Il testo che segue
non ha assolutamente alcuna pretesa di essere la sola opinione possibile sull’argomento
o di essere pienamente esaustivo.
Ho voluto soltanto raccogliere, nel modo più sistematico possibile, le mie considerazioni sull’argomento, basate sulle letture che ne ho fatto (perlopiù, ma non soltanto di ispirazione cristiana).
Ho voluto soltanto raccogliere, nel modo più sistematico possibile, le mie considerazioni sull’argomento, basate sulle letture che ne ho fatto (perlopiù, ma non soltanto di ispirazione cristiana).
E’ il Covid-19 da considerare una
disgrazia imprevedibile e, comunque, inevitabile?
Se pensiamo alle epidemie che si
sono succedute in questo ventennio di secolo a intervalli più o meno regolari
(Ebola, HIV, Covid-Sars, Covid-19), qualche dubbio viene. Specialmente se si
pensa alle riflessioni di alcuni scienziati, sia organizzati che freelance,
sulla origine e sulla diffusione di questi virus.
Secondo questi scienziati l’origine di questi virus è da ricercare nella scarsa attenzione che l’uomo ha rivolto alla saggia conservazione dell’ habitus naturale e che ha permesso (o costretto?) questi virus a transitare dagli animali nei quali abitavano (pipistrelli, pangolini, rettili…) all’uomo.
Una politica più attenta alla difesa delle risorse naturali (in primis foreste e sistemi fluviali) molto probabilmente non interromperebbe (almeno nell’immediato) la replicazione di tali virus e l’insorgenza di nuovi, ma certamente la rallenterebbe.
Sono perfettamente consapevole che tale diagnosi non è condivisa dalla totalità degli scienziati (forse anche in qualche maniera solleticati dai finanziamenti di grandi multinazionali), ma il dubbio permane e il principio di precauzione dovrebbe suggerire di prestare molta attenzione alla interpretazione che ho appena esposto anche se sommariamente.
Secondo questi scienziati l’origine di questi virus è da ricercare nella scarsa attenzione che l’uomo ha rivolto alla saggia conservazione dell’ habitus naturale e che ha permesso (o costretto?) questi virus a transitare dagli animali nei quali abitavano (pipistrelli, pangolini, rettili…) all’uomo.
Una politica più attenta alla difesa delle risorse naturali (in primis foreste e sistemi fluviali) molto probabilmente non interromperebbe (almeno nell’immediato) la replicazione di tali virus e l’insorgenza di nuovi, ma certamente la rallenterebbe.
Sono perfettamente consapevole che tale diagnosi non è condivisa dalla totalità degli scienziati (forse anche in qualche maniera solleticati dai finanziamenti di grandi multinazionali), ma il dubbio permane e il principio di precauzione dovrebbe suggerire di prestare molta attenzione alla interpretazione che ho appena esposto anche se sommariamente.
Dove invece il parere degli
scienziati è quasi unanime è sulla diagnosi sui motivi della veloce
diffusione di questi virus.
La stragrande maggioranza di essi ne vede la causa (non la colpa…[1]) nella “globalizzazione” in atto; il libero commercio dei beni da un continente all’altre, il libero e costante trasferimento delle persone, fa sì che persone, animali e cose vengano sempre più spesso e più velocemente messe in contatto e, oltre a infettarsi reciprocamente, consentono una rapida e universale trasmissione del virus.
La stragrande maggioranza di essi ne vede la causa (non la colpa…[1]) nella “globalizzazione” in atto; il libero commercio dei beni da un continente all’altre, il libero e costante trasferimento delle persone, fa sì che persone, animali e cose vengano sempre più spesso e più velocemente messe in contatto e, oltre a infettarsi reciprocamente, consentono una rapida e universale trasmissione del virus.
Come può l’uomo reagire su questi
due fronti della nascita e nella diffusione di tali virus?
Sul primo fronte, sempre che si
accetti la interpretazione prima data (ma anche se non la si accettasse in toto
sarebbe opportuno tenerla in considerazione per il già citato principio di
precauzione[2])
sembra conseguente pensare a decisioni politiche in tema di ambiente (acqua,
clima, foreste, inquinamento, rifiuti…) che, a livello internazionale (così
come internazionale è la diffusione dei virus) dimostrassero una maggiore
attenzione alla sostenibilità degli effetti di tali decisioni sulla
conservazione e un sano sviluppo dell’ambiente naturale.
Sul secondo fronte, quello relativo
alla veloce e universale possibilità di diffusione dei virus, è innanzitutto
certo che non è possibile, né tantomeno augurabile, interrompere il processo di
globalizzazione che, sotto molti aspetti, ha prodotto un miglioramento della
condizione umana mondiale (anche se a velocità diverse e provocando una forbice
sempre più ampia fra il benessere di alcuni pochi Paesi e quello, minore, di
molti altri).
Quello che appare augurabile fare è uno sforzo teorico e pratico per una “globalizzazione a misura di uomo” ovvero capace di servire l’uomo nella sua integralità (puntando non solo al suo benessere materiale, ma anche a quello valoriale, intellettuale, morale e perché no? spirituale per chi crede).
Quello che appare augurabile fare è uno sforzo teorico e pratico per una “globalizzazione a misura di uomo” ovvero capace di servire l’uomo nella sua integralità (puntando non solo al suo benessere materiale, ma anche a quello valoriale, intellettuale, morale e perché no? spirituale per chi crede).
Cosa
vuol dire “una globalizzazione a misura di uomo”? vuol dire costruire un mondo
globale e innescare una crescita che venga subordinata alla sostenibilità
ambientale delle scelte politiche ed economiche di Stati e industrie (sia
grandi multinazionali che medie e piccole imprese nazionali.
Aspetti quali:
1) l’abbassamento del tasso di inquinamento globale,
2) la conservazione e lo sviluppo delle foreste;
3) la difesa della quantità della risorsa acqua ed una più equa distribuzione della stessa;
Aspetti quali:
1) l’abbassamento del tasso di inquinamento globale,
2) la conservazione e lo sviluppo delle foreste;
3) la difesa della quantità della risorsa acqua ed una più equa distribuzione della stessa;
4)
una politica dei rifiuti che punti al riciclo e al riutilizzo degli
scarti alimentari e non;
5) l’ampio utilizzo delle fonti energetiche pulite e rinnovabili;
sono solo i principali da tenere presenti, quali binari sui quali incanalare lo sviluppo globale, o quale cornice nell’ambito della quale indirizzare, mantenendolo il fenomeno globalizzazione.
Non è questo il luogo per dimostrare (ma neppure sarebbe molto difficile dimostrarlo..) che tale “globalizzazione a misura di uomo” presuppone un cambiamento radicale del modello di sviluppo attuale e un altrettanto radicale cambiamento dello stile di vita.
5) l’ampio utilizzo delle fonti energetiche pulite e rinnovabili;
sono solo i principali da tenere presenti, quali binari sui quali incanalare lo sviluppo globale, o quale cornice nell’ambito della quale indirizzare, mantenendolo il fenomeno globalizzazione.
Non è questo il luogo per dimostrare (ma neppure sarebbe molto difficile dimostrarlo..) che tale “globalizzazione a misura di uomo” presuppone un cambiamento radicale del modello di sviluppo attuale e un altrettanto radicale cambiamento dello stile di vita.
Il
nuovo stile di vita dovrà essere basato:
1) sul minor consumo di energia;
2) sulla raccolta differenziata dei rifiuti;
3) sulla sostituzione delle autovetture a benzina con quelle elettriche e sul maggior uso dei trasporti pubblici;
1) sul minor consumo di energia;
2) sulla raccolta differenziata dei rifiuti;
3) sulla sostituzione delle autovetture a benzina con quelle elettriche e sul maggior uso dei trasporti pubblici;
4)
sull’ampio accesso solidale ai “beni comuni”[3]
(acqua ed aria pulita, verde pubblico, cultura…);
5)
sulla maggiore attenzione ai singoli ed ai popoli meno privilegiati[4];
6) sulla ricerca di acquisire più che i beni di posizione (casa, automobile, altri beni materiali di lusso, quali orologi Rolex, penne Montblanc ecc.) i cosiddetti “beni relazionali” (amicizia, fiducia, partecipazione a gruppi di riferimento…) ricordando come, secondo recenti studi di psicologia sociale e di economia, la felicità cresce negli individui con la crescita del reddito ma, raggiunto un certo limite, un aumento del reddito e del possesso di beni posizionali non porta alcun aumento di felicità che invece aumenta con l’acquisizione di maggiori beni comuni e/o di beni relazionali[5].
Questo (“lo stile di vita”) dalla parte dei consumi.
Ma il cambiamento radicale sarà richiesto anche dalla parte degli investimenti e della produzione.
6) sulla ricerca di acquisire più che i beni di posizione (casa, automobile, altri beni materiali di lusso, quali orologi Rolex, penne Montblanc ecc.) i cosiddetti “beni relazionali” (amicizia, fiducia, partecipazione a gruppi di riferimento…) ricordando come, secondo recenti studi di psicologia sociale e di economia, la felicità cresce negli individui con la crescita del reddito ma, raggiunto un certo limite, un aumento del reddito e del possesso di beni posizionali non porta alcun aumento di felicità che invece aumenta con l’acquisizione di maggiori beni comuni e/o di beni relazionali[5].
Questo (“lo stile di vita”) dalla parte dei consumi.
Ma il cambiamento radicale sarà richiesto anche dalla parte degli investimenti e della produzione.
Appare logico sostenere che occorrerà continuare l’attività di produzione tenendo conto dei vincoli da sostenibilità ambientale più sopra indicati.
Questo non sarà gratis.
In primo luogo, comporterà un aumento dei costi e, conseguentemente, dei prezzi, da parte del produttore.
In secondo luogo, comporterà una conversione della produzione di alcuni beni voluttuari o ad alto consumo energetico con conseguente dirottamento verso la produzione di beni e servizi a minor consumo energetico ma più essenziali o comunque verso la produzione di beni e servizi riconducibili alla categoria di beni relazionali e di beni comuni.
Riconversione produttiva che necessariamente darà origine a forti, talvolta temporanee, talvolta durature, crisi occupazionali, superabili solo con un massiccio intervento di sostegno dello Stato (con sussidi ai disoccupati, con prestiti a basso interesse o a fondo perduto per gli imprenditori, con ingresso stesso dello Stato nella proprietà o nella gestioni delle aziende).
Ma servirà anche uno Stato che investa fortemente per combattere il degrado sociale (infrastrutture per i trasporti pubblici e privati, accelerazione dei tempi di giustizia civile e penale, rielaborazione e riconsiderazione del concetto di pena, lotta contro la corruzione, recupero delle zone a rischio sismico, sana e seria politica di integrazione sociale e culturale,…).
Neppure si può dimenticare il necessario impegno in campo scolastico sia dal punto di vista logistico (con costruzione di nuovi edifici o ridestinazione di altri) che formativo puntando a trasformare una scuola ridotta ora ad agenzia di baby e teen sitteraggio in agenzia di formazione, informazione e socializzazione dei nostri giovani focalizzandosi sul recupero di quelli più deboli e sulla incentivazione di quelli che possono raggiungere l’eccellenza, avendo come punto di riferimento una meritocrazia che premi, non tanto le doti personali, quanto l’impegno nello studio e nella socializzazione.
Last but not least, occorrerà pensare a forti investimenti anche nel campo sanitario (ammodernamento e ampliamento degli ospedali esistenti, costruzione di nuovi, innovazione nel campo delle cure domiciliari, finanziamento alla ricerca scientifica…) e in quello della cura alle persone più deboli (assistenza agli anziani, agli invalidi, sanificazione delle RSA esistenti e costruzioni di nuove più sicure…) che rappresenterà un settore capace di riassorbire almeno una parte dei disoccupati da riconversione produttiva previo efficace redeployment.
Tutto quanto predetto, non sarà, si ripete, gratis, anzi ci costerà parecchio e ci costringerà, come già sottolineato ad un grosso cambiamento nello stile di vita, unica soluzione per consentire lo stesso livello di felicità con minori “soldi in tasca”.
Perché è inutile illudersi, solo con questo sforzo umano e finanziario potremo, se non completamente evitare, almeno attenuare il rischio di altre catastrofi globali come l’attuale pandemia.
E appare logico pensare che nessuna comunità nazionale e nessuno Stato, da soli, potranno affrontare uno sforzo del genere, occorreranno forme di aggregazioni fra Stati e, in alcuni casi, anche uno sforzo comune a livello internazionale.
Costerà molto alla generazione degli attuali adulti e anziani, ma forse sarà l’unico modo per sdebitarci nei confronti dei giovani, ai quali finora abbiamo dato specialmente fregature.
E’ anche opportuno sottolineare come agendo in questo modo potremo trasformare la disgrazia della pandemia in una opportunità di sviluppo globale integrale per tutta l’umanità.
Maggio 2020 Giuseppe Sbardella
[1] Non si
tratta infatti tanto di risalire a responsabilità, quanto a individuare le
cause che hanno dato origine alla veloce diffusione del virus.
[2] Per il
principio di precauzione vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_precauzione
[3] I beni
comuni sono quei beni che per la loro natura ecologica culturale o sociale
appartengono a tutti, nel senso che nessuno può appropriarsene in quanto
singolo individuo o in quanto soggetto sociale o economico. Sono quei beni che
se sfruttati e degradati causano ripercussioni negative su tutti i cittadini,
presenti e futuri.
[4] Non è
casuale che gli ultimi virus siano insorti in luoghi malsani caratterizzati da
una gran promiscuità fra uomini e animali e connotati da una situazione sociale
e sanitaria molto degradata.
[5] Su
questi temi è possibile fare riferimento ad autori italiani, quali Leonardo
Becchetti, Luigino Bruni, Vittorio Pelligra o stranieri come Richard Layard