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sabato 8 gennaio 2011

Perché no? una Chiesa "ambientale"..

Durante il Concilio Vaticano II fu elaborata la nozione di Chiesa locale per indicare la comunità di credenti presenti in un determinato luogo (generalmente coincidente con una zona ecclesiale quale la Parrocchia o la Diocesi), e quella di Chiesa domestica per indicare la comunità familiare.

Mi chiedo se non esistano anche le Chiese “ambientali”, ovvero le comunità di credenti che, negli ambienti di lavoro o in quelli socio-culturali, si impegnano nella evangelizzazione e nella promozione umana.

Il pensiero corre alla comunità dei fedeli laici impegnati in IBM a Roma in questo primo decennio del secolo, con l’augurio che sentano sempre più di essere una piccola Chiesa ambientale, ma anche a tante altre esperienza in essere e in fieri.

Chissà se qualche teologo non se la sentirà di contribuire alla elaborazione del concetto e dell’essenza di una Chiesa ambientale.

Che ne dite? Ne parliamo sul blog?

Buona settimana

7 commenti:

Paolo C. ha detto...

si', da noi si'.
anzidi piu', stanno facendo i passi per la consacrazione della nostra cappella, come e' giusto.
ci sono persone, animate da un grande spirito di carita', che addirittura fanno opera di proselitismo e organizzano continui pellegrinaggi a Medjugorie, facendo da anello saldante tra l'ambiente di lavoro e la spiritualita' di Maria, Madre della Chiesa.
Io non faccio parte attiva in questo gruppo, in quanto sono ancora in fase pedagogica, frequentando gia' il secondo anno di un corso di teologia alla Lateranense. La nostra' e' gia' una realta' in atto, suscettibile di una significativa crescita.

Qualsiasi spazio o intervallo temporale reale o creato nella nostra interiorita', in cui l'uomo riconosce e rende lode a Dio, e' celebrazione della Festa Crustiana e Teologica e quindi Altare della Chiesa Trinitario.
Quindi rispondo si' alla tua domanda, a patto ci sia la Presenza Divina (Consacraziome, Sacramemto e Sacramentale) e del Santissimo.

Buon Anno.

Pompeo S. ha detto...

è la solita storia tra strategia e tattica
il cristiano ha soltanto un segno e non può andare in giro con una riserva di coccarde da esibire in ogni occasione.
ci è stato detto di essere lievito e sale anche se nel mondo ci sono migliaia di tipi di pane e il fornitore della farina è unico.
Mi ricordo una curiosità per i Padri Conciliari di allora.
Furono allistiti due punti di ristoro per il caffè:
il Bar Giona, poco frequentato, e il Bar Abba sempre affollato....
buona settimana
Pompeo

Sam Cardell ha detto...

Quanto affermi non è propriamente corretto nell’interpretazione.
Il Vaticano II, infatti, elaborò questo nuovo concetto per dare una continuità sociale (teologicamente già esistente) e organizzativa a quanto prima veniva sommariamente indicato come parrocchia, vicariato, diocesi …; in pratica, con “Chiesa locale” si dava una linearità ed importanza ad ogni singola comunità ecclesiale, parificandole e inglobandole nel Popolo di Dio in cammino.
Popolo composto sì da tante comunità diverse geograficamente e culturalmente, perciò pure nelle istanze e nei bisogni, ma che sempre devono essere Chiesa nell’essere Popolo, perciò nella “comunione” costante e imprescindibile dell’essere Popolo di Dio arricchito da diversità e speciosità variegate.
Diversamente si deteriora il concetto ecumenico evangelico di “comunità” (cum unus sint), impostandolo sul fenomenologico che diventa necessariamente personalista, quindi estraniandolo da popolo in individualismo comunitario.
Ti chiedi se, poste la Chiesa locale e la Chiesa domestica (famiglia), non possa esistere anche quanto tu allochi come “ambientale”.
Questa continua degenerazione (consentimi il termine) settoriale in verità non ha ragione di esistere per due pratiche ragioni:
la prima che la Trinità si ripete umanamente in: Chiesa ecumenica, Chiesa locale e Chiesa domestica;
la seconda che le chiese succitate comprendono già il nocciolo essente del cristianesimo.
Perciò l’ambientale si configura non più come Chiesa, bensì come doverosa e basilare “testimonianza” dell’essere Popolo di Dio.
Diversamente si corre il rischio di cadere – come avviene ed è avvenuto – in quel concetto di “comunità” sociale che sottintende interessi e corporazioni diverse dallo spirito cattolico, pur in una cultura cristiana. Si rischia di “essere” protestanti.
Chiudo sottolineando che il concetto di comune/comunità sociale si distingue assai da quello chiesa/comunità religioso.
Il primo, infatti, indica l’unirsi su certe priorità per ridurre costi di difesa, servizi e istituzioni; il secondo, invece, sottintende che è necessario mettere in comune tutto di ogni persona, vedendo nell’altro il nostro proximus, perciò Gesù stesso che è Chiesa in un corpo unico.
E se un corpo (civile o religioso) mette in comune solo qualcosa, allora ben si capisce che il concetto di “comunità” ha un significato molto diverso, proprio come quello di chiesa può essere continuamente frazionato in tante altre realtà.
Il luogo di lavoro (azienda) comprende anche altre entità diverse dall’essere Chiesa. Estrapolare perciò una parte di queste entità per farle diventare comunità/chiesa ambientale mi pare assurdo.
Ci si limiti, pertanto, al concetto di testimonianza, onde non far diventare la Chiesa una semplice somma di tante entità.

Sam Cardell ha detto...

Quanto affermi non è propriamente corretto nell’interpretazione.
Il Vaticano II, infatti, elaborò questo nuovo concetto per dare una continuità sociale (teologicamente già esistente) e organizzativa a quanto prima veniva sommariamente indicato come parrocchia, vicariato, diocesi …; in pratica, con “Chiesa locale” si dava una linearità ed importanza ad ogni singola comunità ecclesiale, parificandole e inglobandole nel Popolo di Dio in cammino.
Popolo composto sì da tante comunità diverse geograficamente e culturalmente, perciò pure nelle istanze e nei bisogni, ma che sempre devono essere Chiesa nell’essere Popolo, perciò nella “comunione” costante e imprescindibile dell’essere Popolo di Dio arricchito da diversità e speciosità variegate.
Diversamente si deteriora il concetto ecumenico evangelico di “comunità” (cum unus sint), impostandolo sul fenomenologico che diventa necessariamente personalista, quindi estraniandolo da popolo in individualismo comunitario.
Ti chiedi se, poste la Chiesa locale e la Chiesa domestica (famiglia), non possa esistere anche quanto tu allochi come “ambientale”.
Questa continua degenerazione (consentimi il termine) settoriale in verità non ha ragione di esistere per due pratiche ragioni:
la prima che la Trinità si ripete umanamente in: Chiesa ecumenica, Chiesa locale e Chiesa domestica;
la seconda che le chiese succitate comprendono già il nocciolo essente del cristianesimo.
Perciò l’ambientale si configura non più come Chiesa, bensì come doverosa e basilare “testimonianza” dell’essere Popolo di Dio.
Diversamente si corre il rischio di cadere – come avviene ed è avvenuto – in quel concetto di “comunità” sociale che sottintende interessi e corporazioni diverse dallo spirito cattolico, pur in una cultura cristiana. Si rischia di “essere” protestanti.
Chiudo sottolineando che il concetto di comune/comunità sociale si distingue assai da quello chiesa/comunità religioso.
Il primo, infatti, indica l’unirsi su certe priorità per ridurre costi di difesa, servizi e istituzioni; il secondo, invece, sottintende che è necessario mettere in comune tutto di ogni persona, vedendo nell’altro il nostro proximus, perciò Gesù stesso che è Chiesa in un corpo unico.
E se un corpo (civile o religioso) mette in comune solo qualcosa, allora ben si capisce che il concetto di “comunità” ha un significato molto diverso, proprio come quello di chiesa può essere continuamente frazionato in tante altre realtà.
Il luogo di lavoro (azienda) comprende anche altre entità diverse dall’essere Chiesa. Estrapolare perciò una parte di queste entità per farle diventare comunità/chiesa ambientale mi pare assurdo.
Ci si limiti, pertanto, al concetto di testimonianza, onde non far diventare la Chiesa una semplice somma di tante entità.

Anonimo ha detto...

Forse no, Giuseppe, se dovesse diventare poi struttura, istituzione. E' evidente che la prima cellula ecclesiale è quel famoso "dove due o più...", quindi una presenza di credenti in Cristo nel mondo del lavoro già sarebbe porzione di Chiesa; ma trasformarla in "parrocchia" mi lascia perplesso. Preferisco appunto il concetto di lievito, perché questa è la chiamata ambientale del laico; senz'altro la visibilità comunitaria dentro un'azienda può costituire un'oasi, un'occasione per chi non percorre ancora un cammino di fede. Così mi sembrerebbe...
Buona settimana

Mario M. ha detto...

Grazie Giuseppe.
L'Opera di Maria, in un certo senso, contempla già una sorta di "chiesa ambientale", in questo caso con un aspetto più marcato tra aderenti (nel medesimo ambiente)
Sarebbe auspicabile che una simil cosa si ampliasse a tutta la comunità di credenti (a prescindere da appartenenze particolari) nell'ambiente lavorativo o socio-culturale.
Sarebbe bello, anche se complicato.
Purtroppo anche il semplice dialogo tra credenti nella stessa Fede a volte è assai difficoltoso, purtroppo, qualche volta, anche impossibile.
Però vale la pena tentarci.
Buona Domenica.... e buona settimana.
Mario

Anonimo ha detto...

Non esiste una chiesa ambientale, ma esiste da tempo una pastorale di ambiente, quella messa a punto in particolare nei tre anni che precedettero il 2000, nei quali la Chiesa era intenta alla evangelizzazione del territorio, sia nelle famiglie che negli ambienti di lavoro. In quegli anni molti di noi contribuirono alla grande missione in vista del "tertio millennio ineunte". Fu la scelta di non restare chiusi in sacrestia ma di andare a cercare i cristiani dove vivevano e si riunivano. Ho vissuto direttamente belle esperienze di pastorale d'ambiente sia all'INAIL che alla BNL. Speriamo si moltiplichino le realtà in cui i laici impegnati sentano che il luogo di lavoro deve diventare la loro missione ed il luogo della loro santificazione.
Buona settimana a tutti.
Elvira Falbo