Il brano che segue è tratto dal videomessaggio di Papa Francesco in occasione della 109ma Conferenza internazionale del lavoro del 17 giugno 2021[1]:
“Oltre
a una corretta comprensione del lavoro, uscire dalla crisi attuale in
condizioni migliori richiederà lo sviluppo di una cultura della solidarietà,
per contrastare la cultura dello scarto che è all’origine della disuguaglianza
e che affligge il mondo.
Per raggiungere questo obiettivo, occorrerà valorizzare l’apporto di tutte
quelle culture, come quella indigena, quella popolare, che spesso sono
considerate marginali, ma che mantengono viva la pratica della solidarietà, che
«esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici» 7.
Ogni popolo ha una sua cultura, e credo che sia il momento di liberarci
definitivamente dell’eredità dell’illuminismo, che associava la parola cultura
a un certo tipo di formazione intellettuale o di appartenenza sociale.
Ogni popolo ha la propria cultura e dobbiamo accettarla così com’è.
«È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le
cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro,
della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far
fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro [...]. La solidarietà,
intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che
fanno i movimenti popolari»
Si tratta di un video messaggio molto denso ricco di
riflessioni attuali e di spunti molto stimolanti.
Quello che invece mi ha lasciato molto perplesso è la
valutazione negativa sull’eredità dell’illuminismo e l’affermazione netta e
decisa che “ogni popolo ha una propria cultura e dobbiamo accettarla così come
è”.
Con riferimento alla riflessione di Francesco
sull’illuminismo le mie perplessità sono ben compendiate nelle considerazioni
che il Prof. Pietro Ichino ha esposto in un testo di suo commento al
videomessaggio:
“Uno dei passaggi che può suscitare
perplessità è l’auspicio che possiamo «liberarci definitivamente dell’eredità
dell’illuminismo»: a più di due secoli di distanza dalle origini di quel
movimento di pensiero, mi sembra che la Chiesa possa lasciarsi alle spalle
polemiche e contrapposizioni anche durissime, che lo spirito evangelico impone
di collocare nel loro contesto storico, e riconoscere i meriti dell’illuminismo
nella civilizzazione del mondo, ad esempio le battaglie contro la tortura e la
pena di morte, per l’affermazione dei diritti fondamentali della persona e in
particolare della libertà di pensiero e della ricerca scientifica, per il
perfezionamento dell’organizzazione dei poteri dello Stato”.
Altra (e forse più importante) perplessità riguarda lo
stile (e anche il tono) con il quale Papa Francesco esprime il suo pensiero.
La frase “credo che sia giunto il momento di liberarci
definitivamente dell’eredità dell’illuminismo” come anche la frase “ogni popolo
ha una sua cultura e dobbiamo accettarla così come è” sono espressioni di un
linguaggio fatto di asserzioni decise di una persona che ritiene di avere la
verità e di poterla proclamare senza alcuna possibilità di errare.
Un tipo di linguaggio confermato da un altro passaggio dello stesso discorso “evitiamo le passate fissazioni sul
profitto, l’isolazionismo e il nazionalismo, il consumismo cieco…” laddove
peraltro il termine “fissazione” suona quanto meno offensivo per chi la pensa
in maniera diversa.
Intendiamoci bene, il Papa, a mio parere, ha in
gran parte ragione.
Sembra veramente che sia giunto il momento di
coltivare e mettere al centro una cultura (e un’etica!) della solidarietà,
cercando di comprendere quello che c’è di buono nelle culture diverse da quella
illuministica e riconoscendo con franchezza alcuni limiti importanti di quest’ultima.
Questo per senza peraltro dover accettare le altre culture così come sono,
senza criticare elementi in esse presenti che conducono ad aperte violazioni
della dignità umana.
Sembra veramente che sia giunto il momento di ripensare
e rivedere alcune insistenze sul profitto, sull’isolazionismo, sul nazionalismo
e il consumismo cieco alla luce dei nuovi problemi emersi in un mondo sempre
più interconnesso e dai limiti originati dalla sostenibilità ambientale.
Ecco, ho riformulato sostanzialmente i due brani, prima
riportati, del messaggio di Francesco usando un linguaggio chiaro ma aperto al
confronto, un linguaggio di qualcuno che vuole non imporre il proprio pensiero
ma, seppure forte delle proprie convinzioni, dialogare con chi la pensa in
maniera diversa.
Usare locuzioni come “…che sia giunto il momento di
liberarci definitivamente…” o “…dobbiamo accettarla cosi come è.”, oppure
ancora usare termini come “fissazione”, è tipico di un linguaggio che
anticamente si definiva manicheo (qui sta il bene, lì sta il male) e che ora
potremmo definire, in termini matematici, “binario”
!
Un linguaggio cioè che usa solo due termini, 0 o 1, ovvero, esemplificando, bianco
o nero (eliminando i grigi), bene e male (eliminando il bene possibile e il
male minore), verità o errore (eliminando ogni forma di dubbio) e così via..
Il linguaggio binario è perfettamente legittimo ma
sarebbe bene sapere che, usandolo, si corre il rischio di esacerbare le
differenze, di accendere conflitti, di dare spazio a possibili divisioni…
Mi fermo qui. Chi vuol fare ulteriori riflessioni in
proposito?
Roma 6/09/2021
[1] I testi
in grassetto sono reperibili sul numero 8-9 (agosto settembre 2021) della Rivista
“Aggiornamenti sociali”
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