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martedì 2 dicembre 2008

Stiamo già finanziando la prossima crisi?

Domenica mattina, parlando con un caro amico di diverse questioni, lui mi ha citato una frase di Einstein di cui riporto il senso: "Non si possono risolvere problemi utilizzando gli stessi pensieri che hanno dato origine ai problemi".
Questa frase ha provocato in me la seguente riflessione.
Secondo il parere degli economisti più liberi dai "poteri forti" nazionali e internazionali, l'attuale crisi finanziaria ha avuto origine principalmente da un modello culturale basato sulla massimizzazione del profitto individuale a scapito del bene comune, su una visione dei problemi e delle soluzioni basata solo sul breve termine, sullo stimolo a dare la priorirà al consumo incessante di beni individuali ed effimeri piuttosto che di beni necessari e "solidi" (istruzione, relazioni ecc..), più utili in una visione a medio-lungo termine.
Se questi sono i motivi della crisi, non si può pensare di risolverla con gli strumenti finora ideati nei vari G8, G20 ecc., ossia con sostegno alle banche, soldi alle famiglia, difesa ad oltranza di tutti gli investitori finanziari (compresi quelli che, con comportamenti scorretti, hanno dato origine alla crisi).
Se la liquidità che sarà immessa nel sistema verrà usata dalle imprese e dalle famiglie rispettivamente per produrre e consumare i soliti beni da "consumismo", forse si riuscirà a sollevare il mondo dalla attuale crisi, ma staremo già finanziando quella prossima ventura.
Mi domando e vi domando se il problema sia proprio nel voler usare, come diceva Einstein gli stessi pensieri che hanno dato origine alla crisi, senza cogliere la necessità di cambiare patametri di riferimento.
Certo che i vari Bush, Berlusconi e gli altri del G20 non possono fare altro che ideare provvedimenti che non entrino in conflitto con i loro interessi di imprenditori (petrolio, media ecc.).... ma bisogna andare oltre!
Forse occorrerebbe cambiare proprio la prospettiva e riflettere sulla possibilità di dare spazio a meccanismi di sviluppo divesi da quelli finora ideati ed attuati, che ci hanno portato a crisi continue di cui alcune profonde a distanza ravvicinata.
Perché non pensare a meccanismi che favoriscano uno sviluppo ecosostenibile, rivolto a stimolare il consumo prioritariamente dei beni solidi e necessari (con un'ottica planetaria), e solo dopo di quelli effimeri, privilegiando una cultura della pubblicità che stimoli un consumo libero sì ma anche responsabile verso se stessi e verso la società?
Certo che questa impostazione presuppone la visione dell'uomo non con come individuo solo materiale ed "oeconomicus" ma come persona che si realizza moralmente e materialmente entrando in una relazione costruttiva con la comunità che gli sta intorno (e che, di questi tempi arriva ad essere una comunità globale).
Che ne pensate? Quelli appena descritti sono solo "titoli" di un discorso che andrebbe approfondito.
Cari saluti

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Giuseppe, mi pare di ricordare che Einstein riferisse la sua riflessione alle persone. Chi è causa di un problema non può essere artefice della soluzione. Mi pare si tratti di una lungimirante applicazione del divieto del conflitto di interessi. Le tue osservazioni sono sacrosante. La questione è: dove è collocato il massimo punto di tenuta del sistema di valori e principi che tu condanni? "Usque tandem " il complesso degli interessi dominanti sarà in grado di ignorare non tanto il grido di dolore dei più, quanto piuttosto i vincoli di ragionevolezza delli leggi generali scritte dalla storia? Per tornare ad Einstein, io confido nella presa di coscienza della Persona in seno alla Comunità. E' chiaro che siamo in vista della maturazione di processi corrosivi della condizione di inconsapevolezza in cui viviamo. Un pò come nelle situazioni di risveglio dal torpore delle comodità. All'improvviso ci si accorge che non saturano i bisogni dell'essere. Si affacciano ansia, noia, insoddisfazione, dolore. Ecco, mi pare che mediamente la società cominci a manifestare una sintomatologia afflittiva. Il che, ovviamente, non è sufficiente. Nel frattempo, sono in corso mutazioni avvolgenti da parte dei poteri forti. semplicemente danno a vedere di condividere lo stato crescente di insoddisfazione e confezionano ricette , e spendono nuovi incarti delle loro merci. Che restano le stesse! Che fare? Meglio, che sperare? Io mi auguro un progressivo risveglio delle coscienze, associato ad un rigoroso e poderoso interpello delle responabilità personali. Sarà considerato banale o illusorio, ma credo nella rinascita dal basso, nella sussidiarietà della propria anima, nel contagio del buon esempio, nela disseminazione del coraggio. Occorrono masse eteroguidate? No, bastano Persone esemplari, Ma sono poche! Sandro

Unknown ha detto...

ho avuto la ventura di studiare economia. E ho capito che nelle Università si insegna un solo modello macro-economico, nella convinzione che sia l'unico possibile. Ma soprattutto per pigrizia. Perchè ci sono studi specifici (anche premiati col Nobel) che paventano l'ipotesi di altri modelli macroeconomici. Il lavoro da fare è mettere insieme le cose e mostrare il "nuovo" modello.

Altra questione chiave sono i cosiddetti "giudizi di valore" come si dice in Politica economica: se io, comunque si sia sedimentata questa connvizione/cultura, ritengo che avendo 100 euro è indispendabile usarne 90 per una certa cosa e 10 per un'altra, non c'è modello economico che tenga. Troverò il modo (e lo giustificherò) per usare le mie risorse scarse in quella direzione...

Interessante, poi, il caso del risultato di un mio lavoro di ricerca sulla politica dei redditi del 1993. Sapete come si calcola il "mark up" sul costo di un bene? Cioè come si fa il prezzo finale di un certo bene? Beh, noi teniamo sempre in gran conto i "costi" (quello del lavoro in primis), ma nella formuletta del mark up c'è anche una letterina, "g", che indica il margine di extraprofitto delle imprese (quello destinato alla compensazione degli azionisti). Ebbene, nel 1993 mentre tutti tiravano la cinghia, si teneva basso il costo del lavoro, si controllavano i salari etc, quel "g" continuava misteriosamente a salire... alla faccia della politica (del controllo) dei redditi e della concertazione divenuta argomento da manuale.

Quale modello economico può ovviare a questi "misteri", se non la presenza nella società civile di persone nuove, nel senso suggerito da sandro diotallevi?

Anonimo ha detto...

Mi ha sorpreso leggere sul tuo intervento alcune considerazioni che insistentemente vado ripetendo da un po’ di tempo, da ultimo ieri sera, intervenendo a Velletri a un incontro su “La presenza dei cristiani nella vita politica e sociale”, organizzato dal Vescovo, il carissimo mons. Vincenzo Apicella.

L’origine della crisi degli intermediari finanziari americani sta nel fatto che per diversi anni sono stati tenuti bassi i tassi sul dollaro e le banche hanno cavalcato la nota propensione ai consumi dei loro clienti, offrendo loro mutui garantiti da immobili. Finché il valore delle case è andato su (bolla speculativa) tutto bene; quando hanno cominciato a calare le banche hanno provato a rientrare, ma i privati non sono stati in grado di restituire nemmeno in parte i prestiti, perché utilizzati non per investimenti, ma per consumi.

Di qui la sfiducia nei confronti delle banche, che ha contagiato, per la subdola gestione dei crediti, intermediari finanziari di tutto il mondo.

Ebbene, ora si sente proporre come toccasana esattamente le stesse cose che stanno all’origine della crisi. Si sente invocare la riduzione dei tassi di interesse, come se non bastassero i tagli fatti finora, e si sente proporre il sostegno dei consumi. Il coro è quasi unanime, viene da destra e da sinistra, dagli USA e dall’Europa, e a me sembra francamente demenziale.

Se c’è crisi di liquidità, i tassi dovrebbero semmai salire. Inoltre andrebbe incentivato il risparmio e non i consumi: non son certo questi a dover sostenere la domanda, ma gli investimenti. Cosa fa una famiglia quando si riducono le entrate? Risparmia e, per quanto possibile, investe. Lo stesso dovrebbe fare oggi, per quanto riesco a capire, il nostro Paese che di investimenti ha un atavico bisogno. Pensiamo alla situazione deludente delle nostre infrastrutture; pensiamo quanto si potrebbe fare nei collegamenti ferroviari, autostradali, metropolitani, marittimi e fluviali (per non parlare di quelli aerei) e poi nelle infrastrutture scolastiche, sanitarie, giudiziarie, ecc.: sono gli investimenti infrastrutturali e non i consumi dei privati a dover dare una boccata d’ossigeno alle imprese.

E un’altra cosa va detta: questi investimenti infrastrutturali non sia lo Stato a farli, perché sappiamo bene che è un pessimo investitore. Lo Stato dovrebbe solo creare le condizioni di stabilità e prevedibile redditività perché consorzi privati abbiano interesse ad investire e a gestire, in regime di concessione, le loro iniziative. Ma forse qui stiamo scivolando dalla realtà al sogno.