Appunti su proporzionalismo elettorale e sviluppo economico.
Il moderno sviluppo economico appare caratterizzato dalla produzione di massa di beni materiali in un mondo in cui il mercato è globale e i confini nazionali risultano sempre più evanescenti se non addirittura inesistenti.
La concorrenza fra imprese non si gioca più a livello di singolo Paese ma a livello globale e la concorrenza non esige più solo l’efficienza e la produttività delle singole aziende ma anche quella dei sistemi politici ed economici nazionali.
Sulla base di questi presupposti e coerentemente con essi sembrerebbe possibile affermare che i meccanismi costituzionali e politici di elaborazione, formazione e gestione dei processi decisionali pubblici dovrebbero sempre più adeguarsi a criteri di efficienza e di rapidità per poter sostenere appropriatamente lo sviluppo economico dei singoli Paesi.
Non è un caso l’affermarsi, sempre più prepotente, nei Paesi europei di sistemi elettorali che premiano la stabilità governativa mediante ricorso a meccanismo maggioritari o uninominali o locali (sbarramenti, premi di maggioranza, metodo uninominali secco, configurazione dei collegi elettorali ecc.).
Non è un caso che il sistema proporzionale secco non ha avuto grande rilievo negli ultimi decenni, proprio perché ha sicuramente la capacità di fotografare il Paese ma danneggia la sua capacità di processi decisionali rapidi ed efficienti.
Ne deriva la necessità di compensare con l’accrescimento dei diritti di liberta e civili, sia a livello individuale che collettivo) le perdite in termini di partecipazione dovute al progressivo abbandono dei sistemo proporzionali
Questa tesi da me sostenuta con vigore è stata sempre combattuta dalla grande maggioranza dei miei amici italiani dell’area politica di Centro.
Pur continuando a difendere questa tesi, mi sono chiesto se la stessa non necessitasse di un ulteriore approfondimento.
E’ vero che la sostenibilità della concorrenza industriale ed uno sviluppo economico adeguato in un mondo globale presuppongono la necessità di un sistema politico-costituzionale-elettorale più sbilanciato sul lato decisionistico che su quello partecipativo.
Ma è anche vero che questo tipo di produzione e di sviluppo sia il migliore sotto il punto di vista della crescita integrale di ogni uomo e di tutti gli uomini?
La crescita della forbice fra popoli e Paesi ricchi e poveri, l’aumento di fenomeni di dissoluzione a livello individuale (suicidi, depressioni ecc.) e collettivo (forte calo della tensione etica generale, aumento dei crimini ecc.), il degrado ambientale, non ultima la attuale crisi economica e finanziaria (nata proprio da una sovraesposizione dei meccanismi dell’attuale tipo di sviluppo), suscitano più di un dubbio.
Non è che magari l’attuale modello di sviluppo e i conseguenti stili di vita hanno qualche alternativa più valida?
Non è che puntare all’aumento del possesso dei beni relazionali (famiglia, amicizia, sostegno comunitario, partecipazione di massa a progetti sociali, beni pubblici) crea maggiore felicità del possesso di beni solo materiali, una volta superata la soglia di una certa agiatezza?
Non è che rallentare il ritmo della nostra vita ci permette di portarla avanti con una maggiore serenità e con una attenzione più adeguata ai bisogni e interessi personali e di chi ci sta incontro?
Non è che i buoni rapporti con i familiari e belle rete di amici e di conoscenti valgono di più del possesso dell’ultimo cellulare o televisore a schermo piatto o dell’ “automobilina” per i figli?
Se le risposte a queste domande sono positive (e nel mio caso lo sono), mi sembra che se ne debbano dedurne della conseguenze anche a livello strutturale politico.
Diventa non più essenziale reggere la concorrenza economica degli altri Paesi in quanto si potrebbe accettare una riqualificazione dello stile di vita in funzione di una revisione degli obiettivi, dei meccanismi finanziari di sostegno, e delle strutture economiche locali e nazionali.
C’ è ampio materiale, in sede di letteratura economica, su temi quali la decrescita, la felicità, lo sviluppo sostenibile che meriterebbe di essere riletto con altri occhi e, soprattutto, applicato con coerenza, nel caso che si decidesse di cambiare prospettiva generale sul tipo di sviluppo economico e di stile di vita desiderato.
Sembrerebbe a questo punto ridursi di molto la suaccennata esigenza di efficienza e di produttività del sistema politico-costituzionale ribilanciandolo con l’esigenza di dare maggiore spazio ai bisogni espressi ed alle variegate necessità delle varie porzioni, sociali e territoriali, di popolazione. In questa prospettiva appare logica una rivalutazione del sistema elettorale proporzionale come il più adatto a soddisfare queste necessità. L’importante è che si prenda pienamente coscienza delle conseguenze economiche e sociali.
Mi piacerebbe proprio leggere altri commenti su questo tema appena accennato e che meriterebbe ben altri approfondimenti.
3 commenti:
Non posso non rallegrarmi con Giuseppe condividendo in pieno l'impianto sia teorico che metodologico da lui proposto e sollecitare tutti (me per primo) a concorrere, con contributi ragionati all'approfondimento delle tematiche proposte, segnatamente con riferimento alla rivisitazione( divenuta ormai indifferibile e per altro da me già uspicata su questo blog nell'estate dello scorso anno)della gerarchia di valori da porre a fondamento della nostra Società dopo questa (salutare) Grande Crisi.
Mi riesce difficile inquadrare un problema che presenta mille sfaccettature.In linea di massima,ampie maggioranze garantiscono anche una certa rapidità decisionale. L'attuale governo non si può non definire decisionista. Da vedere se le scelte sono giuste, se sono metabolizzate dalla società, e quindi destinate a produrre effetti nel lungo termine. Dei tempi leggermente più lunghi,ma non esageratamente,potrebbero produrre risultati più apprezzabili. Il dibattito può arricchire di contenuti, ma anche appesantire,svilire,fuorviare.Come i dibattiti sulla finanziaria degli ultimi trenta anni. Un sistema presidenziale è certamente più reattivo,ma sappiamo che può nascondere il pericolo di una deriva sudamericana.Direi che un certo equilibrio tra dialettica ed efficienza sia sempre opportuno.Quanto all'altro tema,che il decisionismo possa limitare la libertà dei più,non mi sembra. Il garantismo limita molto di più. Le società mittleuropee sono più garantiste di quelle anglosassoni,più libere.La società italiana,purtroppo, non è né l'una, né l'altra cosa.E comunque le masse,per motivi anche pratici, restano sempre escluse dalle decisioni, sopratutto laddove si agiti la bandiera di un assemblalismo demagogico.Negli anni settanta si parlava di "ridiscussione permanente". Il problema è forse di trovare i modi e gli strumenti per ampliare al massimo la platea dei destinatari dei benefici e permettere che ognuno possa perseguire la sua personale ricerca della felicità, fatta, come dice Giuseppe, sopratutto di beni immateriali.Mi rendo conto di non aver detto niente.
Giuseppe C., che dici? A me pare che tu l’abbia detta, la tua, eccome!
Se permetti, una piccola notazione. Il contenuto della Felicità è imprevedibile e ignoto a chiunque: nessuno può escludere che la Felicità passi anche attraverso una cosa materialissima (una bellissima macchina, una barca, una casa, ecc.)?
E allora, perché pretenderne il… monopolio?
Io non credo, affatto, che la proprietà sia un furto ma che su di essa "gravi una forte ipoteca sociale", beh sì, questo credo proprio di sì.
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