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venerdì 9 agosto 2024

Ma la tensostruttura alla Stazione Termini è un reale problema?

 L’idea dell’Amministrazione comunale di Roma (in particolare dell’Assessorato delle politiche sociali) di installare a Piazza dei Cinquecento una tensostruttura (ovvero un tendone attrezzato) per l’accoglienza di persone senza fissa dimora e di immigrati più o meno regolari, ha suscitato diverse perplessità soprattutto (ma non solo) fra la maggioranza dei residenti e dei commercianti dei due rioni coinvolti (Castro Pretorio ed Esquilino.

La prima e fondamentale perplessità nasce dalla ubicazione scelta per l’installazione della tensostruttura, nel piazzale prospiciente la Stazione Termini e proprio davanti a due sedi del complesso culturale del Museo Nazionale Romano (il Palazzo Massimo e le Terme di Diocleziano).
Non pare una scelta ponderata quella di far trovare i turisti o i pellegrini giubilari (il 2025 sarà l’anno del Giubileo!) che volessero accedere alle due sedi museali, di fronte a povere persone sbandate, spesse volte fuori di senno o ubriache che creerebbero ostacoli di tipo psicologico o anche fisico alla visita di due bellissime strutture che arricchiscono Roma.
Vero è che le autorità politiche comunali coinvolte obiettano che la tensostruttura è stata pensata proprio per accogliere queste persone che vagabondano sbandate dentro e fuori la Stazione Termini e che, in presenza di locali attrezzati per accoglierle, sarebbero ben liete di lasciare la strada e i marciapiedi come luogo per mendicare cibo, dormire e, purtroppo,… fare anche i propri bisogni fisiologici!

Ma questa obiezione sollevata dalle autorità comunali dà origine alla seconda perplessità. L’esperienza concreta dei residenti e commercianti del territorio (a cominciare da chi sta scrivendo queste considerazioni) è che la maggioranza delle persone senza dimora e degli sbandati non hanno particolare voglia di essere “accolti” in queste strutture predisposte per loro.
Magari accettano anche di mangiare alle mense preparate per i loro bisogni di nutrimento ma difficilmente accettano di dormire in queste strutture, particolarmente quando questa accoglienza è subordinata a pratiche ufficiali di riconoscimento.
Non posso dimenticare quando, durante il periodo immediatamente post Covid, l’Hub vaccinale di Piazza dei Cinquecento venne trasformato un centro per l’accoglienza delle PSD (così d’ora in poi chiamerò le persone senza fissa dimora). Passando lì davanti, a sera inoltrata, insieme ad una albergatrice della zona, non potemmo fare a meno di notare che, all’interno dello hub, pochi letti erano usati mentre parecchie PSD dormivano (o si preparavano a farlo) dentro sacchi a pelo o sotto coperte di fortuna.
La verità è che la gran parte di queste sfortunate persone perde gradualmente la loro capacità di intendere e volere e preferisce conservare il loro livello di “libertà” (!!!???) continuando a vivere per strada e accettando il panino e la coperta offerta loro quotidianamente dalle varie associazioni di volontariato piuttosto che accettare di accedere in una struttura organizzata di accoglienza dove sia obbligatoria la loro identificazione o comunque la soggezione a regole di comportamento fissate a tutela del bene comune (sia igienico che psicologico).

Non è dunque ragionevolmente sostenibile che una tensostruttura aggiuntiva (questo aggettivo verrà motivato più avanti) non sia un fattore di attrazione di PSD ma che, anzi, serva a toglierle dalla strada.

E qui sorge la terza perplessità.
Già nei dintorni della Stazione Termini sorgono, per iniziativa della Caritas e di associazioni quali Binario 95, diversi luoghi chiusi adibiti ad ostelli e a mense che fungono da punti di attrazione per PSD e sbandati di ogni genere.
E’ certamente vero che la maggior parte di queste persone tende a radunarsi, specialmente nelle ore serali, intorno alle Stazioni soprattutto perché hanno maggiori possibilità di dormire per strada ma comunque al coperto delle grandi tettoie generalmente presenti intorno alla stazioni e vicino alle uscite delle linee metropolitane. In questi stessi posti la sera agiscono diverse associazioni di volontariato per portare cibo e coperte a questi poveri sbandati.
Si crea così un circolo vizioso, le associazioni fanno il loro servizio di volontariato in questi posti dove si radunano le PSD, queste ultime si radunano lì perché sanno che potranno essere sfamate e provviste di beni a loro utili (coperte, vestiario ecc.).
Con il crescere della povertà (immigrazione massiccia più o meno irregolare, disoccupati, padri soli separati, tutti quelli che Papa Francesco chiama vittime di una economia che si fonda anche sullo “scarto” delle persone che non reggono il ritmo produttivo o lo sviluppo tecnologico….) aumenta il numero delle persone da soccorrere e tende sempre più ad accentrarsi la massa di queste persone intorno a luoghi tipici quali la Stazione Termini (ma non solo…).
Sembra chiaro che una tensostruttura aggiuntiva rispetto alle strutture già esistenti in loco non risolve il problema, anzi lo aggrava perché l’aumentare di queste strutture non fa altro che aumentare il numero delle persone che viene attratta nei territori dove sorgono.

Si è cercato di far passare per “razzisti” i residenti e i commercianti di Esquilino e Castro Pretorio che si sono opposti fermamente alla installazione della tensostruttura a Termini, ma la realtà è ben diversa.
Forse sarebbero da chiamare invece “razzisti” quegli uomini politici e quegli esperti di politiche sociali che hanno l’intenzione di trasformare il territorio di Castro Pretorio, Esquilino e, in parte, di S. Lorenzo in quello che viene definito “Distretto della solidarietà” ovvero un territorio nel quale gruppi di diversa estrazione etnica e sociale possano condividere pacificamente e costruire insieme quello che potrebbe essere rappresentare l’esempio e l’embrione di una nuova società civile multietnica, multireligiosa e multiculturale per la Roma di domani.
Procedere a dare inizio e attuale un progetto del genere senza preventivamente assegnare al territorio coinvolto strutture, personale e risorse adeguate e senza estenderlo ad altre zone della città (ad esempio intorno alle stazioni Tuscolana, Ostiense, Tiburtina) vuol dire non tenere conto della complessità della realtà e dell’ampiezza del problema (che, peraltro, si svilupperà sempre più negli anni/decenni futuri) vuol dire creare, invece che “Distretti della solidarietà”, “Ghetti degli scarti sociali”. E’ questo il reale razzismo.

Circa 3 anni fa scrivevo sul mio blog alcune considerazioni su questo tema, potrebbe essere interessante rileggerle perché, in larga parte, sono tuttora attuali. Il link per leggerle è il seguente: Seminare positivo: Quel mendicante privo di gambe... (considerazioni a partire dai Senza Fissa Dimora) (giuseppesbardella.blogspot.com)
Sintetizzando al massimo quello che ci è scritto, si possono sottolineare queste frasi riprese dal testo.
“Occorre, prima di tutto, rendersi conto che non sono a disposizione soluzioni gratuite o comunque a basso costo.
Per dare una svolta alla soluzione duratura di questo problema si renderà necessario investire risorse non scarse in:

1.    Strutture attrezzate adeguatamente per l’accoglienza;

2.    Residenze sanitarie di recupero;

3.    Reclutamento di medici, infermieri, assistenti sociali;

4.    Corsi di riqualificazione e indirizzo professionale;

il tutto inquadrato in una legge che, oltre ad autorizzare le risorse, contempli anche la possibilità, in maniera più semplificata di quella attuale, di forme di obbligatorietà nel ricovero, nel recupero e nell’avvio alla riqualificazione professionale.
La collaborazione e l’interazione, sullo stesso campo, con forme di volontariato religioso e laico, aventi già esperienza pluriennale nel settore, rappresenterebbe una condizione indispensabile per una risposta plurale, tempestiva ed efficace
.

Certo, questo è un piano che presuppone impiego ingente di risorse.
Come non comprendere però che il nostro modello di sviluppo economico fondato:
A) sulla velocità,
B) sulla interconnessione,
C) sull’innovazione tecnologica (basti pensare a tutto il mondo nella Intelligenza Artificiale), causerà 1) l’espulsione dal mondo del lavoro di molti che sono ora occupati, 2) difficoltà sempre maggiori per chi cerca lavoro, ma non ha la formazione sufficiente, 3) immigrazioni sempre più numerose originate da situazioni sociali disumane?
Tutte queste persone, in assenza di un nuovo vasto programma di recupero sociale, come quello sopra delineato, si troveranno, in quantità impensabile, per strada a fare compagnia alle PSD.
Non può essere negato che l’attuazione di un tale programma di recupero comporterebbe costi per chi ora si trova ora al “calduccio” di una comoda situazione finanziaria e che sarebbe costretto, non neghiamo l’evidenza, a cambiare il proprio livello di vita rivedendo le proprie scelte in materia di consumi, con attenzione minore a beni materiali non necessari e maggiore invece a relazioni interpersonali aperte e costruttive.
L’alternativa è uno società e uno Stato che dovrebbe ricorrere alla forza e alla violenza formalmente legittima per reprimere le richieste delle persone più povere, ovvero uno Stato autoritario.
L’attuazione di un programma di recupero e reindirizzo sociale sarebbe pesante (in termini di incidenza sullo stile di vita) nel breve-medio periodo, ma potrebbe comportare un forte rilancio nel medio-lungo periodo, una volta che il programma sia andato a regime e il recupero / reindirizzo in larga misura completato.

Aggiungerei oggi che, forse, per sostenere lo sviluppo economico sociale di queste zone candidate ad essere esempi-embrionali di una nuova convivenza multietnica, multiculturale, multireligiosa, potrebbe essere interessante, sulla scorta della esperienze delle ZES (Zone Economiche Speciali), prefigurare delle normative ad hoc per delle ZIS (Zone di Interesse Sociale) attribuendo ai territori interessanti risorse finanziarie mirate per la implementazione di progetti di integrazione e di recupero delle persone in difficoltà.

Una cosa è chiara, la presenza o l’assenza di una tensostruttura a Termini rappresenta un falso problema.
Quella che viene richiesta è una visione più ampia del problema da parte sia della società civile che dalla classo politica locale e nazionale.
 

Roma 9/08/2024






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