Conferenza di Mons. G. Crepaldi al Convegno organizzato dall'UDC (16/3/2011
1. Non intendo trattare il tema che mi è stato assegnato dal punto di vista della teologia morale. Né vorrei riproporvi qui le note indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa sulle virtù del politico. Mi propongo, invece, di esaminare, con realismo cristiano, la situazione attuale, alla luce, certo, della dottrina sociale della Chiesa ed anche di alcune riflessioni che ho condotto nel mio recente libro “Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa” (Cantagalli, Siena 2010). Cercherò, quindi, di non fare discorsi né accademici né esortativi, ma di essere il più chiaro e il più concreto possibile.
2. La prima constatazione che intendo fare è di schietto realismo. Benedetto XVI, durante la visita in Portogallo, ha osservato – appunto con realismo – che mentre noi ci interroghiamo su cosa dovrebbero fare i cattolici in politica, i cattolici diventano sempre di meno, nel senso che la fede sta sparendo dalle nostre terre europee, Italia compresa. Con questo non voglio dire che tutti noi dovremmo cessare di interrogarci su cosa dovrebbero fare i cattolici in politica e dedicarci ad altro, in attesa che la fede ritorni in queste contrade con numeri che assomiglino, almeno da lontano, a quelli di cinquant’anni fa. Non voglio dire questo perché penso che anche l’esperienza politica del cattolico abbia un valore di annuncio e, quindi, di testimonianza della fede e di educazione alla fede: il cattolico in politica la presuppone nel mondo cattolico da cui si alimenta, ma nello stesso tempo la annuncia. Intendo invece dire che se i cattolici impegnati in politica non avranno il coraggio – il coraggio, perché di coraggio si tratta! – di ricollegarsi, quasi di riscoprire, la propria fede religiosa e gli agganci organici con la comunità ecclesiale e il magistero della Chiesa, essi abdicheranno al loro compito di testimoniare la fede e di educare alla fede tramite la loro esperienza politica. Questa – mi chiedo – potrà servire veramente all’uomo se non servirà anche e prima di tutto a Dio?
3. Qui si colloca il grande tema del rapporto della politica dei cattolici con il mondo ecclesiale. Un rapporto oggi non facile. Diciamo pure che siamo ancora in un periodo confuso, nonostante, come dico nel mio libro, ci siano sulla carta tutti i motivi di una ripresa. Per colpa dei politici? Per colpa del mondo ecclesiale? A mio avviso ci troviamo qui di fronte a due quadri ugualmente confusi che si alimentano a vicenda. Per interrompere questo ciclo bisogna intervenire contemporaneamente e coerentemente su tutti e due i livelli. La diaspora dei cattolici nei vari partiti politici non è provocata solo dal sistema politico. Essa è espressione anche di una notevole frammentazione nella comunità ecclesiale e nel nostro popolo. Oggi si parlano troppe lingue nel popolo cristiano. Non solo non c’è più una omogeneità politica, ma non c’è una omogeneità per quanto riguarda la visione del rapporto tra
4. Qualcuno ritiene che sia sufficiente una convergenza dei cattolici e dei politici cattolici sui grandi temi dei principi non negoziabili. Vorrei ricordare che questa aspirazione riguarda comunque gli obiettivi minimi. Non è che il cristianesimo riduca il proprio messaggio ai principi non negoziabili. Quelli sono la soglia di intollerabilità assoluta. Oppure sono da vedere come origine di una nuova politica a tutto campo. Oggi si nota su di essi una significativa convergenza, ma non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Ci sono molti motivi, perfino di tecnica elettorale, per spiegare come in questo momento in parlamento ci sia un’ampia quota di deputati e senatori cattolici o comunque non ostili ai principi della legge morale naturale. Per questo è un momento, pur se delicato e insidioso, in un certo senso favorevole ed infatti certe convergenze si notano. Ma nel Paese la capacità educativa e di formazione dell’opinione pubblica delle comunità cattoliche è debole. Ritengo che in questo momento la “rappresentatività parlamentare” dei cattolici sia sovrastimata rispetto alla loro posizione e presenza nel Paese. Maggioranza in Parlamento – ripeto, per una serie di questioni politiche – ma minoranza nel Paese, minoranza nei mezzi di informazione, nelle istituzioni culturali, nelle agenzie di istruzione, prima di tutte la scuola. C’è bisogno di un grande progetto che intervenga su tutti e due i livelli – quello della politica e quello del mondo cattolico -, altrimenti gli interventi legislativi e parlamentari di oggi verranno vanificati domani per la pressione di un’opinione pubblica altrimenti formata e indirizzata.
5. Ritengo che sarebbe un grave danno se non ci fossero forme visibili e dichiarate di presenza cattolica nella società e nella politica. Mi riferisco non solo, naturalmente, a presenze di tipo personale, ma anche a presenze di tipo comunitario e organizzato. Venuta meno la presenza riconoscibile del cattolicesimo organizzato nella società viene meno irreversibilmente l’idea e la stessa consapevolezza che la fede cristiana ha una valenza pubblica. E questo anche nei cattolici stessi. Ho molto insistito su questo nel mio libro, elencando in sintesi i principali motivi teologici che fondano la valenza pubblica del cristianesimo. Ho letto con perplessità, da questo punto di vista, la notizia circa la nascita di un unico accorpamento delle cooperative italiane che traggono origine da varie matrici culturali, tra cui anche quella cattolica. Non voglio entrare nei motivi economici, tecnici e politici di queste scelte. E’ certo però che esistono ancora cooperative che mantengono fede alla loro origine cattolica, che nei loro uffici hanno ancora il crocefisso, l’immagine del Papa e nel loro statuto il riferimento esplicito alla Dottrina sociale della Chiesa. Credo non si debba rinunciare a simili forme di visibilità e penso che questo valga anche in campo politico. Il “posto di Dio” nel mondo dipende anche da questo. Naturalmente le forme le lascio alla vostra competenza e responsabilità, nonché alla vostra sapiente lettura dei tempi.
6. Nel tempo i cattolici hanno pensato a varie forme di coerente presenza aggregata nella politica. Come ripeto, oggi la cosa è molto più difficile perché l’adesione al cattolicesimo si riduce e il nostro mondo cattolico è disorientato al proprio interno. L’esperienza dei “tavoli per i cattolici impegnati in politica” non si è consolidata. L’attuale convergenza sui principi non negoziabili, richiamata con insistenza dal Magistero, va intesa come obbligante sul piano della morale naturale e religiosa, ma anche come una esigenza minima in attesa di una più ampia ripresa dal punto di vista della cultura politica. Bisognerà quindi pensare a qualcosa di nuovo. A questo proposito vorrei fare delle brevi sottolineature che forse possono aiutarci.
7. C’è nel mondo politico cattolico una considerevole nostalgia per il sistema elettorale proporzionale. Si pensa che con esso si potrebbe garantire meglio l’identità. Non voglio entrare in tecnicismi, ma solo farvi riflettere sull’opportunità di non rimanere troppo legati a questa prospettiva di cultura politica. Prima di tutto perché comunque le alleanze, seppure in seconda battuta, si devono fare. In secondo luogo perché il nostro Paese ha bisogno di forti cambiamenti che non si possono affrontare con forme di consociativismo.
Questo ultimo punto è, secondo me, di notevole importanza se inteso bene, se cioè viene inteso al di fuori delle tattiche politiche, ma come capace di aprire una prospettiva di cultura politica. La presenza politica dei cattolici deve avere il coraggio di schierarsi per il cambiamento netto rispetto a forme negative della politica del passato: lo snellimento deciso dello Stato, la revisione radicale del sistema di welfare, la riforma scolastica con una effettiva parità, una accentuata sussidiarietà a tutti i livelli, una politica per la famiglia non solo di tipo assistenziale ma promotiva di una cultura della famiglia, la lotta alle rendite di posizione, un maggiore pluralismo nei servizi e nella società civile, una politica dell’energia non ideologica, una nuova etica sociale della responsabilità. Sono solo alcuni esempi di posizioni di avanguardia da cui i cattolici non dovrebbero ritrarsi. Rimanere legati a forme di statalismo superato o ad un concetto di “moderazione” o di “centro” inteso o come difficoltà a scegliere o come garanzia per tanti di mantenimento della loro nicchia mentre il mondo sta cambiando non sono atteggiamenti in grado di valorizzare tutte le indicazioni nuove che ci dà la Caritas in veritate, la quale suggerisce un programma politico molto più all’avanguardia delle posizioni politiche di tanti cattolici.
Nei mesi scorsi abbiamo tutti assistito al dibattito sulla contrattazione sindacale e sul mondo del lavoro in fabbrica, a seguito di alcune decisioni prese dalla Fiat. Devo dire che
8. Se allora pensiamo ad un mondo politico cattolico che: a) veda la necessità di convergere sui principi non negoziabili come barriera insuperabile dell’intollerabile ma anche come criteri di politica generale; b) prenda atto che il suo retroterra nel mondo ecclesiale e nella cultura dell’opinione pubblica si indebolisce; c) sia consapevole della necessità di creare convergenza e visibilità per un impegno comune e organizzato; d) non voglia ritornare a forme di consociativismo superate; e) intenda proporre al Paese una agenda di modernizzazione al passo coi tempi e non presentarsi come espressione di categorie paurose di perdere le proprie garanzie e tutele … se pensiamo a tutto questo allora ne discendono, a mio avviso, due possibili percorsi.
8.1 Il primo consiste nell’operare per la costituzione di un punto di collegamento non direttamente politico, non prepolitico – ce ne sono anche adesso e ce ne sono stati tanti anche in passato ma non hanno funzionato – ma elettorale. Una specie di Unione elettorale cattolica, come esisteva ai tempi di Gentiloni. Un luogo unitario in cui elaborare criteri di discernimento politico ed elettorale sulla base dei principi non negoziabili. Scrivendo il mio libro su “Il cattolico in politica” ho in qualche modo pensato ad uno strumento che potesse servire a qualcosa del genere. Stabilire le priorità, garantire criteri di coerenza, chiamare a raccolta i cattolici di buona volontà attorno a dei principi, coordinare, creare convergenze: tutto questo oggi è lasciato ai vescovi, che però oltre certi limiti non possono andare, oppure alla buona volontà di singoli e gruppi. Credo che si dovrebbe arrivare ad organizzare qualcosa di stabile e strutturato in questo senso. Né mi si può dire che una simile proposta sa di antico e che denota i limiti del “gentilonismo”, vale a dire soffermarsi su programmi “single issue”, monotematici o su temi numericamente circoscritti piuttosto che su programmi più generali. Ho già detto che oggi i principi non negoziabili non possono più essere considerati monotematici ma, oltre che limite invalicabile dell’intollerabile, criteri indispensabili e punti necessari di partenza per la formulazione di un programma a tutto campo.
8.2 Il secondo percorso è di tipo formativo. Dobbiamo parlarci chiaro: non potete più pensare che il mondo cattolico vi sostenga dal punto di vista formativo, che prepari giovani formati alla dottrina sociale della Chiesa che rincalzino i politici d’esperienza. Dovete ormai essere voi che spingete per attivare un ciclo virtuoso che rimetta in moto l’osmosi reciproca, che oggi è molto allentata e piena di buchi. Voi dovete riprendere in proprio e direttamente una solida formazione alla politica fondata sul Magistero e non su sue ideologiche interpretazioni, secondo la linea chiara che sta indicando Benedetto XVI. Dovete farlo, naturalmente, collegandovi con le realtà del mondo cattolico, ma gestendo voi le cose e spingendo voi perché vengano fatte e prendano una certa piega.
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