Riflessioni bibliche sulla ricchezza
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è
il regno dei cieli.” (Matteo 5,3-1)
“a voi ora, o ricchi! Piangete e
urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono
marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono
arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà
le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni.
Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi
grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del
Signore degli eserciti. Sulla terra siete vissuti sfarzosamente e nelle
baldorie sfrenate; avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage”. (Giacomo 5,1-5)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi
discepoli: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine
consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in
cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non
rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore. (Matteo 6, 19-21)
Mentre Gesù usciva per la via, un
tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che
cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami
buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu sai i comandamenti:
"Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa
testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"». Ed egli
rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù,
guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai
e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli,
rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.
Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro
che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» I discepoli si
stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile
entrare nel regno di Dio! È più facile per un cammello passare attraverso la
cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di
loro: «Chi dunque può essere salvato?» Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse:
«Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio». (Marco 10, 17-31)
Nessun domestico può servire due
padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e
disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona» (Luca 16,13)
Venne Giuseppe d'Arimatea, illustre
membro del Consiglio, il quale aspettava anch'egli il regno di Dio; e, fattosi
coraggio, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù. (Marco 15,43)
In un
precedente testo ( https://giuseppesbardella.blogspot.com/2021/09/noi-e-gli-ultimi.html ) ho messo in rilievo come, a mio
parere, la “scelta preferenziale verso i poveri” operata dalla Chiesa cattolica
dopo il Concilio Vaticano II debba essere intesa nel senso che il Cristiano
debba vedere la realtà sociale con gli occhi e con la mente del povero, avere
la loro stessa visione del mondo e, di conseguenza, desiderare e costruire la
società che il povero sogna.
Che pensare
allora della ricchezza?
Gesù dichiara beati i poveri (Matteo 5,3-1) e il termine beati secondo alcuni
può essere tradotto con “il Signore è vicino a…”, sia nel Vecchio Testamento
(si legga, ad esempio il profeta Amos) sia nel Nuovo Testamento non mancano
(tutt’altro!) i testi che condannano la ricchezza (Lettera di Giacono 5,1-5,
Vangelo di Marco 10,17-31, Vangelo di Luca 16,13, solo per citarne alcuni
riportati all’inizio di questa riflessione.
Sembra quasi
che un ricco sia impossibilitato a raggiungere la pienezza del suo essere uomo
secondo il disegno di Dio su di lui (in questo senso si può interpretare il
termine “salvezza”), pare che debba essere oggetto ineluttabilmente di una
condanna irrevocabile. Che il suo destino sia segnato…
Eppure..
Eppure è lo
stesso Gesù che, rispondendo ai discepoli, un po’ angosciati al pensiero che
nessun ricco possa salvarsi (forse qualcuno di loro si sente ricco…), afferma
“ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”.
Eppure gli stessi Vangeli ci parlano di alcune persone, amici o discepoli di
Gesù, che non possono essere annoverati fra i poveri, gli ultimi; Maria, Marta
e Lazzaro, amici di Gesù hanno una casa, una tomba, non possono essere considerati
poveri, Giuseppe d’Arimatea, seguace di Gesù e che gli donò la sua tomba, è
definito “illustre membro del Consiglio” non sicuramente un ebreo qualunque! E sicuramente non era povero Nicodemo, altro membro del Consiglio... seguace di Gesù di nascosto!
E allora,
quali sono le modalità con le quali un ricco può raggiungere la pienezza del
disegno di Dio su di lui, come può diventare seguace, amico, di Gesù?
Innanzitutto
il Vangelo ci mostra come Gesù preferisca andare verso gli ultimi, allietare le
loro sofferenze, mostrare loro la sua predilezione…. Ma non sbatte la porta in
faccia ai ricchi, cammina anche verso di loro chiedendo che diventino poveri in
spirito.
Epulone
(leggi Luca 16-19,31) è la figura ideale, classica, del ricco che non
condivide, vuol tenere tutto per sé, accumula (leggi Matteo 6,19-21) beni su
beni.
Questo
termine “accumulare” ripetuto sia nel brano anzidetto di Matteo sia nella
lettera di Giacomo riportata all’inizio (“Avete
accumulato tesori…”) può essere oggetto di riflessione.
Accumulare
vuol dire avere dentro di sé il tarlo della incertezza e della insicurezza
verso il futuro, volere sempre più cose (beni materiali, cultura, intelligenza,
potere, successo, fama..) confidare che la sicurezza e la salvezza si
avvicinino (senza però farsi mai raggiungere) nella misura in cui si possieda
di più.
Colui che accumula ha il suo “tesoro”, il suo “cuore” nella ricchezza, non ha
spazio per altro, tantomeno per Gesù a meno che non lo si “cosizzi” lo si
separi dalla sua Paola, lo si faccia oggetto di devozioni e di riti
impetratori.
Dal
messaggio di Gesù sembra evincersi che la sua condanna non è verso i ricchi, ma
verso i ricchi che pensano ad accumulare sempre di più.
E’ giusto avere quanto necessario per una vita dignitosa per sé e per i propri
cari, è giusto avere risorse per sviluppare la propria azienda, dare lavoro e
una giusta remunerazione, conseguire un equo profitto.
Ma il ricco che è “povero in spirito” è colui che non è roso dal tarlo della
accumulazione, è capace di condividere con chi ha meno, sa donare con serenità
il “superfluo” ben comprendendo che
questo termine non significa dare ciò che avanza quando si sono
soddisfatti tutti i propri bisogni e quelli dei propri cari. Il superfluo
dipende anche dal livello di vita dei poveri che ci sono vicini. Non possiamo
soddisfare altri bisogni che non siano essenziali se chi ci è vicino manca
dell’essenziale per vivere.
Certo si tratta di usare il giusto discernimento.
Non si può, ad esempio, far fallire un’azienda e far perdere ai nostri
dipendenti il posto di lavoro per condividere i nostri beni con chi è povero,
sarebbe preferibile forse coinvolgere anche i dipendenti per uno sforzo comune
verso una certa condivisione.
E’ ricco, ma
povero di spirito che è capace di condividere, chi ha il coraggio per
rinunciare alle sirene del consumismo e condurre una vita all’insegna della
sobrietà, della solidarietà, del rispetto verso l’ambiente naturale.
Roma
27/09/2021
Giuseppe
Sbardella
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