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domenica 20 marzo 2011

Agire sulle persone o sulle strutture

Carissimi,

E' vero che il bene e il male nascono dal cuore dell'uomo. E' anche vero che le strutture del male possono influenzare le scelte dell'uomo, anche se non possono annullare la libertà di fondo origine della possibilità di una responsabilità morale e giuridica.
Dall'altra parte strutture di bene possono sostenere e influenzare le scelte dell'uomo verso il bene.
Per questo ritengo che occorre lottare su entrambi i fronti, quello della formazione delle coscienze e quello della ideazione e costruzione di strutture di bene e di solidarietà.

Che ne dite? È un vecchio dilemma... Aspetto commenti sul sito

Buona settimana

giovedì 17 marzo 2011

Il cattolico in politica e la comunità ecclesiale

Conferenza di Mons. G. Crepaldi al Convegno organizzato dall'UDC (16/3/2011

1. Non intendo trattare il tema che mi è stato assegnato dal punto di vista della teologia morale. Né vorrei riproporvi qui le note indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa sulle virtù del politico. Mi propongo, invece, di esaminare, con realismo cristiano, la situazione attuale, alla luce, certo, della dottrina sociale della Chiesa ed anche di alcune riflessioni che ho condotto nel mio recente libro “Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli, Siena 2010). Cercherò, quindi, di non fare discorsi né accademici né esortativi, ma di essere il più chiaro e il più concreto possibile.

2. La prima constatazione che intendo fare è di schietto realismo. Benedetto XVI, durante la visita in Portogallo, ha osservato – appunto con realismo – che mentre noi ci interroghiamo su cosa dovrebbero fare i cattolici in politica, i cattolici diventano sempre di meno, nel senso che la fede sta sparendo dalle nostre terre europee, Italia compresa. Con questo non voglio dire che tutti noi dovremmo cessare di interrogarci su cosa dovrebbero fare i cattolici in politica e dedicarci ad altro, in attesa che la fede ritorni in queste contrade con numeri che assomiglino, almeno da lontano, a quelli di cinquant’anni fa. Non voglio dire questo perché penso che anche l’esperienza politica del cattolico abbia un valore di annuncio e, quindi, di testimonianza della fede e di educazione alla fede: il cattolico in politica la presuppone nel mondo cattolico da cui si alimenta, ma nello stesso tempo la annuncia. Intendo invece dire che se i cattolici impegnati in politica non avranno il coraggio – il coraggio, perché di coraggio si tratta! – di ricollegarsi, quasi di riscoprire, la propria fede religiosa e gli agganci organici con la comunità ecclesiale e il magistero della Chiesa, essi abdicheranno al loro compito di testimoniare la fede e di educare alla fede tramite la loro esperienza politica. Questa – mi chiedo – potrà servire veramente all’uomo se non servirà anche e prima di tutto a Dio?

3. Qui si colloca il grande tema del rapporto della politica dei cattolici con il mondo ecclesiale. Un rapporto oggi non facile. Diciamo pure che siamo ancora in un periodo confuso, nonostante, come dico nel mio libro, ci siano sulla carta tutti i motivi di una ripresa. Per colpa dei politici? Per colpa del mondo ecclesiale? A mio avviso ci troviamo qui di fronte a due quadri ugualmente confusi che si alimentano a vicenda. Per interrompere questo ciclo bisogna intervenire contemporaneamente e coerentemente su tutti e due i livelli. La diaspora dei cattolici nei vari partiti politici non è provocata solo dal sistema politico. Essa è espressione anche di una notevole frammentazione nella comunità ecclesiale e nel nostro popolo. Oggi si parlano troppe lingue nel popolo cristiano. Non solo non c’è più una omogeneità politica, ma non c’è una omogeneità per quanto riguarda la visione del rapporto tra la Chiesa e il mondo. Noto una diffusa abdicazione a tener fede ai principi fondamentali della nostra fede in una preoccupante polverizzazione di valutazioni e atteggiamenti che mi preoccupa molto come Vescovo e Pastore. Non si può dare per scontato quasi più nulla. Nel mio libro che ho citato sopra svolgo alcune considerazioni per dire che il periodo della crisi è finito, ma sono convinto che abbiamo ancora molto da fare perché la prospettiva indicata coraggiosamente da Benedetto XVI filtri dentro il popolo di Dio che, per lentezza, inerzia, accomodamento, è ancora largamente pervaso da schemi culturali e spesso anche ideologici che si pensavano superati.

4. Qualcuno ritiene che sia sufficiente una convergenza dei cattolici e dei politici cattolici sui grandi temi dei principi non negoziabili. Vorrei ricordare che questa aspirazione riguarda comunque gli obiettivi minimi. Non è che il cristianesimo riduca il proprio messaggio ai principi non negoziabili. Quelli sono la soglia di intollerabilità assoluta. Oppure sono da vedere come origine di una nuova politica a tutto campo. Oggi si nota su di essi una significativa convergenza, ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Ci sono molti motivi, perfino di tecnica elettorale, per spiegare come in questo momento in parlamento ci sia un’ampia quota di deputati e senatori cattolici o comunque non ostili ai principi della legge morale naturale. Per questo è un momento, pur se delicato e insidioso, in un certo senso favorevole ed infatti certe convergenze si notano. Ma nel Paese la capacità educativa e di formazione dell’opinione pubblica delle comunità cattoliche è debole. Ritengo che in questo momento la “rappresentatività parlamentare” dei cattolici sia sovrastimata rispetto alla loro posizione e presenza nel Paese. Maggioranza in Parlamento – ripeto, per una serie di questioni politiche – ma minoranza nel Paese, minoranza nei mezzi di informazione, nelle istituzioni culturali, nelle agenzie di istruzione, prima di tutte la scuola. C’è bisogno di un grande progetto che intervenga su tutti e due i livelli – quello della politica e quello del mondo cattolico -, altrimenti gli interventi legislativi e parlamentari di oggi verranno vanificati domani per la pressione di un’opinione pubblica altrimenti formata e indirizzata.

5. Ritengo che sarebbe un grave danno se non ci fossero forme visibili e dichiarate di presenza cattolica nella società e nella politica. Mi riferisco non solo, naturalmente, a presenze di tipo personale, ma anche a presenze di tipo comunitario e organizzato. Venuta meno la presenza riconoscibile del cattolicesimo organizzato nella società viene meno irreversibilmente l’idea e la stessa consapevolezza che la fede cristiana ha una valenza pubblica. E questo anche nei cattolici stessi. Ho molto insistito su questo nel mio libro, elencando in sintesi i principali motivi teologici che fondano la valenza pubblica del cristianesimo. Ho letto con perplessità, da questo punto di vista, la notizia circa la nascita di un unico accorpamento delle cooperative italiane che traggono origine da varie matrici culturali, tra cui anche quella cattolica. Non voglio entrare nei motivi economici, tecnici e politici di queste scelte. E’ certo però che esistono ancora cooperative che mantengono fede alla loro origine cattolica, che nei loro uffici hanno ancora il crocefisso, l’immagine del Papa e nel loro statuto il riferimento esplicito alla Dottrina sociale della Chiesa. Credo non si debba rinunciare a simili forme di visibilità e penso che questo valga anche in campo politico. Il “posto di Dio” nel mondo dipende anche da questo. Naturalmente le forme le lascio alla vostra competenza e responsabilità, nonché alla vostra sapiente lettura dei tempi.

6. Nel tempo i cattolici hanno pensato a varie forme di coerente presenza aggregata nella politica. Come ripeto, oggi la cosa è molto più difficile perché l’adesione al cattolicesimo si riduce e il nostro mondo cattolico è disorientato al proprio interno. L’esperienza dei “tavoli per i cattolici impegnati in politica” non si è consolidata. L’attuale convergenza sui principi non negoziabili, richiamata con insistenza dal Magistero, va intesa come obbligante sul piano della morale naturale e religiosa, ma anche come una esigenza minima in attesa di una più ampia ripresa dal punto di vista della cultura politica. Bisognerà quindi pensare a qualcosa di nuovo. A questo proposito vorrei fare delle brevi sottolineature che forse possono aiutarci.

7. C’è nel mondo politico cattolico una considerevole nostalgia per il sistema elettorale proporzionale. Si pensa che con esso si potrebbe garantire meglio l’identità. Non voglio entrare in tecnicismi, ma solo farvi riflettere sull’opportunità di non rimanere troppo legati a questa prospettiva di cultura politica. Prima di tutto perché comunque le alleanze, seppure in seconda battuta, si devono fare. In secondo luogo perché il nostro Paese ha bisogno di forti cambiamenti che non si possono affrontare con forme di consociativismo.

Questo ultimo punto è, secondo me, di notevole importanza se inteso bene, se cioè viene inteso al di fuori delle tattiche politiche, ma come capace di aprire una prospettiva di cultura politica. La presenza politica dei cattolici deve avere il coraggio di schierarsi per il cambiamento netto rispetto a forme negative della politica del passato: lo snellimento deciso dello Stato, la revisione radicale del sistema di welfare, la riforma scolastica con una effettiva parità, una accentuata sussidiarietà a tutti i livelli, una politica per la famiglia non solo di tipo assistenziale ma promotiva di una cultura della famiglia, la lotta alle rendite di posizione, un maggiore pluralismo nei servizi e nella società civile, una politica dell’energia non ideologica, una nuova etica sociale della responsabilità. Sono solo alcuni esempi di posizioni di avanguardia da cui i cattolici non dovrebbero ritrarsi. Rimanere legati a forme di statalismo superato o ad un concetto di “moderazione” o di “centro” inteso o come difficoltà a scegliere o come garanzia per tanti di mantenimento della loro nicchia mentre il mondo sta cambiando non sono atteggiamenti in grado di valorizzare tutte le indicazioni nuove che ci dà la Caritas in veritate, la quale suggerisce un programma politico molto più all’avanguardia delle posizioni politiche di tanti cattolici.

Nei mesi scorsi abbiamo tutti assistito al dibattito sulla contrattazione sindacale e sul mondo del lavoro in fabbrica, a seguito di alcune decisioni prese dalla Fiat. Devo dire che la Cisl ha fatto un certo sforzo per comprendere il nuovo e per garantirsi un ruolo attivo. Mi sono però anche chiesto se il mondo cattolico, i politici cattolici e le stesse associazioni cattoliche prepolitiche, quelle che collegano l’associazionismo o le categorie, abbiamo dato il loro contributo di riflessione e di scelta in questo momento difficile. Io non ho sentito molte voci impegnate ad affrontare le indubbie novità che Mirafiori portava con sè.

8. Se allora pensiamo ad un mondo politico cattolico che: a) veda la necessità di convergere sui principi non negoziabili come barriera insuperabile dell’intollerabile ma anche come criteri di politica generale; b) prenda atto che il suo retroterra nel mondo ecclesiale e nella cultura dell’opinione pubblica si indebolisce; c) sia consapevole della necessità di creare convergenza e visibilità per un impegno comune e organizzato; d) non voglia ritornare a forme di consociativismo superate; e) intenda proporre al Paese una agenda di modernizzazione al passo coi tempi e non presentarsi come espressione di categorie paurose di perdere le proprie garanzie e tutele … se pensiamo a tutto questo allora ne discendono, a mio avviso, due possibili percorsi.

8.1 Il primo consiste nell’operare per la costituzione di un punto di collegamento non direttamente politico, non prepolitico – ce ne sono anche adesso e ce ne sono stati tanti anche in passato ma non hanno funzionato – ma elettorale. Una specie di Unione elettorale cattolica, come esisteva ai tempi di Gentiloni. Un luogo unitario in cui elaborare criteri di discernimento politico ed elettorale sulla base dei principi non negoziabili. Scrivendo il mio libro su “Il cattolico in politica” ho in qualche modo pensato ad uno strumento che potesse servire a qualcosa del genere. Stabilire le priorità, garantire criteri di coerenza, chiamare a raccolta i cattolici di buona volontà attorno a dei principi, coordinare, creare convergenze: tutto questo oggi è lasciato ai vescovi, che però oltre certi limiti non possono andare, oppure alla buona volontà di singoli e gruppi. Credo che si dovrebbe arrivare ad organizzare qualcosa di stabile e strutturato in questo senso. Né mi si può dire che una simile proposta sa di antico e che denota i limiti del “gentilonismo”, vale a dire soffermarsi su programmi “single issue”, monotematici o su temi numericamente circoscritti piuttosto che su programmi più generali. Ho già detto che oggi i principi non negoziabili non possono più essere considerati monotematici ma, oltre che limite invalicabile dell’intollerabile, criteri indispensabili e punti necessari di partenza per la formulazione di un programma a tutto campo.

8.2 Il secondo percorso è di tipo formativo. Dobbiamo parlarci chiaro: non potete più pensare che il mondo cattolico vi sostenga dal punto di vista formativo, che prepari giovani formati alla dottrina sociale della Chiesa che rincalzino i politici d’esperienza. Dovete ormai essere voi che spingete per attivare un ciclo virtuoso che rimetta in moto l’osmosi reciproca, che oggi è molto allentata e piena di buchi. Voi dovete riprendere in proprio e direttamente una solida formazione alla politica fondata sul Magistero e non su sue ideologiche interpretazioni, secondo la linea chiara che sta indicando Benedetto XVI. Dovete farlo, naturalmente, collegandovi con le realtà del mondo cattolico, ma gestendo voi le cose e spingendo voi perché vengano fatte e prendano una certa piega.

domenica 13 marzo 2011

Buona settimana (una grammatica .... speciale)

La missione dei cristiani laici è quella di trattare le realtà del mondo ordinandole secondo Dio. Un compito affascinante, scoprire la “grammatica” inserita da Dio in questa realtà, capirla e fare in modo che queste stesse realtà risplendano al servizio dell’uomo.

Ci vuole pietà, ma anche tanta professionalità e competenza tecnica per adempiere a questa funzione e su questo piano, la professionalità e la competenza tecnica, è possibile ed auspicabile condurre un confronto aperto con chi non crede.

Forse lo scoprire insieme la “grammatica” dell’economia, della scienza, del diritto, della politica ci può portare a scoprire insieme anche realtà di livello superiore.

Commenti?

Buona settimana

domenica 6 marzo 2011

Buona settimana (doveri prima dei diritti...)

"I diritti presuppongono doveri senza i quali si trasformano in arbitrio", "L'esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri", "La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione dei diritti", (Dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI).
Buona settimana

martedì 1 marzo 2011

Per una nuova iniziativa politica

Da più parti e da qualche tempo ci si chiede quale sia la proposta di Persona è futuro (l'associazione che ho il piacere di coordinare) nell’ambito delle possibili iniziative politiche..

Riteniamo che sia giunto il momento di offrire un contributo per una sua definita elaborazione.

La prima sensazione di un osservatore della società italiana può essere quella di individuare nella stessa una spaccatura nella quale il discrimine sia quello dell’appartenenza ad una delle due principali aree politiche, di centrodestra e di centrosinistra.

Se però si va a fondo si può evidenziare come la vera spaccatura sia ben più profonda e attraversi entrambi gli schieramenti politici.

Procedendo con una certa approssimazione (ma ben vicini alla realtà effettiva) si può riconoscere che da un parte si trovano Italiani che:

  1. sono convinti che la libertà degli altri inizia dove finisce la propria;
  2. pensano che occorre sempre perseguire l’interesse personale a prescindere se si accordi o meno con il bene comune;
  3. ritengono che l’educazione dei figli consista nel dir loro sempre di si e che sia giusto anche spendere anche oltre le possibilità familiari per permettere loro l’ultimo modello di jeans e cellulare o per mandarli in discoteca tutti i sabati e le domeniche;
  4. vedono il lavoro esclusivamente come strumento di successo e di carriera, e al lavoro subordinano la vita familiare e le sane amicizie;
  5. enfatizzano sempre i loro pretesi diritti e prescindere dai rispettivi doveri;
  6. ritengono che le istituzioni siano solo strumenti da utilizzare o ostacoli da abbattere/manipolare per il raggiungimento dei propri personali interessi;
  7. anche se sono consapevoli di aver torto, ritengono che basti urlare e inveire contro l’altro per passare dalla parte della ragione;
  8. pensano che accumulare ricchezza con ogni mezzo sia sempre moralmente lecito, a condizione che si sia “compassionevoli” verso i meno fortunati;
  9. si sentono fuori della società se non cambiano autovettura ogni 3 anni e se non hanno l’ultimo modello di computer o di cellulare;
  10. pensano di non essere “furbi” se fanno regolarmente la fila, rispettano le regole del Codice della strada, salgono sui mezzi pubblici dalla porta giusta;
  11. ritengono che evadere o eludere comunque le imposte sia una “drittata” e forse persino una azione di cui menar vanto;
  12. entrano a far parte di una lobby o utilizzano lo strumento classico della “raccomandazione” per conseguire i propri interessi o raggiungere determinate posizioni;
  13. ritengono che in fondo la vita si riduca ad una grande gioco in cui “vince chi muore con più potere”.

Dall’altra si trovano invece Italiani (probabilmente in una parte minoritaria) che:

  1. sono convinti che la libertà propria inizia dove inizia quella degli altri;
  2. pensano che occorre sempre agire tenendo presente il bene comune oltre che l’interesse personale;
  3. ritengono che educare i figli sia una azione complessa che si esplichi innanzitutto nel testimoniare ed indicare loro i veri valori, nel fare sacrifici per permettere loro di studiare e di realizzarsi attraverso il rapporto con sinceri amici e il frequentare sani divertimenti, ma anche nel saper dire no quando è necessario ai fini della loro educazione;
  4. lavorano in maniera professionale ed esemplare, perché ritengono che il lavoro contribuisce a realizzare la persona umana, ma non consentono che il lavoro totalizzi la loro esistenza a scapito della famiglia, delle amicizie e degli interessi personali;
  5. sono consapevoli che prima di rivendicare i diritti occorre adempiere ai rispettivi doveri;
  6. riconoscono nelle istituzioni uno strumento fondamentale per strutturare il vivere sociale umano nel rispetto della libertà e della dignità di ogni persona, e per questi motivi sentono il dovere di rispettarle;
  7. quando discutono, ascoltano le ragioni degli altri ed espongono fermamente, ma con pacatezza, le proprie;
  8. ritengono che sia giusto elevare il proprio benessere materiale, ma che sia un obbligo morale e sociale di giustizia permettere a tutti di avere un livello di vita dignitoso;
  9. sanno opporsi al consumismo, cercando di fare una sana politica familiare di acquisti, tale da consentire alla famiglia una dignitosa e serena esistenza con tutti i beni necessari e anche alcuni superflui, senza dover rincorrere sempre l’ultimo modello di prodotto;
  10. rispettano tutte le regole, sia quelle giuridiche che quelle solo morali e sociali dirette al conseguimento del bene comune;
  11. ritengono che pagare le giuste imposte sia, prima che un obbligo di legge, un dovere morale verso la collettività, ed un requisito base per poter rivendicare i giusti servizi dalle Istituzioni locali o centrali;
  12. ritengono che il riconoscimento del merito sia l'unico strumento per abbattere vecchi e nuovi privilegi, per rendere efficiente ed efficace l'azione pubblica e privata, e consentire la giusta realizzazione di ogni persona
  13. ritengono che la vita possa anche essere assimilata ad un gioco in cui “vince chi muore con più veri amici”.

In sintesi da una parte si trovano gli Italiani guidati da una cultura che possiamo definire individualistica e consumistica di ispirazione (anche inconsapevolmente) radicale e nichilista, dall’altra quelli che si ispirano ad una cultura personalistica e solidaristica che fonda le sue radici nel cattolicesimo popolare e nel liberalismo democratico e che trova la sia ispirazione della dottrina sociale cristiana.

Quest’ultima Italia, in questa fase storica, è probabilmente minoritaria nel Paese.

Si può però condividere la riflessione che nessuna delle due coalizioni principali attualmente esistenti rispecchi esaurientemente la cultura di questi Italiani e che ci sia ampio spazio per un nuovo soggetto politico che possa rappresentarli sulla base della riscoperta e il rinnovamento di una etica valoriale condivisa. Un nuovo soggetto politico che peraltro non sia la somma, o peggio, il miscuglio di vecchi soggetti e uomini politici che già hanno fatto il loro tempo, talvolta con successo, talaltra (e forse purtroppo più frequentemente) no.

Non necessariamente si deve ipotizzare un partito unico, anzi, proprio al fine di rispettare le varie (ma omogenee) culture che riflettono tale area politica (quelle cattolico popolare, la cattolico democratica, quella di ispirazione laica-liberal ma non anticlericale per partito preso) una ipotesi più fondata appare quella di un polo pluripartitico popolare liberal-democratico, di matrice cristiana e di ispirazione personalistica, aconfessionale, a vocazione maggioritaria.

Per ispirazione personalistica si intende la volontà ferma di porre al centro di ogni riflessione di ogni iniziativa la centralità della persona umana, definibile quale essere umano:
• unico, irripetibile, autocosciente;
• diverso e distinto da ogni altro essere umano;

• di una profondità tale da non poter essere oggetto di una conoscenza razionale, ma solo soggetto di un rapporto interpersonale;
• capace di realizzarsi pienamente nella crescita e nello sviluppo di relazioni interpersonali;
• capace altresì di aprirsi anche ad una superiore dimensione trascendentale e valoriale;
• che ha inizio con il primo sorgere della vita e ha termine con la sua morte naturale né accelerata né ritardata con modalità non umane.
• differente da “individuo” perché quest’ultimo termine identifica solo un elemento informe (quasi un numero) all’interno di una massa indeterminata (popolo, classe, categoria....) manipolabile da una ideologia o da un altro essere umano;
• strettamente connesso alle comunità di vario livello (famiglia, città, nazione) nelle quali conduce la propria esistenza umana.

Persona è futuro mira a dare il proprio contributo per costruire questo Polo pluripartitico popolare liberal-democratico, di ispirazione personalistica, a vocazione maggioritaria, collegato in Europa con i partiti che si riconoscono nei valori fondanti del PPE.

L’agenda politica di medio termine di persone che abbiano a cura il bene comune e l’interesse di una Italia e di una Europa ancora capaci di fornire il loro contributo, culturale prima che economico, ad un mondo migliore, deve essere incentrata sulla ricerca e l’implementazione di un modello di sviluppo socio-economico diverso da quello all’origine della crisi, concentrandosi su una nuova idea di sviluppo focalizzata su:

1. una alleanza intergenerazionale che non si limiti alla riforma delle pensioni, ma si estenda al lavoro, all’ambiente, alla scuola;

2. una politica equilibrata di gestione (non respingimenti ma neppure apertura indiscriminata) dei flussi migratori, in un contesto di cooperazione con gli altri Paesi europei;

3. una forte spinta al rilancio delle Istituzioni europee sollecitando e effettuando un trasferimento di poteri sempre più marcato a livello federale, ben consapevoli che solo una Europa unita politicamente può avere voce in capitolo in un mondo globale dove si preannuncia un duopolio asio-americano;

4. una revisione del sistema politico che semplifichi ed acceleri le procedure decisionali, senza penalizzare, anzi favorendo, il pluralismo locale, culturale e sociale con l’attuazione di un vero ed efficace federalismo, tenendo conto che la globalizzazione ha spazzato vie alcuni vecchi schemi mentali nella considerazione degli stessi concetti di Stato e di Nazione che apparivano solidi e immutabili;

5. un riorientamento del sistema scolastico per metterlo in grado di premiare i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, sostenere i meno capaci volenterosi, punire i non volenterosi;

6. una forte riduzione della spesa pubblica clientelare e una sua riqualificazione verso investimenti produttivi, anche attraverso un impegno deciso contro lobbies e oligopoli dannosi e l’instaurazione di vere e sane liberalizzazioni;

7. una politica finanziaria e fiscale che penalizzi chi ha speculato prima e durante la crisi, e premi le famiglie, le imprese sane e serie, i lavoratori professionali;

8. una riforma della P.A. , il più possibile condivisa con gli operatori del settore, che punti ad accrescerne la produttività, a parità di risorse impiegate, predisponendo, ove necessario, anche sane privatizzazioni di alcuni comparti;

9. una seria politica di investimenti sulla innovazione tecnologica al fine di aumentare l’occupazione in questo settore e procedere ad un suo sviluppo orientato al bene della persona umana (con particolare riferimento a giovani ed anziani).

Una utopia pensando alle attuali condizioni dell’Italia? Forse, ma a questo punto, vista la completa assenza di una alternativa già presente, non rimane che pensare in grande e cominciare a costruirne una nel medio periodo.

Come, con quali modalità? Il cantiere delle proposte (concrete e fattibili) è aperto.

Guardando all’attuale momento politico, Persona è futuro vuole stabilire un contatto con gruppi, associazioni, movimenti che condividano questa impostazione....