Sto leggendo
un libro, regalatomi da un caro giovane amico universitario scritto da un
economista non allineato al vulgo neoliberista dominante, libro che da solo non
avrei probabilmente comprato.
Ho dovuto
rivedere alcune mie convinzioni consolidate, tipo quella che lo Stato sia come
una famiglia di famiglie e che, pertanto, nei suoi confronti, si possano fare
gli stessi ragionamenti che si fanno con le economie familiari, in particolare
l'esigenza di un sostanziale pareggio di bilancio, con un flusso di reddito
prodotto da lavoro e/o rendite che deve compensare il flusso delle uscite per
spese varie.
In verità lo
Stato ha una differenza fondamentale rispetto alla famiglia. Quest'ultima può
spendere solo i soldi dei propri stipendi e delle proprie rendite, lo Stato che
mantenga la sovranità monetaria può stampare o coniare (in teoria) tutta la
moneta che gli occorra.
In
particolare, secondo questa scuola di pensiero, è assurdo e controproducente,
in una fase di recessione, procedere ad una stretta monetaria e creditizia. Far
arrivare (tramite aumenti di imposte o dei tassi di interesse) meno soldi ai
cittadini consumatori o imprenditori, in nome dell'esigenza di tenere in
equilibrio le entrate e le spese dello Stato, provoca un aggravamento ulteriore
della recessione con l'attivazione di un circolo vizioso difficilmente
arrestabile.
Il tipo di
politica economica sopra descritta può andare bene per i Paesi di cultura
germanica. In questi Paesi i cittadini e gli imprenditori, messi di fronte ad
una diminuzione del reddito (causa aumento delle imposte o del costo del
denaro), reagirebbero impegnandosi ad una maggiore produttività e, di
conseguenza, ad aumentare le possibilità di reddito reale nella loro
disponibilità (lavorare di più o meglio, innovare nella produzione di beni e
servizi ecc.).
Nei Paesi di
cultura latina la stessa politica economica conduce ad esiti differenti. I
cittadini e gli imprenditori, messi di fronte ad una diminuzione di reddito si
ingegnano, sia i primi che i secondi ad una riduzione delle spese. Questo
comportamento provoca una contrazione della domanda globale e un aggravamento
della recessione.
In tali casi
la scuola economica alla quale appartiene l'economista che sto leggendo suggerisce
di immettere abbondanza di moneta nel circuito economico interno, o tramite
stampa diretta o emettendo titoli di debito pubblico, o abbassando il tasso di
sconto. L’unica attenzione è quella di riuscire a far arrivare direttamente i
soldi, nella maniera più rapida possibile, nelle tasche dei cittadini
consumatori e/o imprenditori.
La ripresa immediata della domanda globale innescherebbe un circuito vizioso di uscita dalla recessione.
La ripresa immediata della domanda globale innescherebbe un circuito vizioso di uscita dalla recessione.
La
avvertenza, posta bene in evidenza è che un certo lieve aumento del tasso di
inflazione sia prevedibile e accettabile, a condizione che l’afflusso di nuova
moneta diminuisca e si blocchi una volta raggiunta la piena occupazione.
Devo
confessare che questa impostazione mi ha colpito (anche se non mi era del tutto
nuova) ma non mi ha convinto pienamente sulla sua applicabilità nel nostro
Paese.
In primo
luogo ho seri dubbi che sia possibile, come ipotizzato, una ampia diffusione della offerta di moneta
aggiuntiva nel contesto di una società
civile incrostata da una caterva di gruppi di potere consolidati, di lobby, di
corporazioni specializzate nell’intercettare i soldi pubblici. Si rischierebbe
che le risorse finanziarie nuove non venissero utilizzate per consumi o investimenti
aggiuntivi e fossero invece impiegate per operazioni illecite o, magari, solo
speculative particolarmente sui mercati esteri.
E anche concesso che i soldi andassero nelle tasche dei normali cittadini e imprenditori, chi può assicurare che questi soldi non siano utilizzati (sulla spinta di consumi dettati da mirate campagne di marketing) per l’acquisto di beni prodotti all’estero?
Aggiungerei, in secondo luogo, che una simile politica comporterebbe un aumento della spesa pubblica finanziata (almeno in buona parte) con l’emissioni di titoli di Stato. Siamo certi che i mercati esteri siano pronti, in presenza di un aumento ulteriore della spesa pubblica italiana, ad acquistare i titolo di Stato italiani? Certo potrebbero comprarli i cittadini italiani, utilizzando magari i soldi ottenuti dalla stampa della moneta aggiuntiva; temo che ci troveremmo ad una soluzione buona per Monòpoli non per uno Stato serio inserito in un contesto internazionale.
Terzo (ma non ultimo per ordine di importanza) motivo di dubbio riguarda il comportamento dei cittadini che, una volta inondati di soldi pubblici per rilanciare l’economia, una volta raggiunta la piena occupazione dovrebbero accettare tranquillamente una riduzione e successiva cessazione dell’offerta di moneta praticamente quasi gratuita e si troverebbero nella necessità di compensare il mancato flusso di reddito con un maggiore impegno lavorativo o imprenditoriale. Non sarà che i cittadini (e penso subito alla maggioranza dei miei connazionali) una volta ottenuto il denaro facile non accetterebbero una sua riduzione e cercherebbero di premiare quei politici che ne promettessero il mantenimento? A questo punto sarebbe certa una pesante inflazione e una molto probabile svalutazione monetaria con tutto ciò che ne consegue a livello di squilibri sociali interni e di rapporti con i Paesi esteri.
Solo uno Governo autoritario potrebbe tornare a ridurre l’offerta di moneta.
E anche concesso che i soldi andassero nelle tasche dei normali cittadini e imprenditori, chi può assicurare che questi soldi non siano utilizzati (sulla spinta di consumi dettati da mirate campagne di marketing) per l’acquisto di beni prodotti all’estero?
Aggiungerei, in secondo luogo, che una simile politica comporterebbe un aumento della spesa pubblica finanziata (almeno in buona parte) con l’emissioni di titoli di Stato. Siamo certi che i mercati esteri siano pronti, in presenza di un aumento ulteriore della spesa pubblica italiana, ad acquistare i titolo di Stato italiani? Certo potrebbero comprarli i cittadini italiani, utilizzando magari i soldi ottenuti dalla stampa della moneta aggiuntiva; temo che ci troveremmo ad una soluzione buona per Monòpoli non per uno Stato serio inserito in un contesto internazionale.
Terzo (ma non ultimo per ordine di importanza) motivo di dubbio riguarda il comportamento dei cittadini che, una volta inondati di soldi pubblici per rilanciare l’economia, una volta raggiunta la piena occupazione dovrebbero accettare tranquillamente una riduzione e successiva cessazione dell’offerta di moneta praticamente quasi gratuita e si troverebbero nella necessità di compensare il mancato flusso di reddito con un maggiore impegno lavorativo o imprenditoriale. Non sarà che i cittadini (e penso subito alla maggioranza dei miei connazionali) una volta ottenuto il denaro facile non accetterebbero una sua riduzione e cercherebbero di premiare quei politici che ne promettessero il mantenimento? A questo punto sarebbe certa una pesante inflazione e una molto probabile svalutazione monetaria con tutto ciò che ne consegue a livello di squilibri sociali interni e di rapporti con i Paesi esteri.
Solo uno Governo autoritario potrebbe tornare a ridurre l’offerta di moneta.
Mi sembra
che la linea economica alla quale ho fatto riferimento, basata sull’ampliamento
significativo e ad oltranza dell’offerta di moneta, possa funzionare solo in
presenza di alcune condizioni molto precise:
a) uno Stato
autoritario in grado di sciogliere le incrostazioni sociali esistenti e di
imporre scelte precise, in termini di stile di vita e di investimenti, a
cittadini e imprenditori;
b) una economia
“chiusa” ai mercati esteri, praticamente autarchica;
c) il pieno
ripristino della sovranità monetaria .
Conseguenza
pratica della scelta di una tale linea sarebbe quella non solo di uscire dall’
area dell’ Euro ma anche di chiudere o limitare di molto il traffico di persone
e di beni con gli altri Paesi europei e non .
Penso che la maggioranza degli italiani non sarebbe consenziente.
Ancora una volta mi rendo conto di come certe impostazioni sociali o economiche, perfette e inappuntabili dal punto di vista teorico, si rivelino poi non convincenti al confronto con la dura realtà.
Se è vero che una rigida politica di austerity non è assolutamente applicabile in Italia, è altrettanto vero che soluzioni miracolistiche e facili non esistono.
Occorre procedere, come ha detto recentemente il Ministro Padoan, lungo un sentiero stretto cercando di sfruttare al massimo la possibilità di misure espansive ma cercando mantenere il collegamento con i Paesi europei e una valutazione positiva dei mercati esteri.
Penso che la maggioranza degli italiani non sarebbe consenziente.
Ancora una volta mi rendo conto di come certe impostazioni sociali o economiche, perfette e inappuntabili dal punto di vista teorico, si rivelino poi non convincenti al confronto con la dura realtà.
Se è vero che una rigida politica di austerity non è assolutamente applicabile in Italia, è altrettanto vero che soluzioni miracolistiche e facili non esistono.
Occorre procedere, come ha detto recentemente il Ministro Padoan, lungo un sentiero stretto cercando di sfruttare al massimo la possibilità di misure espansive ma cercando mantenere il collegamento con i Paesi europei e una valutazione positiva dei mercati esteri.
Roma 6
dicembre 2017