Considerazioni libere sul suffragio universale ugualitario
Il suffragio universale è stato sicuramente una grande conquista dell'umanità nell'ottica del cammino verso una piena democrazia.
Esso è stato oggetto di una dura battaglia nel corso del XIX e del XX secolo
che ha lasciato sul campo numerose vittime.
Oggi nessun democratico in un Paese civile può pensare ragionevolmente che il
diritto di voto possa essere oggetto di limitazioni, come avvenuto in passato,
per motivi di censo, di genere, di religione.
L’ art. 48 della Costituzione
italiana riflette totalmente tale pensiero e così recita:
«Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che
hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere
civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l'esercizio del diritto di voto
dei cittadini residenti all'estero e ne assicura l'effettività. A tale fine è
istituita una circoscrizione Estero per l'elezione delle Camere, alla quale
sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo
criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per
effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati
dalla legge.»
Il voto dunque deve essere
libero, uguale, segreto.
Ma, ci domandiamo, il concetto di libertà, uguaglianza e segretezza del voto
come si può declinare nonché garantire nel mondo odierno?
Ricordo una trentina di anni fa allorché lessi questa frase in un libro di
Sergio Zavoli, giornalista di vaglia come pochi ce ne sono stati: “la
rivoluzione non è più nel cambiamento ma nella velocità con la quale esso
avviene”. Oggi la aggiornerei in questo modo: “La rivoluzione non è più
nel cambiamento né nella velocità con la quale esso avviene, ma nella continua
accelerazione di tale
velocità”.
E non posso neppure fare a
meno di ricordare l’opera del grande
sociologo polacco Zygmunt Bauman, vissuto a cavallo fra il XX e il XXI secolo e
morto nel 2017, il quale postulò che ormai ci troviamo in una “società liquida”, ovvero in una
società che evolve in una maniera talmente rapida che non facciamo neppure a
tempo a comprendere lo stato evolutivo alla quale la società è arrivata che
questo è già cambiato!
La liquidità, oltre alla globalizzazione e alla interconnessione
delle informazioni sono i caratteri salienti della società odierna, perlomeno
di quella più avanzata.
Ai fini di queste
considerazioni sul suffragio universale, perché questa premessa su alcuni
elementi rilevanti del mondo odierno?
Perché la domanda successiva da porsi è quella di chiedersi quale livello di consapevolezza
(fatta sia di conoscenze consolidate che di esperienze
accumulate) debba essere acquisito per poter fare scelte realmente libere.
Senza per questo dimenticare
un altro fronte sull’aspetto della battaglia a difesa della libertà, quello
aperto sul campo delle tecniche comunicative e della manipolazione
mediatica per pilotare le scelte personali (politiche e commerciali) di
cittadini e consumatori. In questi venti anni sono stati fatti progressi
inenarrabili su questo fronte della manipolazione.
L’uso spregiudicato delle fake news, dei social, dei sondaggi truccati, dei
messaggi subliminali, si è ampiamente sviluppato mentre, contemporaneamente si
è prodotto (e qui la mia mente corre soprattutto all’Italia) un declino
culturale e un degrado cognitivo che fa temere un devastante “analfabetismo
di ritorno”
E come non pensare, sempre,
con riferimento all’Italia, al continuo invecchiamento anagrafico e all’allargarsi
della forbice del “divario digitale” fra vecchie e nuove generazioni?
Io stesso settantatreenne, imbevuto di
cultura classici ma dipendente per 31 anni di una azienda multinazionale
all’avanguardia nel campo della IT, faccio una fatica enorme a seguire
l’evoluzione della tecnologia digitale, e spesso non ci riesco…
Così non ci riescono neppure tanti altri coetanei che, pur ancora lucidi e
colti, non ce la fanno più a star dietro alla evoluzione tecnologica e a tutto
ciò che ne consegue nel campo delle conoscenze (solo a titolo di esempio, oggi
la gran massa delle informazioni viaggia in tempo reale su internet e non certo
sulla carta).
E che dire della grande quantità di dati (i big data) dalla quale siamo
sommersi, che sono reperibili e classificabili solo attraverso l’impiego dei
grandi elaboratori di ultima generazioni capaci di “intelligenza artificiale”?
In un mondo del genere che vuol dire essere liberi, ovvero avere la piena consapevolezza, in termini di conoscenze acquisite e di
esperienze consolidate, di poter fare scelte che provengono unicamente dalla
nostra capacità di elaborare un pensiero adeguato ai tempi e alla realtà che ci
circonda?
Forse occorre avere l’umiltà
per affermare che oggi, nel mondo attuale, la piena consapevolezza non è
più raggiungibile e che bisogna accontentarsi di scelte e soluzioni in grado di
avvicinarsi al miglior bene possibile per gli altri e per chi ci
circonda.
E allora torniamo al tema del suffragio universale egualitario così come
declinato nell’art. 48 della Costituzione italiana.
Possiamo dire che, oggi nella situazione attuale siamo tutti ugualmente capaci
di fare scelte consapevoli (ovvero avendo conoscenze ed esperienze adeguate)
per affrontare problematiche abbondanti e sempre più complesse, tipiche di un
mondo globalizzato e allo stesso tempo frastagliato, con un ritmo di velocità
travolgente e ad alto livello di digitalizzazione?
Non è forse onesto, anche se molto doloroso ammettere che la risposta è solo
una : NO?
Rimango peraltro convinto che
la battaglia per il suffragio universale non debba andare persa, ma che
occorrano solamente soluzioni mirate per rendere questo strumento ancora
pienamente valido ai fini del mantenimento della democrazia.
La nostra Costituzione dice
che il voto deve essere libero, uguale, segreto.
Ma possiamo definire sicuramente segreto, nel XXI secolo, un voto
definito con una croce a matita dentro una cabina ben nascosta alla vista?
Nel centro/sud di Italia erano stati già escogitati, negli scorsi decenni,
sistemi per permettere il controllo di massa del voto tramite l’uso di schede
pre-votate consegnate agli elettori in cambio di schede intonse. Oggi, più
facilmente basta consegnare all’elettore, prima di entrare nel seggio, uno
smartphone impostato in modalità silenzioso e chiedergli di fotografare il voto
sulla scheda, in maniera da permettere il controllo della sua scelta.
Diventa indifferibile ormai, al fine di garantire la segretezza, modificare le
modalità del voto, magari passando a cabine trasparenti o (ma questo creerebbe
molti problemi alle vecchie generazioni) passare al voto elettronico.
Questo per quanto riguarda la segretezza. Più delicate, e anche più difficili nell’approccio,
sono le considerazioni legate al tema della libertà e della uguaglianza
del voto.
Abbiamo visto più sopra come alla domanda se siamo tutti ugualmente capaci di dare
voti consapevoli (ovvero avendo conoscenze ed esperienze adeguate) per
affrontare problematiche abbondanti e sempre più complesse, tipiche di un mondo
globalizzato e allo stesso tempo frastagliato, con un ritmo di velocità
travolgente e ad alto livello di digitalizzazione, la risposta dovrebbe essere
onestamente negativa.
Un voto coartato da una abile manipolazione mediatica, o non sostenuto da
adeguate conoscenze o limitato da scarse o mancanti esperienze di vita, difficilmente
un voto può essere considerato realmente libero.
Forse è su questo piano che occorrerebbe agire, non eliminando
l’universalità del suffragio, ma regolandone l’accesso per garantirlo in
maniera graduale proporzionalmente al livello di consapevolezza (e di
conseguenza di libertà) del cittadino elettore.
Si tratta di trovare criteri di ponderazione del voto in maniera da non
toglierlo a nessuno ma accrescendone il
valore in funzione dell’acquisto di una maggiore consapevolezza di scelta.
Anche perché trattare in
maniera uguale persone con diversi gradi di consapevolezza e, di
conseguenza di libertà, sotto la veste di garantire la libertà formale
produrrebbe la peggiore delle disuguaglianze
sostanziali.
Certamente attribuire un voto ponderato non deve far pensare a non
augurabili esperienze del passato, e a “pesi” quale il genere (o l’orientamento
sessuale), il censo o un livello di istruzione formale.
Questo sarebbe assolutamente inaccettabile anche perché il superamento di
questi criteri è costato secoli di lotte anche cruente e sarebbe delittuoso e
ingiusto pensare di tornare indietro.
Si possono cercare invece
altri criteri di ponderazione.
Un primo criterio potrebbe essere quello di sottoporre i cittadini ad una
sorta di esame di educazione civica formulando loro una serie di domande
sulla Costituzione italiana, sull’ONU e e sulla UE attribuendo poi un peso in funzione
della percentuale di risposte esatte.
Fra l’altro con questo sistema si potrebbero spingere i cittadini, che
difficilmente lo farebbero in maniera spontanea, ad approfondire gli argomenti
inerenti la propria educazione civica.
Ma siamo certi che la conoscenza dei valori fondanti del nostro Paese siano
sufficienti per un voto libero e consapevole? No, non basta avere
conoscenza in tal senso se poi non si ha la capacità di elaborarle in
collegamenti con altre conoscenze ed esperienze per poter infine giungere ad un
giudizio complessivo propedeutico al voto.
Un secondo criterio potrebbe essere quello di ponderare il voto a seconda
del Quoziente di Intelligenza (QdI) raggiunto da ogni cittadino elettore.
Una volta stabilite delle fasce di QdI si potrebbe concordare un “peso” da
attribuire ad ogni fascia e, conseguentemente, un peso al voto dei cittadini
che si posizionino in quella fascia di QdI.
Ma siamo certi che sia sufficiente avere un alto QdI per essere certi di votare
in maniera libera e consapevole? Il risultato del test sul QdI può essere
falsato in funzione del tipo di studi fatti (scientifici, classici, tecnici,
professionali…) e, soprattutto, una persona può anche essere intelligentissimo
ma carente in conoscenze pratiche della vita o in relazioni interpersonali.
Ancora. ci si può invece
domandare se un altro ( e più
selettivo) criterio applicabile non possa essere quello dell’età.
Il criterio dell’età per votare è previsto in pressoché tutti gli ordinamenti
giuridici nazionali. Generalmente è prevista una età minima (in Italia
18 anni) per poter dare il proprio voto alle elezioni politiche sulla base
della considerazione che una certa età minima è necessaria per aver avuto la
possibilità di acquisire conoscenze e esperienze sufficienti per dare un voto
maturo e consapevole.
In alcuni ordinamenti (ad esempio quello che regolamenta l’elezione del Papa di
Roma) è stabilita una età massima (nel caso di specie 75 anni) trascorsa
la quale si presume che l’elettore non abbia potuto più la pienezza di lucidità
o di capacità intellettiva per poter esprimere un voto consapevole.
Ma è giusto che sia solo la data del proprio compleanno a stabile il limite
minimo (o massimo) per dare il proprio voto con un peso uguale a quello degli
altri?
Mi sono sempre chiesto perché il voto di un 70nne pensionato, con
grande esperienza di vita, ma con conoscenze ormai in parte annebbiate dalle
ineluttabili carenze di memoria e in parte superate per la difficoltà di
aggiornamenti che sempre più spesso avvengono per via informatica (di accesso
più problematico per gli anziani), debba valere quanto il voto di un 40-50enne, presumibilmente lavoratore
con figli a carico, la cui esperienza di vita sia già sufficientemente
consolidata e le cui conoscenze siano adeguate alla realtà che sta vivendo.
Anche se, personalmente mi ritrovo nel primo ritratto non ho dubbi nel ritenere
che il mio voto debba valere di meno di quello del 40-50 enne delineato
nel secondo ritratto, in quanto quest’ultimo può esprimere il voto con maggiore
consapevolezza e libertà, possedendo già sia conoscenze che esperienze
adeguate.
Mentre mi parrebbe corretto che il voto del 70enne pensionato, con
esperienza adeguata ma conoscenze carenti, possa valere quanto quello di un giovane 20enne, più carente come
esperienza di vita ma in possesso di conoscenze più aggiornate.
In pratica sto delineando un
grafico con una curva a forma di campana laddove sull’asse delle ordinate venga
considerato, in forma crescente e poi decrescente il perso del voto e,
sull’asse delle ascisse in forma crescente l’età.
I pesi più bassi vengono attribuiti, in maniera equivalente agli appena
maggiorenni e ai 67enni (normalmente pensionandi o pensionati); i pesi crescono
dalla maggiore età fino a raggiungere i 40-50 anni per decrescere poi
nuovamente.
Di seguito un esempio grafico della attribuzione del peso del voto che assumerebbe la veste classica di una curva di Gauss.
Sono convinto della ragionevolezza
e dell’equità dell’ipotesi appena delineata, anche se mi rendo conto della sua concretamente
impossibile realizzazione, almeno a breve termine. La maggioranza della
popolazione si situerebbe nelle parti basse della curva mal digerendo un peso
di voto inferiore e nessun Parlamento avrebbe il coraggio di approvare una
riforma elettorale del genere.
Ma all’età di quasi 74 anni, posso permettetemi di lanciare nel web proposte,
anche provocatorie, idonee ad offrire ai lettori uno stimolo per una
riflessione e, magari, aprire uno spezio per un serio e costruttivo confronto.
Roma 27 marzo 2022 Giuseppe Sbardella