Sono stato sempre convinto che i cristiani devono sentirsi chiamati dalla loro fede a vivere con GIOIA e SPERANZA.
Esiste una (purtroppo..) vasta corrente spirituale che ha percorso,
durante tutti i secoli, il cristianesimo enfatizzando l'importanza del
dolore.
In sintesi, secondo questi cristiani, occorre "amare la
croce" se non addirittura cercarla. Se Gesù è morto in croce per
redimere gli uomini, anche noi dovremmo cercare di seguirlo sulla croce, cercando e amando il dolore.
Però, a ben leggere il Vangelo, GESU' NON HA MAI AMATO IL DOLORE, anzi
ha passato la vita a combatterlo, a guarire gli uomini dai mali fisici e
spirituali, a proclamare una buona novella intrisa di gioia e di
speranza.
Nell'orto del Getsemani Gesù chiede espressamente che gli
venga risparmiato il "calice" ovvero l'esperienza della croce, accetta
la volontà del Padre, e la croce, solo perché comprende che così
realizzerà pienamente la sua missione.
Noi non dobbiamo amare la
croce, dobbiamo AMARE LA PERSONA DI GESU' in croce (così come dobbiamo
amare la persona di Gesù che combatte i mali fisici e spirituali, che
conversa con gli amici a mensa, che dialoga con i dubbiosi, che fustiga
gli imbroglioni...).
E allora come spiegare la frase "chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua"?
I più avveduti biblisti spiegano che questa frase non è un invito a
cercare il dolore, è semplicemente un invito a seguire il messaggio di
Gesù senza avere timore, anzi affrontando con speranza, le difficoltà, i
problemi, i sacrifici, che il seguire un messaggio indubbiamente
controcorrente comporta.
Il cristiano, seguendo l'esempio di Gesù,
non ama il dolore ma lo combatte, soprattutto nei suoi fratelli,
alleviando le loro sofferenze materiali e spirituali, donandosi
pienamente a loro, riconoscendo la persona di Gesù in quella dei loro
fratelli nella sofferenza.
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