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mercoledì 6 dicembre 2017

Basta stampare moneta per rilanciare l'economia?



Sto leggendo un libro, regalatomi da un caro giovane amico universitario scritto da un economista non allineato al vulgo neoliberista dominante, libro che da solo non avrei probabilmente comprato.
Ho dovuto rivedere alcune mie convinzioni consolidate, tipo quella che lo Stato sia come una famiglia di famiglie e che, pertanto, nei suoi confronti, si possano fare gli stessi ragionamenti che si fanno con le economie familiari, in particolare l'esigenza di un sostanziale pareggio di bilancio, con un flusso di reddito prodotto da lavoro e/o rendite che deve compensare il flusso delle uscite per spese varie.
In verità lo Stato ha una differenza fondamentale rispetto alla famiglia. Quest'ultima può spendere solo i soldi dei propri stipendi e delle proprie rendite, lo Stato che mantenga la sovranità monetaria può stampare o coniare (in teoria) tutta la moneta che gli occorra.
In particolare, secondo questa scuola di pensiero, è assurdo e controproducente, in una fase di recessione, procedere ad una stretta monetaria e creditizia. Far arrivare (tramite aumenti di imposte o dei tassi di interesse) meno soldi ai cittadini consumatori o imprenditori, in nome dell'esigenza di tenere in equilibrio le entrate e le spese dello Stato, provoca un aggravamento ulteriore della recessione con l'attivazione di un circolo vizioso difficilmente arrestabile.
Il tipo di politica economica sopra descritta può andare bene per i Paesi di cultura germanica. In questi Paesi i cittadini e gli imprenditori, messi di fronte ad una diminuzione del reddito (causa aumento delle imposte o del costo del denaro), reagirebbero impegnandosi ad una maggiore produttività e, di conseguenza, ad aumentare le possibilità di reddito reale nella loro disponibilità (lavorare di più o meglio, innovare nella produzione di beni e servizi ecc.).
Nei Paesi di cultura latina la stessa politica economica conduce ad esiti differenti. I cittadini e gli imprenditori, messi di fronte ad una diminuzione di reddito si ingegnano, sia i primi che i secondi ad una riduzione delle spese. Questo comportamento provoca una contrazione della domanda globale e un aggravamento della recessione.
In tali casi la scuola economica alla quale appartiene l'economista che sto leggendo suggerisce di immettere abbondanza di moneta nel circuito economico interno, o tramite stampa diretta o emettendo titoli di debito pubblico, o abbassando il tasso di sconto. L’unica attenzione è quella di riuscire a far arrivare direttamente i soldi, nella maniera più rapida possibile, nelle tasche dei cittadini consumatori e/o imprenditori.
La ripresa immediata della domanda globale innescherebbe un circuito vizioso di uscita dalla recessione.
La avvertenza, posta bene in evidenza è che un certo lieve aumento del tasso di inflazione sia prevedibile e accettabile, a condizione che l’afflusso di nuova moneta diminuisca e si blocchi una volta raggiunta la piena occupazione.

Devo confessare che questa impostazione mi ha colpito (anche se non mi era del tutto nuova) ma non mi ha convinto pienamente sulla sua applicabilità nel nostro Paese.
In primo luogo ho seri dubbi che sia possibile, come ipotizzato,  una ampia diffusione della offerta di moneta aggiuntiva  nel contesto di una società civile incrostata da una caterva di gruppi di potere consolidati, di lobby, di corporazioni specializzate nell’intercettare i soldi pubblici. Si rischierebbe che le risorse finanziarie nuove non venissero utilizzate per consumi o investimenti aggiuntivi e fossero invece impiegate per operazioni illecite o, magari, solo speculative particolarmente sui mercati esteri.
E anche concesso che i soldi andassero nelle tasche dei normali cittadini e imprenditori, chi può assicurare che questi soldi  non siano utilizzati (sulla spinta di consumi dettati da mirate campagne di marketing) per l’acquisto di beni prodotti all’estero?
Aggiungerei, in secondo luogo, che una simile politica comporterebbe un aumento della spesa pubblica finanziata (almeno in buona parte) con l’emissioni di titoli di Stato. Siamo certi che i mercati esteri siano pronti, in presenza di un aumento ulteriore della spesa pubblica italiana, ad acquistare i titolo di Stato italiani? Certo potrebbero comprarli i cittadini italiani, utilizzando magari i soldi ottenuti dalla stampa della moneta aggiuntiva; temo che ci troveremmo ad una soluzione buona per Monòpoli non per uno Stato serio inserito in un contesto internazionale.
Terzo (ma non ultimo per ordine di importanza) motivo di dubbio riguarda il comportamento dei cittadini che, una volta inondati di soldi pubblici per rilanciare l’economia, una volta raggiunta la piena occupazione dovrebbero accettare tranquillamente una riduzione e successiva cessazione dell’offerta di moneta  praticamente quasi gratuita e si troverebbero nella necessità di compensare il mancato flusso di reddito con un maggiore impegno lavorativo o imprenditoriale. Non sarà che i cittadini (e penso subito alla maggioranza dei miei connazionali) una volta ottenuto il denaro facile non accetterebbero una sua riduzione e cercherebbero di premiare quei politici che ne promettessero il mantenimento? A questo punto sarebbe certa una pesante inflazione e una molto probabile svalutazione monetaria con tutto ciò che ne consegue  a livello di squilibri sociali interni e di rapporti con i Paesi esteri.
Solo uno Governo autoritario potrebbe tornare a ridurre l’offerta di moneta.

Mi sembra che la linea economica alla quale ho fatto riferimento, basata sull’ampliamento significativo e ad oltranza dell’offerta di moneta, possa funzionare solo in presenza di alcune condizioni molto precise:
a) uno Stato autoritario in grado di sciogliere le incrostazioni sociali esistenti e di imporre scelte precise, in termini di stile di vita e di investimenti, a cittadini e imprenditori;
b) una economia “chiusa” ai mercati esteri, praticamente autarchica;
c) il pieno ripristino della sovranità monetaria .

Conseguenza pratica della scelta di una tale linea sarebbe quella non solo di uscire dall’ area dell’ Euro ma anche di chiudere o limitare di molto il traffico di persone e di beni con gli altri Paesi europei e non .

Penso che la maggioranza degli italiani non sarebbe consenziente.

Ancora una volta mi rendo conto di come certe impostazioni sociali o economiche, perfette e inappuntabili dal punto di vista teorico, si rivelino poi non convincenti al confronto con la dura realtà.
Se è vero che una rigida politica di austerity non è assolutamente applicabile in Italia, è altrettanto vero che soluzioni miracolistiche e facili non esistono.
Occorre procedere, come ha detto recentemente il Ministro Padoan, lungo un sentiero stretto cercando di sfruttare al massimo la possibilità di misure espansive ma cercando mantenere il collegamento con i Paesi europei e una valutazione positiva dei mercati esteri.

Roma 6 dicembre 2017

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