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mercoledì 4 agosto 2010

Una scelta di campo

L’attenzione della società civile in Italia è, in queste settimane estive, particolarmente attirata dai movimenti in corso nei partiti (rottura fra Berlusconi e Fini, nascita di “Futuro e Libertà”, costituzione di un’area di “responsabilità istituzionale” tra alcune forse moderate).

Senza voler apparire disattenti a ciò che sta avvenendo in politica, forse occorrerebbe che altrettanta, se non maggiore, attenzione fosse posta a ciò che si sta verificando nel campo delle relazione industriali in Italia, soprattutto per iniziativa della nostra più grande industria, la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino).

Si può tentare a grandi linee un riepilogo di quanto è avvenuto.

La FIAT ha praticamene imposto, nello stabilimento di Pomigliano (storicamente affetto da un inadeguato livello di produttività) un accordo sindacale molto innovativo (rispetto alla consueta normativa dei contratti collettivi di lavoro) particolarmente in termini di flessibilità e di controllo della produttività.

Le organizzazioni sindacali (ad eccezione della CGIL/FIOM che ha anche sollevato dubbi non completamente infondati di legittimità costituzionale) hanno sottoscritto l’accordo come male minore e con l’obiettivo di salvare comunque lo stabilimento le cui attività sarebbero state altrimenti dismesse dalla FIAT e delocalizzate altrove (probabilmente al di là delle nostre frontiere). Tale atteggiamento favorevole è stato anche determinato dall’essersi trovate in una posizione svantaggiosa nelle trattative a causa dell’impossibilità di sostenere un atteggiamento dei lavoratori non certo improntato agli obblighi di buona fede e di diligenza nel rapporto di lavoro (vedi i famigerati PRO, ovvero permessi per raccolta di olive o lo spropositato numero di permessi per attività di scrutatore durante l’orario di lavoro.

L’accordo in questione soggetto a referendum fra i lavoratori è stato poi approvato con una maggioranza del 62%, largamente inferiore alle attese.

Si pensava che la storia si fosse così conclusa e che comunque si riuscisse a circoscrivere il caso Pomigliano ed evitare che l’accordo sottoscritto divenisse un precedente per i successivi a livello nazionale.

Sembra che ciò non stia per verificarsi.

La FIAT, preso atto che la stretta maggioranza con la quale era stato approvato il referendum non l’avrebbe garantita da diffuse azioni di rivendicazione da parte della ampia minoranza (1/3 dei lavoratori), con conseguenti disagi sulla continuità della produzione e sul livello di produttività, ha deciso autonomamente una strategia ancora una volta innovativa, se non eclatante.

In primo luogo è stata costituita la Società “Fabbrica Italia Pomigliano” (la quale già nel nome richiama la possibilità di costituire altre aziende omonime modificando solo il nome della località geografica). Tale società, che non parteciperà alla Federmeccanica (confederazione delle industrie meccaniche aderenti alla Confindustria) provvederà a riassumere i dipendenti di Pomigliano della FIAT appositamente dismessi dalla FIAT stessa.

Essendo Fabbrica Italia Pomigliano non aderente alla Federmeccanica, non si applicheranno a tali dipendenti le norme del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, ma solo quelle (meno garantiste) inderogabili delle leggi di Stato e quelle future di un contratto collettivo aziendale che sarà negoziato in posizione di forza da parte aziendale.

E’ prevedibile che il nuovo accordo contenga clausole fortemente limitative dei diritti di lavoratori e un forte ampliamento dei diritti dell’azienda in tema di produttività e di flessibilità, con particolare riferimento allo strumento degli straordinari (magari con un incremento dell’orario di lavoro ordinario) all’utilizzo dei giorni di ferie, alla normativa sulle malattie e indisposizioni, per terminare con le regole su assunzioni, turn over, licenziamenti, mobilità.

Una serie di considerazioni si rendono questo punto necessarie.

In primo luogo ha sicuramente giocato in maniera favorevole alla iniziativa FIAT la assenza pressoché completa di azione della classe politica. Il Governo non procede ormai da mesi alla nomina di un nuovo Ministro dello Sviluppo economico (competente in materia come questa) ed è carente di ogni efficace politica industriale. L’opposizione gioca di rimessa facendo proprie vecchie parole d’ordine sessantottine e continuando a parlare di interventi dello Stato, interventi che presuppongono un aumento della spesa pubblica che, in questo momento di contingenza economica internazionale, non stanno né in cielo né in terra.

E’ inoltre prevedibile che l’esempio della FIAT sarà a breve seguito da una larghissima parte delle aziende italiane e dalla totalità delle aziende multinazionali straniere operanti in Italia. Sarebbe assurdo pensare ad una FIAT le cui aziende “Fabbrica Italia...” potessero in esclusiva godere di una normativa sindacale molto più favorevole di quella vigente nelle altre aziende. E prevedibile che nel breve – medio periodo si perverrà ad una stabilizzazione normativa basata sulla piattaforma concordata per Fabbrica Italia Pomigliano. E’ da rilevare che la Presidente della Confindustria E. Mercegaglia si sta già adoperando per gestire al meglio un futuro che si presenta alquanto turbolento anche per la stessa Confindustria.

C’è ancora da mettere in evidenza che sarebbe assolutamente sbagliato, oltre che razionalmente infondato mettere sul banco degli imputati la FIAT accusandola di muoversi in maniera tracotante senza tener conto della situazione italiana e dei tanti benefici da lei ricevuti in passato da parte dello Stato o, per dirla meglio, dei contribuenti italiani che l’hanno, a vario titolo (Cassa Integrazione, incentivi da rottamazione) aiutata in tempi passati.

La FIAT si sta muovendo in un modo perfettamente conforme alle moderne guidelines industriali in un mondo globale. Per poter reggere la competizione internazionale ha necessità, fra le altre cose, di poter produrre in maniera aderente alle richieste di mercato, con buoni livelli di qualità, a costi bassi. Per fare questo, e reggere pertanto la competitività internazionale, si trovava di fronte due alternativa, o delocalizzare le attività produttive oltre frontiera (Est dell’Europa, Estremo Oriente....) o modificare vigorosamente e radicalmente le modalità normative e produttive in Italia.

Sono state seguite entrambe le opzioni e comunque la seconda ha ancora da dispiegare (dopo Pomigliano) a breve altre conseguenze in situazioni analoghe.

Non si può assolutamente imputare alla FIAT (e alle altre aziende che necessariamente la seguiranno) un comportamento in larghissima parte dettato dalla esigenza di mantenersi competitiva nel marcato globale. Sarebbero state forse auspicabili modalità di condotta e di comunicazione più soffici e diplomatiche, ferma restando la sostanza del contenuto.

Certo il modello di sviluppo economico soggiacente alla visione del mondo industriale globale ha fra i suoi principi fondamentali due che meritano particolare attenzione:

  1. il primato della finanza sull’economia e di quest’ultima sulla politica, e quello conseguente del
  2. primato della remunerazione del capitale (il profitto) sulla componente umana del lavoro.

Sono due principi che come Persona è futuro non possiamo accettare. La nostra, sulla base del pensiero “Personalistico” e della Dottrina Sociale Cristiana deve essere una precisa scelta di campo che restituisca, nel campo economico-finanziario-industriale, il primo posto alla dignità della persona umana.

Non dobbiamo e non possiamo guardare indietro, dobbiamo affrontare le sfide del mondo globale con occhi nuovi.

Come afferma Benedetto XVI nella Caritas in veritate, la crisi economica deve diventare “occasione di discernimento e di nuova progettualità” (par. 21) , occorrerà procedere ad una “riprogettazione globale dello sviluppo” (par. 23). Sarà richiesta una “nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo per correggerne le disfunzioni e le distorsioni” (par. 32), tenendo sempre presente che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità, autore, centro e fine di tutta la vita economica e sociale”.

Avanti pertanto con l’ideazione e l’attivazioni di nuovi e più adeguati strumenti contrattuali tendenti a regolamentare i rapporti di lavoro. Andrà bene accettare maggiore flessibilità, forse anche una certa dose di precarietà (se accompagnata da precise e serie modalità di riconversione per i lavoratori, si renderà pure probabilmente necessario acconsentire ad un ampliamento di tipi contrattuali a fronte dell’ampliamento dei modi di lavoro (es: lavoro mobile e lavoro da casa).

L’essenziale è mantenere fermo il primato della dignità della persona umana di fronte a quelle che, pur restando giuste e irrinunciabili, rimangono pur sempre esigenze di secondo ordine, quali la corretta remunerazione del capitale e il conseguimento di un equo profitto.

Dobbiamo conservare quella che il Papa chiama “la decenza” (ovvero la dignità) del lavoro.

Scrive il Papa: “Che cosa significa la parola « decenza » applicata al lavoro? Significa un lavoro che, in ogni società, sia l'espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa” (par. 63).

E’ sicuramente una sfida dura, impegnativa, difficile, una sfida che, essendo di natura globale, esige, non solo uno sforzo a livello nazionale, ma un impegno rivolto a raggiungere un coordinamento internazionale a livello non solo di sindacato, ma anche di Stati e di Unione di Stati (il pensiero corre in primis all’Unione Europea).

Urge e riprendiamo le parole del Papa “la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l'osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti” (par. 67).

4 commenti:

Evergreen ha detto...

Completo ed esauriente post. Ma viene da chiedersi: sono ormai 2000 anni che il messaggio cristiano ha portato l'uomo al centro dell'attenzione. E - se facciamo riferimento alle Beatitudini ed al capitolo 25 di Matteo - il povero, l'ammalato, il forestiero sono i destinatari naturali dell'impegno del cristiano. Ma quale è la reltà al giorno d'oggi? In nome del profitto e del capitale è accresciuta a dismisura la povertà nel mondo e la precarietà del vivere si è insediata anche a casa nostra. Chissà cosa voleva dire Cristo quando affermava che "i poveri li avrete sempre con voi"! Certo è che non servono le encicliche o le varie prese di posizione della chiesa in fatto di dottrina sociale. Servono gli esempi e serve soprattutto la coerenza. Il resto è solo fumo negli occhi, è solo ipocrita convenienza. Il "Beati i poveri", splendido, grandioso e terribile nella sua contrapposizione alla dura condanna della ricchezza, rischia ormai di diventare uno slogan vuoto e senza conseguenze pratiche per l'umanità se la chiesa stessa non ridiventa povera per prima e se i "servi dei servi di Dio" continuano a vivere nel lusso delle loro principesche dimore ignorando di fatto le necessità dei fratelli che soffrono a causa delle più varie indigenze materiali.

Giuseppe Sbardella ha detto...

Caro (o cara) Evergreen, condivido anche io pienamente la tua amarezza (con un po' di arrabbiatura) nel vedere una Chiesa troppo proclive, in alcuni alti suoi esponenti, ad una eccessiva attenzione a Mammona...
Ma la Chiesa è composta dall'intero Popolo di Dio, non solo da alcuni Vescovi e Presbiteri "sbandati", da una larga maggioranza di fedeli (clerici e laici) degni e capaci di essere profetici anche in questi difficili momenti.
Un abbraccio

Evergreen ha detto...

Sì, lo so! Ma nella chiesa il popolo di Dio conta quanto il due di coppe esattamente come in politica. Chi comanda non è il popolo (irriso con quell'appelllativo di "sovrano") ma i vari potentati e i signori del vapore, sempre attenti ai propri interessi e mai a quelli della gente. Con stima. Un cordiale saluto.

Evergreen ha detto...
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