Pagine

martedì 28 aprile 2009

Elezioni europee, una provocazione!!

Considerazioni sulle elezioni europee

Politologi e commentatori politici del massimo rilievo hanno posto in evidenza, già molto prima della attuale crisi economico-finanziaria, l’importanza di accelerare il processo di aggregazione politica dei Paesi europei, magari accettando anche, almeno inizialmente, una Europa a più velocità.

Questo perché di fronte al presentarsi, sempre più reale, di un duopolio politico-economico internazionale composto da USA e Cina (con alcuni grandi Paesi, come Russia e India, in posizione di rincalzo) una Europa divisa  e operativa essenzialmente a livello di singole nazioni rischia di fare la fine, per dirla alla Manzoni, di un vaso di coccio fra due vasi di ferro.  

Di fronte a questo difficilmente controvertibile realtà, dobbiamo con amarezza notare, ancora una volta, la scarsa sensibilità di quasi tutta la classe politica Europea, con governi e opposizioni aventi occhi rivolti interamente alle questioni interne e intenti a percorrere vecchie strade per soddisfare (illudendoli) a breve termine i loro elettori e ponendo le basi per un inevitabile degrado a medio termine e per un impoverimento delle nuove generazioni.

Non ritengo i nostri politici più stupidi o ignoranti (anche se c’è qualche eccezione...) rispetto a politologi e giornalisti di rilievo, tanto da non capire che solo un soggetto politico federale europeo possa reggere la concorrenza, in una società globale, delle superpotenze americana e cinese.

In assenza di una unità europea non solo la nostra economia, ma anche la nostra cultura personalistica europea, fondata sui valori cristiani e umani del primato dei diritti dell’uomo e sulla interrelazione fra libertà e solidarietà, subirà un irrimediabile processo di degrado e marginalizzazione.

Le elezioni europee sono ormai alle porte.

Esse dovrebbero vedere l’impegno di tutte le forze politiche a candidare per il Parlamento europeo i loro migliori e preparati esponenti (in primis i leaders) per poter dare veramente la sensazione della loro fiducia nel processo di integrazione europea e del loro forte sostegno ad una accelerazione dello stesso.

Fa invece molta tristezza vedere come, almeno in Italia (ma temo anche altrove), i candidati vengano scelti con tutti altri criteri: persone “trombate” alle elezioni politiche in cerca di una poltrona da occupare (e di uno stipendio da percepire), personaggi di secondo rilievo, ma estremamente fedeli ai leaders, la cui fedeltà è da premiare, “clienti” politici o finanziatori da soddisfare.

Di fronte alla gran massa di candidature di questo tipo, qualcuna di persone serie, rispettabili e preparate, ma di nessun peso politico (e che pertanto è inutile, se non controproducente, votare).

Non solo tristezza ma anche rabbia e scandalo fa poi la sensazione che, in alcuni casi alcune candidature e gli stessi futuri risultati delle elezioni europee vengano visti solo come sondaggi reali in vista di future candidature (e poltrone di rilievo) per le elezioni regionali.

Rispetto a questa situazione occorre a mio parere compiere scelte coraggiose utilizzando l’unico strumento legittimo in mano alla popolazione, il voto.

E per coraggio intendo la capacità di scegliere, utilizzando il voto di preferenza, persone autorevoli, capaci e preparate, conosciute per la loro autonomia di fronte a pressioni politiche.  Questo anche se candidate al di fuori del nostro partito, ma non alla nostra area culturale di riferimento.

Il guaio è che finora nessuno dei nomi emersi riflette queste caratteristiche ...

Cari saluti

 

 

 

     

3 commenti:

Sam Cardell ha detto...

Non vorrei entrare nel merito delle candidature, anche se il tuo discorso indica un’assenza assoluta di una strategia precisa politica; ma ciò sarebbe poco se non la si assommasse al non saper dove andare.

Vorrei soffermarmi, invece, sulla tua parte iniziale, anche perché l’unione di molti stati, spesso frettolosa, ricalca un po’ la modalità di procedere dell’attuale Centro italiano: voglia di arrivare senza alcuna meta.

L’UE non è una confederazione ancora, né, tantomeno, una Nazione. È un coacervo di interessi, di nazionalità (disparate) e di ricerca di “grandezza” politica, che però si risolve solo a quella numerica (abitanti) e geografica.
Sono sempre stato fautore dell’Europa dei 5 stati (gli iniziali) e mai a quella allargata per un semplice motivo: i fondatori non erano ancora confederazione di stati, ma solo interessi plutocratici che, nell’abolizione delle frontiere, vedevano la via di fuga per portare i propri capitali in luoghi maggiormente redditizi.
Questa (l’UE) è servita solo a camuffare l’esigenza del capitalismo d’assalto nello spacciare la delocalizzazione industriale come necessaria.
Difatti prima si è andati nei paesi dell’est, incentivati da singole strategie politiche nazionali e anticipando in economia l’UE allargata, e poi, quando le nazioni sono state inglobate, si è andati altrove, come nel sudest asiatico.
Se gli stati europei oggi sono in grave recessione lo si deve proprio a quello: senza investimenti non si aggiorna la struttura industriale, non si fa innovazione, ma si fa solo commercio. Fin che dura, ovviamente, cioè fino a quando il popolo può “spendere”; poi la cuccagna finisce, ma per chi se n’è già andato con il malloppo altrove … continua.
È un po’ l’attuale politica Fiat che trova il tempo e i denari per creare piani industriali in America e altrove (Opel) e “cerca” di chiudere gli stabilimenti italiani: Pomigliano ha gli operai da ormai 8 mesi in CIG, Termini si salverà solo ai fondi UE, per ora.
Se non fosse per il contribuente italiano (welfare) sarebbero già stati smantellati.
E l’indotto piemontese è già da tempo sfasciato, senza parlare di Arese e Desio, dove si è ricevuto in “dono” e si è speculato vendendo l’area per edilizia industriale. Mettiamoci tra poco anche Pomigliano e il gioco è … fatto.

L’Europa, osservi, vuole essere un vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro e in parte è vero. Non lo è se si considera il debito U.S.A. e dove sia finito il risparmio della Cina: bruciati entrambi dal “consumismo” americano.
Pure l’Europa dei grandi manager e delle banche che spulciano il prestito al cittadino locale, ma poi si addentrano in terreno altamente minato attratte da allettanti interessi o rendite speculative, ci hanno lasciato buone sostanze, tant’è che poi molti stati hanno dovuto ricapitalizzare in modi diversi, ma sostanzialmente uguali: rilievo partecipazione azionaria, prestiti convertibili, Tremonti bonds … e via dicendo.
I vasi di ferro enormi sono in realtà come il colosso di Rodi, con i piedi di argilla; ma se cadono, data la loro mole, sfasciano tutto.

Credo d’essermi già troppo dilungato, perciò mi … fermo.
Ciao!

Giuseppe Sbardella ha detto...

Grazie del commento, Sam.
Anche io sarei rimasto volentieri all'Europa dei 5 Stati iniziali, o magari a 11, o anche, al limite inserendo Polonia, Ungheria, Boemia e Slovacchia.
Queste Nazioni hanno pur sempre delle radici più o meno comuni.
Ma non sarei andato oltre.
Altre scelte (Turchia in primis) hanno motivazioni solo economiche e geopolitiche, niente a che vedere con le radici culturali europee.
Ciao

Sam Cardell ha detto...

Aggiungo solo due osservazioni alla tua risposta.

Non sono contrario per principio all’allargamento UE, purché questo sia omogeneo; diversamente l’avanzare dei primi è frenato dai secondi.
Una nazione/confederazione non la si crea con una conquista militare o economica, ma fondandosi sull’amalgama dei vari paesi, pur nelle diversità.
Quando ciò avviene si favoriscono solo interessi commerciali e economici, ma non quelli culturali, se non in minima parte.
È pur vero che i primi sono il prodromo dei secondi, ma se per ottenerli ci vogliono decenni, allora l’integrazione è più dannosa che utile.
Tu citi perfettamente la Turchia e non è un caso, anche perché l’ideologia culturale soggiace, contrastandosi, al solo interesse strategico militare o economico.
In Italia abbiamo già sotto gli occhi, dopo oltre un secolo dall’unità, le disuguaglianze, i pesi, i contrasti e pure le contrapposizioni ideologiche che possono spaccare una nazione.

Sono contrario alla Turchia? No! Osservo solo che le unioni spesso possono essere controproducenti ed allora è meglio farle precedere da accordi militari o strategici; in pratica da apposite alleanze finché il tessuto ideologico e culturale non è abbastanza uniforme.
Perciò: bene la Nato e bene gli accordi bilaterali commerciali, ma attenzione alle … fusioni.