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domenica 27 marzo 2022

1 vale sempre 1?

                     Considerazioni libere sul suffragio universale ugualitario




Il suffragio universale è stato sicuramente una grande conquista dell'umanità nell'ottica del cammino verso una piena democrazia.
Esso è stato oggetto di una dura battaglia nel corso del XIX e del XX secolo che ha lasciato sul campo numerose vittime.

Oggi nessun democratico in un Paese civile può pensare ragionevolmente che il diritto di voto possa essere oggetto di limitazioni, come avvenuto in passato, per motivi di censo, di genere, di religione.

L’ art. 48 della Costituzione italiana riflette totalmente tale pensiero e così recita:

«Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.»

Il voto dunque deve essere libero, uguale, segreto.
Ma, ci domandiamo, il concetto di libertà, uguaglianza e segretezza del voto come si può declinare nonché garantire nel mondo odierno?

Ricordo una trentina di anni fa allorché lessi questa frase in un libro di Sergio Zavoli, giornalista di vaglia come pochi ce ne sono stati: “la rivoluzione non è più nel cambiamento ma nella velocità con la quale esso avviene”. Oggi la aggiornerei in questo modo: “La rivoluzione non è più nel cambiamento né nella velocità con la quale esso avviene, ma nella continua accelerazione di tale velocità”.

E non posso neppure fare a meno di ricordare l’opera del  grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, vissuto a cavallo fra il XX e il XXI secolo e morto nel 2017, il quale postulò che ormai ci troviamo in una “società liquida”, ovvero in una società che evolve in una maniera talmente rapida che non facciamo neppure a tempo a comprendere lo stato evolutivo alla quale la società è arrivata che questo è già cambiato!
La liquidità, oltre alla globalizzazione e alla interconnessione delle informazioni sono i caratteri salienti della società odierna, perlomeno di quella più avanzata.

Ai fini di queste considerazioni sul suffragio universale, perché questa premessa su alcuni elementi rilevanti del mondo odierno?
Perché la domanda successiva da porsi è quella di chiedersi quale livello di consapevolezza (fatta sia di conoscenze consolidate che di esperienze accumulate) debba essere acquisito per poter fare scelte realmente libere.

Senza per questo dimenticare un altro fronte sull’aspetto della battaglia a difesa della libertà, quello aperto sul campo delle tecniche comunicative e della manipolazione mediatica per pilotare le scelte personali (politiche e commerciali) di cittadini e consumatori. In questi venti anni sono stati fatti progressi inenarrabili su questo fronte della manipolazione.
L’uso spregiudicato delle fake news, dei social, dei sondaggi truccati, dei messaggi subliminali, si è ampiamente sviluppato mentre, contemporaneamente si è prodotto (e qui la mia mente corre soprattutto all’Italia) un declino culturale e un degrado cognitivo che fa temere un devastante “analfabetismo di ritorno

E come non pensare, sempre, con riferimento all’Italia, al continuo invecchiamento anagrafico e all’allargarsi della forbice del “divario digitale” fra vecchie e nuove generazioni?
Io stesso settantatreenne,  imbevuto di cultura classici ma dipendente per 31 anni di una azienda multinazionale all’avanguardia nel campo della IT, faccio una fatica enorme a seguire l’evoluzione della tecnologia digitale, e spesso non ci riesco…
Così non ci riescono neppure tanti altri coetanei che, pur ancora lucidi e colti, non ce la fanno più a star dietro alla evoluzione tecnologica e a tutto ciò che ne consegue nel campo delle conoscenze (solo a titolo di esempio, oggi la gran massa delle informazioni viaggia in tempo reale su internet e non certo sulla carta).
E che dire della grande quantità di dati (i big data) dalla quale siamo sommersi, che sono reperibili e classificabili solo attraverso l’impiego dei grandi elaboratori di ultima generazioni capaci di “intelligenza artificiale”?


In un mondo del genere che vuol dire essere liberi, ovvero avere la piena consapevolezza, in termini di conoscenze acquisite e di esperienze consolidate, di poter fare scelte che provengono unicamente dalla nostra capacità di elaborare un pensiero adeguato ai tempi e alla realtà che ci circonda?

Forse occorre avere l’umiltà per affermare che oggi, nel mondo attuale, la piena consapevolezza non è più raggiungibile e che bisogna accontentarsi di scelte e soluzioni in grado di avvicinarsi al miglior bene possibile per gli altri e per chi ci circonda. 

E allora torniamo al tema del suffragio universale egualitario così come declinato nell’art. 48 della Costituzione italiana.
Possiamo dire che, oggi nella situazione attuale siamo tutti ugualmente capaci di fare scelte consapevoli (ovvero avendo conoscenze ed esperienze adeguate) per affrontare problematiche abbondanti e sempre più complesse, tipiche di un mondo globalizzato e allo stesso tempo frastagliato, con un ritmo di velocità travolgente e ad alto livello di digitalizzazione?
Non è forse onesto, anche se molto doloroso ammettere che la risposta è solo una : NO?

Rimango peraltro convinto che la battaglia per il suffragio universale non debba andare persa, ma che occorrano solamente soluzioni mirate per rendere questo strumento ancora pienamente valido ai fini del mantenimento della democrazia.

La nostra Costituzione dice che il voto deve essere libero, uguale, segreto.

Ma possiamo definire sicuramente segreto, nel XXI secolo, un voto definito con una croce a matita dentro una cabina ben nascosta alla vista?
Nel centro/sud di Italia erano stati già escogitati, negli scorsi decenni, sistemi per permettere il controllo di massa del voto tramite l’uso di schede pre-votate consegnate agli elettori in cambio di schede intonse. Oggi, più facilmente basta consegnare all’elettore, prima di entrare nel seggio, uno smartphone impostato in modalità silenzioso e chiedergli di fotografare il voto sulla scheda, in maniera da permettere il controllo della sua scelta.
Diventa indifferibile ormai, al fine di garantire la segretezza, modificare le modalità del voto, magari passando a cabine trasparenti o (ma questo creerebbe molti problemi alle vecchie generazioni) passare al voto elettronico.

Questo per quanto riguarda la segretezza. Più delicate, e anche più difficili nell’approccio, sono le considerazioni legate al tema della libertà e della uguaglianza del voto.
Abbiamo visto più sopra come alla domanda  se siamo tutti ugualmente capaci di dare voti consapevoli (ovvero avendo conoscenze ed esperienze adeguate) per affrontare problematiche abbondanti e sempre più complesse, tipiche di un mondo globalizzato e allo stesso tempo frastagliato, con un ritmo di velocità travolgente e ad alto livello di digitalizzazione, la risposta dovrebbe essere onestamente negativa.
Un voto coartato da una abile manipolazione mediatica, o non sostenuto da adeguate conoscenze o limitato da scarse o mancanti esperienze di vita, difficilmente un voto può essere considerato realmente libero.
Forse è su questo piano che occorrerebbe agire, non eliminando l’universalità del suffragio, ma regolandone l’accesso per garantirlo in maniera graduale proporzionalmente al livello di consapevolezza (e di conseguenza di libertà) del cittadino elettore.
Si tratta di trovare criteri di ponderazione del voto in maniera da non toglierlo a nessuno ma accrescendone  il valore in funzione dell’acquisto di una maggiore consapevolezza di scelta.

Anche perché trattare in maniera uguale persone con diversi gradi di consapevolezza e, di conseguenza di libertà, sotto la veste di garantire la libertà formale produrrebbe la peggiore delle disuguaglianze sostanziali.

Certamente attribuire un voto ponderato non deve far pensare a non augurabili esperienze del passato, e a “pesi” quale il genere (o l’orientamento sessuale), il censo o un livello di istruzione formale.
Questo sarebbe assolutamente inaccettabile anche perché il superamento di questi criteri è costato secoli di lotte anche cruente e sarebbe delittuoso e ingiusto pensare di tornare indietro.

Si possono cercare invece altri criteri di ponderazione.

Un primo criterio potrebbe essere quello di sottoporre i cittadini ad una sorta di esame di educazione civica formulando loro una serie di domande sulla Costituzione italiana, sull’ONU e e sulla UE attribuendo poi un peso in funzione della percentuale di risposte esatte.
Fra l’altro con questo sistema si potrebbero spingere i cittadini, che difficilmente lo farebbero in maniera spontanea, ad approfondire gli argomenti inerenti la propria educazione civica.
Ma siamo certi che la conoscenza dei valori fondanti del nostro Paese siano sufficienti per un voto libero e consapevole? No, non basta avere conoscenza in tal senso se poi non si ha la capacità di elaborarle in collegamenti con altre conoscenze ed esperienze per poter infine giungere ad un giudizio complessivo propedeutico al voto.

Un secondo criterio potrebbe essere quello di ponderare il voto a seconda del Quoziente di Intelligenza (QdI) raggiunto da ogni cittadino elettore. Una volta stabilite delle fasce di QdI si potrebbe concordare un “peso” da attribuire ad ogni fascia e, conseguentemente, un peso al voto dei cittadini che si posizionino in quella fascia di QdI.
Ma siamo certi che sia sufficiente avere un alto QdI per essere certi di votare in maniera libera e consapevole? Il risultato del test sul QdI può essere falsato in funzione del tipo di studi fatti (scientifici, classici, tecnici, professionali…) e, soprattutto, una persona può anche essere intelligentissimo ma carente in conoscenze pratiche della vita o in relazioni interpersonali.

Ancora. ci si può invece domandare se un  altro ( e più selettivo) criterio applicabile non possa essere quello dell’età.
Il criterio dell’età per votare è previsto in pressoché tutti gli ordinamenti giuridici nazionali. Generalmente è prevista una età minima (in Italia 18 anni) per poter dare il proprio voto alle elezioni politiche sulla base della considerazione che una certa età minima è necessaria per aver avuto la possibilità di acquisire conoscenze e esperienze sufficienti per dare un voto maturo e consapevole.
In alcuni ordinamenti (ad esempio quello che regolamenta l’elezione del Papa di Roma) è stabilita una età massima (nel caso di specie 75 anni) trascorsa la quale si presume che l’elettore non abbia potuto più la pienezza di lucidità o di capacità intellettiva per poter esprimere un voto consapevole.
Ma è giusto che sia solo la data del proprio compleanno a stabile il limite minimo (o massimo) per dare il proprio voto con un peso uguale a quello degli altri?

Mi sono sempre chiesto perché il voto di un 70nne pensionato, con grande esperienza di vita, ma con conoscenze ormai in parte annebbiate dalle ineluttabili carenze di memoria e in parte superate per la difficoltà di aggiornamenti che sempre più spesso avvengono per via informatica (di accesso più problematico per gli anziani), debba valere quanto il voto di un 40-50enne, presumibilmente lavoratore con figli a carico, la cui esperienza di vita sia già sufficientemente consolidata e le cui conoscenze siano adeguate alla realtà che sta vivendo. 
Anche se, personalmente mi ritrovo nel primo ritratto non ho dubbi nel ritenere che il mio voto debba valere di meno di quello del 40-50 enne delineato nel secondo ritratto, in quanto quest’ultimo può esprimere il voto con maggiore consapevolezza e libertà, possedendo già sia conoscenze che esperienze adeguate.
Mentre mi parrebbe corretto che il voto del 70enne pensionato, con esperienza adeguata ma conoscenze carenti, possa valere quanto quello di un giovane 20enne, più carente come esperienza di vita ma in possesso di conoscenze più aggiornate.

In pratica sto delineando un grafico con una curva a forma di campana laddove sull’asse delle ordinate venga considerato, in forma crescente e poi decrescente il perso del voto e, sull’asse delle ascisse in forma crescente l’età.
I pesi più bassi vengono attribuiti, in maniera equivalente agli appena maggiorenni e ai 67enni (normalmente pensionandi o pensionati); i pesi crescono dalla maggiore età fino a raggiungere i 40-50 anni per decrescere poi nuovamente.

Di seguito un esempio grafico della attribuzione del peso del voto che assumerebbe la veste classica di una curva di Gauss.

 

Sono convinto della ragionevolezza e dell’equità dell’ipotesi appena delineata, anche se mi rendo conto della sua concretamente impossibile realizzazione, almeno a breve termine. La maggioranza della popolazione si situerebbe nelle parti basse della curva mal digerendo un peso di voto inferiore e nessun Parlamento avrebbe il coraggio di approvare una riforma elettorale del genere.

Ma all’età di quasi 74 anni, posso permettetemi di lanciare nel web proposte, anche provocatorie, idonee ad offrire ai lettori uno stimolo per una riflessione e, magari, aprire uno spezio per un serio e costruttivo confronto.

 

Roma 27 marzo 2022                                                                                    Giuseppe Sbardella

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