rivista “Aggiornamenti sociali”