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giovedì 28 maggio 2020

Virus, dannazione o opportunità? sdebitarci verso i giovani


Il testo che segue non ha assolutamente alcuna pretesa di essere la sola opinione possibile sull’argomento o di essere pienamente esaustivo.
Ho voluto soltanto raccogliere, nel modo più sistematico possibile, le mie considerazioni sull’argomento, basate sulle letture che ne ho fatto (perlopiù, ma non soltanto di ispirazione cristiana).   



E’ il Covid-19 da considerare una disgrazia imprevedibile e, comunque, inevitabile?



Se pensiamo alle epidemie che si sono succedute in questo ventennio di secolo a intervalli più o meno regolari (Ebola, HIV, Covid-Sars, Covid-19), qualche dubbio viene. Specialmente se si pensa alle riflessioni di alcuni scienziati, sia organizzati che freelance, sulla origine e sulla diffusione di questi virus.
Secondo questi scienziati l’origine di questi virus è da ricercare nella scarsa attenzione che l’uomo ha rivolto alla saggia conservazione dell’ habitus naturale e che ha permesso (o costretto?) questi virus a transitare dagli animali nei quali abitavano (pipistrelli, pangolini, rettili…) all’uomo.
Una politica più attenta alla difesa delle risorse naturali (in primis foreste e sistemi fluviali) molto probabilmente non interromperebbe (almeno nell’immediato) la replicazione di tali virus e l’insorgenza di nuovi, ma certamente la rallenterebbe.
Sono perfettamente consapevole che tale diagnosi non è condivisa dalla totalità degli scienziati (forse anche in qualche maniera solleticati dai finanziamenti di grandi multinazionali), ma il dubbio permane e il principio di precauzione dovrebbe suggerire di prestare molta attenzione alla interpretazione che ho appena esposto anche se sommariamente.



Dove invece il parere degli scienziati è quasi unanime è sulla diagnosi sui motivi della veloce diffusione di questi virus.
La stragrande maggioranza di essi ne vede la causa (non la colpa…[1]) nella “globalizzazione” in atto; il libero commercio dei beni da un continente all’altre, il libero e costante trasferimento delle persone, fa sì che persone, animali e cose vengano sempre più spesso e più velocemente messe in contatto e, oltre a infettarsi reciprocamente, consentono una rapida e universale trasmissione del virus.



Come può l’uomo reagire su questi due fronti della nascita e nella diffusione di tali virus?



Sul primo fronte, sempre che si accetti la interpretazione prima data (ma anche se non la si accettasse in toto sarebbe opportuno tenerla in considerazione per il già citato principio di precauzione[2]) sembra conseguente pensare a decisioni politiche in tema di ambiente (acqua, clima, foreste, inquinamento, rifiuti…) che, a livello internazionale (così come internazionale è la diffusione dei virus) dimostrassero una maggiore attenzione alla sostenibilità degli effetti di tali decisioni sulla conservazione e un sano sviluppo dell’ambiente naturale.



Sul secondo fronte, quello relativo alla veloce e universale possibilità di diffusione dei virus, è innanzitutto certo che non è possibile, né tantomeno augurabile, interrompere il processo di globalizzazione che, sotto molti aspetti, ha prodotto un miglioramento della condizione umana mondiale (anche se a velocità diverse e provocando una forbice sempre più ampia fra il benessere di alcuni pochi Paesi e quello, minore, di molti altri).
Quello che appare augurabile fare è uno sforzo teorico e pratico per una “globalizzazione a misura di uomo” ovvero capace di servire l’uomo nella sua integralità (puntando non solo al suo benessere materiale, ma anche a quello valoriale, intellettuale, morale e perché no? spirituale per chi crede).



Cosa vuol dire “una globalizzazione a misura di uomo”? vuol dire costruire un mondo globale e innescare una crescita che venga subordinata alla sostenibilità ambientale delle scelte politiche ed economiche di Stati e industrie (sia grandi multinazionali che medie e piccole imprese nazionali.
Aspetti quali:
1) l’abbassamento del tasso di inquinamento globale,
2) la conservazione e lo sviluppo delle foreste;
3) la difesa della quantità della risorsa acqua ed una più equa distribuzione della stessa;

4) una politica dei rifiuti che punti al riciclo e al riutilizzo degli scarti alimentari e non;
5) l’ampio utilizzo delle fonti energetiche pulite e rinnovabili;
sono solo i principali da tenere presenti, quali binari sui quali incanalare lo sviluppo globale, o quale cornice nell’ambito della quale indirizzare, mantenendolo il fenomeno globalizzazione.
Non è questo il luogo per dimostrare (ma neppure sarebbe molto difficile dimostrarlo..) che tale “globalizzazione a misura di uomo” presuppone un cambiamento radicale del modello di sviluppo attuale e un altrettanto radicale cambiamento dello stile di vita.


Il nuovo stile di vita dovrà essere basato:
1) sul minor consumo di energia;
2) sulla raccolta differenziata dei rifiuti;
3) sulla sostituzione delle autovetture a benzina con quelle elettriche e sul maggior uso dei trasporti pubblici;

4) sull’ampio accesso solidale ai “beni comuni”[3] (acqua ed aria pulita, verde pubblico, cultura…);

5) sulla maggiore attenzione ai singoli ed ai popoli meno privilegiati[4];
6) sulla ricerca di acquisire più che i beni di posizione (casa, automobile, altri beni materiali di lusso, quali orologi Rolex, penne Montblanc ecc.) i cosiddetti “beni relazionali” (amicizia, fiducia, partecipazione a gruppi di riferimento…) ricordando come, secondo recenti studi di psicologia sociale e di economia, la felicità cresce negli individui con la crescita del reddito ma, raggiunto un certo limite, un aumento del reddito e del possesso di beni posizionali non porta alcun aumento di felicità che invece aumenta con l’acquisizione di maggiori beni comuni e/o di beni relazionali[5].

Questo (“lo stile di vita”) dalla parte dei consumi.
Ma il cambiamento radicale sarà richiesto anche dalla parte degli investimenti e della produzione.


Appare logico sostenere che occorrerà continuare l’attività di produzione tenendo conto dei vincoli da sostenibilità ambientale più sopra indicati.
Questo non sarà gratis.
In primo luogo, comporterà un aumento dei costi e, conseguentemente, dei prezzi, da parte del produttore.
In secondo luogo, comporterà una conversione della produzione di alcuni beni voluttuari o ad alto consumo energetico con conseguente dirottamento verso la produzione di beni e servizi a minor consumo energetico ma più essenziali o comunque verso la produzione di beni e servizi riconducibili alla categoria di beni relazionali e di beni comuni.
Riconversione produttiva che necessariamente  darà origine a forti, talvolta temporanee, talvolta durature, crisi occupazionali, superabili solo con un massiccio intervento di sostegno dello Stato (con sussidi ai disoccupati, con prestiti a basso interesse o a fondo perduto per gli imprenditori, con ingresso stesso dello Stato nella proprietà o nella gestioni delle aziende). 

Ma servirà anche uno Stato che investa fortemente per combattere il degrado sociale (infrastrutture per i trasporti pubblici e privati, accelerazione dei tempi di giustizia civile e penale, rielaborazione e riconsiderazione del concetto di pena, lotta contro la corruzione, recupero delle zone a rischio sismico, sana e seria politica di integrazione sociale e culturale,…).


Neppure si può dimenticare il necessario impegno in campo scolastico sia dal punto di vista logistico (con costruzione di nuovi edifici o ridestinazione di altri) che formativo puntando a trasformare una scuola ridotta ora ad agenzia di baby e teen sitteraggio in agenzia di formazione, informazione e socializzazione dei nostri giovani focalizzandosi sul recupero di quelli più deboli e sulla incentivazione di quelli che possono raggiungere l’eccellenza, avendo come punto di riferimento una meritocrazia che premi, non tanto le doti personali, quanto l’impegno nello studio e nella socializzazione.

Last but not least, occorrerà pensare a forti investimenti anche nel campo sanitario (ammodernamento e ampliamento degli ospedali esistenti, costruzione di nuovi, innovazione nel campo delle cure domiciliari, finanziamento alla ricerca scientifica…) e in quello della cura alle persone più deboli (assistenza agli anziani, agli invalidi, sanificazione delle RSA esistenti e costruzioni di nuove più sicure…) che rappresenterà un settore capace di riassorbire almeno una parte dei disoccupati da riconversione produttiva previo efficace redeployment.

Tutto quanto predetto, non sarà, si ripete, gratis, anzi ci costerà parecchio e ci costringerà, come già sottolineato ad un grosso cambiamento nello stile di vita, unica soluzione per consentire lo stesso livello di felicità con minori “soldi in tasca”.
Perché è inutile illudersi, solo con questo sforzo umano e finanziario potremo, se non completamente evitare, almeno attenuare il rischio di altre catastrofi globali come l’attuale pandemia.
E appare logico pensare che nessuna comunità nazionale e nessuno Stato, da soli, potranno affrontare uno sforzo del genere, occorreranno forme di aggregazioni fra Stati e, in alcuni casi, anche uno sforzo comune a livello internazionale.


Costerà molto alla generazione degli attuali adulti e anziani, ma forse sarà l’unico modo per sdebitarci nei confronti dei giovani, ai quali finora abbiamo dato specialmente fregature.
E’ anche opportuno sottolineare come agendo in questo modo potremo trasformare la disgrazia della pandemia in una opportunità di sviluppo globale integrale per tutta l’umanità.


Maggio 2020                                                      Giuseppe Sbardella



[1] Non si tratta infatti tanto di risalire a responsabilità, quanto a individuare le cause che hanno dato origine alla veloce diffusione del virus.
[2] Per il principio di precauzione vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_precauzione
[3] I beni comuni sono quei beni che per la loro natura ecologica culturale o sociale appartengono a tutti, nel senso che nessuno può appropriarsene in quanto singolo individuo o in quanto soggetto sociale o economico. Sono quei beni che se sfruttati e degradati causano ripercussioni negative su tutti i cittadini, presenti e futuri.
[4] Non è casuale che gli ultimi virus siano insorti in luoghi malsani caratterizzati da una gran promiscuità fra uomini e animali e connotati da una situazione sociale e sanitaria molto degradata.
[5] Su questi temi è possibile fare riferimento ad autori italiani, quali Leonardo Becchetti, Luigino Bruni, Vittorio Pelligra o stranieri come Richard Layard

lunedì 18 maggio 2020

L'Italia non deve uscire dall'Euro

Risultato immagine per simbolo euro Non voglio dilungarmi, cercherò di essere breve, semplice e concreto, anche perché do per presupposta la lettura del mio precedente post "Uno Stato può fallire?" https://giuseppesbardella.blogspot.com/2020/05/uno-stato-puo-fallire.html
Primo punto.
L’Italia non potrebbe fare la politica economica da Nazione “corsara” che ha fatto nei primi 40 anni del II cinquantennio del ‘900 (in particolare dagli anni ‘60 all’inizio degli anni ‘90).
Parlo di una politica incentrata su scarsa produttività e alti salari (in confronto alla produttività) compensata da una spesa pubblica finanziata dalla Banca d’Italia, da alta inflazione e da una serie di svalutazioni.
Questa politica che si basava sulla possibilità di esportare sfruttando il tasso di cambio della lira, ci era permessa in funzione della nostra posizione geografica di baluardo alla espansione comunista presente nella penisola balcanica e in alcuni Paesi del nord Africa, ma non sarebbe possibile oggi che siamo nella UE e che abbiamo come moneta comune l’Euro.
Secondo punto.
I “sovranisti” dicono: bene usciamo dalla UE e dall’Euro e riprendiamo a fare i “corsari”.
E’ verosimile e possibile questa politica in un mondo globale e interconnesso nel quale l’Italia non può più giocare la carta geopolitica del baluardo anticomunista?
Siamo sicuri che gli altri Paesi, vincolati da regole monetarie rigide, ci permetterebbero di invaderli con le nostre merci senza prendere i necessari provvedimenti di difesa commerciale?
Sicuramente i Paesi della attuale EU no.
Terzo punto.
Dato che abbiamo lasciato l’Europa e l’Euro, e dato che non è pensabile di reggere economicamente da soli il confronto economico con altri Paesi o Confederazioni ben più grandi e potenti, con chi allearsi? Chi potrebbe permetterci da alleato politico e commerciale, di intraprendere una politica corsara.
Forse gli USA di Trump, ben contenti di avere, oltre alla Gran Bretagna, un altro Stato europeo loro satellite (perché così ci considererebbero, non alleati alla pari) e che così indebolirebbero sempre più quella Europa della quale vedono, con malcelato astio la vocazione sociale del capitalismo renano, alternativo al loro turbo-capitalismo.
Forse la Russia di Putin che così rafforzerebbe la sua posizione di preminenza nel mar Mediterraneo e che ben sarebbe lieta di avere nuovamente un alleato (o satellite?) nel pieno dell’Europa occidentale?
Forse la Cina che, senza colpo ferire vedrebbe realizzato il suo progetto di “via della seta” e, dopo aver egemonizzato l’Africa sud meridionale potrebbe puntare dritto al Mediterraneo e all’Europa continentale?
Quarto punto.
La domanda finale è: meglio essere alleati dei Paesi europei o essere alleati (o meglio satelliti..) di USA o Russia o Cina.
Domanda che può essere riformulata: ci sentiamo culturalmente più vicini ai Paesi dell’Europa centrale o a USA, Russia, Cina?
Buona lettura.
Mi aspetto un ampio confronto serio e concreto su quanto ha detto, ma niente sogni irrealizzabili, concretezza innanzitutto.

martedì 12 maggio 2020

Uno Stato può fallire?



Inquadramento generale

Ci sono diversi Stati sovrani che hanno una moneta propria e una Banca Centrale, non autonoma bensì soggetta alle direttive del Governo centrale, che ha come funzione non solo quella di tenere stabile il livello di cambio ma anche quella di sostenere l’economia del Paese con gli strumenti monetari a sua disposizione.
Secondo una parte della teoria economica uno Stato con queste caratteristiche non può fallire. E’ infatti sbagliato il paragone con la condizione di una famiglia o di una azienda che fallisce (o entra in una procedura concorsuale di liquidazione del credito) in quanto non più in grado di onorare, in tutto o in parte, i debiti verso i propri creditori.
Diversamente da una famiglia o da una azienda lo Stato, secondo questi teorici dell’economia, avrebbe uno strumento in più, quello della possibilità di creare le risorse monetarie per onorare i suoi debiti.
Sicuramente questo è vero, vediamo come.
1.      Uno Stato ha in genere due modi principali per procurarsi le risorse monetarie (i soldi…) per far fronte ai suoi compiti istituzionali, sicurezza, difesa esterna, benessere dei cittadini, sostegno dell’economia.
Il primo modo è quello della leva fiscale, mediante fissazione di imposte sul reddito (dirette), sui consumi (indirette), oppure di imposte straordinarie sul patrimonio immobiliare o mobiliare.
2.      l’altro modo è quello di procurarsi le risorse monetarie con prestiti ottenuti tramite l’emissione di Buoni del Tesoro, che sono paragonabili a pagherò cambiari emessi dallo Stato.
I Buoni del Tesoro sono in genere acquistabili da qualsiasi soggetto sia interno che esterno  rispetto allo Stato di emissione e sono offerti a determinate scadenze (più o meno lunghe) nonché a tassi di interesse vari a seconda della situazione del mercato in determinati momenti.
In certi casi eccezionali i Buoni del Tesoro possono essere configurabili come prestito forzoso in presenza di un obbligo, per i soggetti interni allo Stato (sia privati cittadini che investitori istituzionali quali banche e assicurazione) di acquistarne in una certa quantità fissata dal Governo. In alcuni casi è anche possibile prevedere la irredimibilità del Buoni ovvero il loro non rimborso, ma solo il pagamento di interessi alle periodiche scadenza previste.
Generalmente, però, i Buoni del Tesoro vengono posti in vendita sul mercato a scadenza e a tassi di interesse prefissati confidando nell’acquisto di soggetti interni o esterni

Che accade se non tutti i Buoni del Tesoro vengono acquistati e perché ciò potrebbe accadere?
Un primo motivo potrebbe essere quello della insufficienza di risorse presenti sul mercato interno, motivo che però nella stragrande maggioranza dei casi non appare plausibile in considerazione della possibilità di acquisto da parte di soggetti esteri.
Un secondo motivo potrebbe essere quello che i soggetti potenzialmente acquirenti non ritengono conveniente aderire all’offerta di Buoni del Tesoro in quanto, alle stesse condizioni o a condizioni migliori, trovano offerte di prestiti migliori da parte di Enti più affidabili dello Stato in questione.
Abbiamo detto una parola chiave: FIDUCIA.
Senza che lo Stato infonda fiducia nei potenziali acquirenti dei suoi Buoni è inverosimile che trovi creditori disponibili a prestargli soldi.
Siamo arrivati alla situazione classica nella quale una famiglia o una azienda non più in grado di procurarsi i soldi per onorare i suoi debiti pregressi o, peggio…. per poter sopravvivere deve dichiarare fallimento.
Come abbiamo già accennato uno Stato con una Banca Centrale soggetta alle direttive del Governo può imporle di acquistare lei stessa i Buoni del Tesoro, non solo quelli emessi ma anche quelli emittendi finché la situazione finanziaria non raggiunga un equilibrio sostenibile.
Cosa significa che la Banca Centrale compra i Buoni del Tesoro invenduti? Significa che “pompa” liquidità aggiuntiva nel sistema economico.
Ciò ha degli effetti sia all’interno che all’esterno della Stato.

Aspetti interni

Cominciamo dall’interno.
A partire dalla rivoluzione keynesiana dell’economia la stragrande maggioranza degli economisti è concorde nell’affermare che, in una situazione di recessione e di alta disoccupazione, una immissione elevata di moneta non provoca una significativa inflazione in quanto il conseguente contemporaneo aumento sia della domanda aggregata da parte dei consumatori (che hanno più soldi in tasca), sia dell’offerta aggregata degli imprenditori e produttori (che hanno più soldi per investire, produrre e vendere beni e servizi) assorbirebbe una grandissima parte della quantità di moneta aggiuntiva.
Sembra l’uovo di Colombo (almeno dal punto di vista interno…) ma non tutto è così semplice.
Innanzitutto la moneta aggiuntiva prodotta tramite l’acquisto dei Buoni del Tesoro da parte della Banca Centrale arriverebbe ai consumatori e produttori attraverso i canali della Pubblica Amministrazione e degli Organismi finanziati (vari tipi di Banche, Assicurazioni ecc.). Questo passaggio di intermediazioni comporta dei tempi più o meno lunghi e delle distribuzioni più o meno corrette a seconda della trasparenza, efficacia ed efficienza della Pubblica Amministrazione e degli Organismo finanziari. Più trasparenza, efficacia ed efficienza ci sono, più i soldi dovrebbero arrivare velocemente nelle tasche giuste. (ndr.: permettete una annotazione interna, l’Italia ha questa condizioni?)
Ma c’è un altro punto da considerare.
Abbiamo appena parlato di “distribuzioni corrette di risorse” e di “tasche giuste”.
Cosa vuol dire?
Vuol dire che i soldi, dal punto di vista dell’offerta, devono arrivare velocemente e nella quantità giusta innanzitutto a quei settori produttivi che il Governo considera essenziali per la ripartenza dell’economia; dal punto di vista della domanda occorre che i consumatori non siano liberi di acquistare e consumare quello che vogliono ma siano indotti a acquistare e a consumare innanzitutto prodotti di quei settori essenziali individuati dal Governo.
Ogni soldo usato per consumare altri tipi di beni o servizi sarebbe meno utile per la politica di rilancio dell’economia. Per non parlare degli acquisti e dei consumi prodotti all’estero che sarebbero controproducenti perché aiuterebbero le economia, mentre verrebbero visti di molto buon occhio le esportazioni di prodotti all’estero.
Sembra evidente che ci sono le condizioni essenziali per una politica economica di tipo autarchico.

Aspetti esterni

Passiamo un attimo all’esterno.
Come si comporterebbero i Paesi esteri con uno Stato che finanziasse il proprio debito con Buoni del Tesoro acquistati dalla propria Banca Centrale e che, in aggiunta, disincentivasse le importazioni e stimolasse le esportazioni?
Innanzitutto, per la questione “fiducia” sopra evidenziata, sarebbe difficile, se non impossibile  convincerli ad accettare, in pagamento dei loro crediti, una moneta ai loro occhi svalutata; inoltre non acquisterebbero più i Buoni del Tesoro e, per quanto riguarda quelli da loro acquistati in precedenza, cercherebbero di pervenire ad un accordo con lo Stato debitore sulla base di una riconversione del debito (ristrutturazione dello stesso a scadenze più lunghe e a tassi di interesse più alti, condono di una parte dello stesso a fronte di politiche economiche controllate dai creditori…). Quasi contemporaneamente, specialmente se un accordo si rivelasse impossibile, D)procederebbero a vendere subito sul mercato secondario i Buoni già in loro possesso anche scontando una determinata perdita attuale di fronte alla più probabile e più consistente perdita futura (non poter tornare in possesso, se non in misura probabilmente solo parziale, del loro capitale).
In secondo luogo reagirebbero, forse con gradualità ma ineluttabilmente, ad una politica commerciale che privilegiasse le esportazioni e penalizzasse le importazioni, con una politica commerciale che penalizzasse i prodotti dello Stato in difficoltà.
I rapporti con l’estero rafforzerebbero, se non nel brevissimo periodo, ma sicuramente in quello breve e medio, la tendenza dello Stato debitore ad adottare una politica economica autarchica.
Una domanda. Si può considerare non fallito uno Stato che non riesce a onorare i propri debiti con l’estero? 

Tipo di Governo e di Stato

Torniamo agli aspetti interni.
Abbiamo visto come lo Stato (direi di usare d’ora innanzi il termine “Governo”) possa usare la leva della vendita di Buoni del Tesoro alla Banca Centrale, immettendo una poderosa dose li liquidità nel sistema senza correre il rischio, in caso di profonda recessione e di alta disoccupazione, di produrre significativa.
Abbiamo anche visto come questa politica incontri difficoltà di applicazione laddove la Pubblica Amministrazione e gli Organismi finanziari non siano sufficientemente veloci, corretti, trasparenti, efficienti ed efficaci nel distribuire la liquidità aggiuntiva.
Abbiamo anche visto come il Governo abbia necessità,se non vuole fare inutili distribuzioni a pioggia, “indirizzare” la liquidità verso consumi e investimenti interni di beni e servizi essenziali.
E cosa è questo se non una politica autarchica di un Governo necessariamente, se non autoritario, almeno sufficientemente impositivo per comprimere la libertà economica dei cittadini?
E che succederà allorché, con l’economia in ripresa e l’occupazione in rialzo, si renderà necessario drenare (gradualmente, ma pur sempre drenare) ai cittadini l’enorme liquidità aggiuntiva praticamente regalata e richiedere ai cittadini stessi di compensare il calo di tale liquidità con un aumento della produttività (e del salario reale) nei lavori che si verranno a creare?
Saranno contenti o non sarà necessario, accanto agli aspetti impositivi del Governo, affiancare anche un carattere autoritario dello Stato?
E cosa succederebbe se il Governo non volesse accentuare i propri elementi autoritari per, ad esempio esigenze di consenso e di popolarità, e non drenasse, con la necessaria determinazione e velocità l’esubero di liquidità? La scienza economica ci insegna, anche in questo caso, che si andrebbe incontro ad una significativa inflazione.
Inflazione vuol dire aumento dei prezzi, diminuzione del potere di acquisto, necessità di ricorrere a continue nuove iniezioni di liquidità, finché … non si ponga in essere una politica deflattiva che imponga, dal punto di vista politico, per tenere a freno una popolazione “ubriacata” dalla precedente liquidità a buon mercato, una ulteriore svolta autoritaria.  
Forse tecnicamente, dal punto di vista interno non si può considerare “fallito” uno Stato che svolge le sue funzioni essenziali grazie alla liquidità delle Banca Centrale e ad una svolta autoritaria, ma certo non è un Stato liberaldemocratico.

Conclusione

Per concludere si può anche concordare che una politica economica e monetaria come quella indicata si possa concretamente perseguire e che lo Stato che la persegua e non sia in grado di pagare i debiti con i Paesi esteri possa essere considerato “fallito” sul mercato estero, ma non su quello interno a costo di:
1)      una politica marcatamente autarchica;
2)      una Pubblica Amministrazione e una Organizzazione finanziaria trasparente, velove, efficace ed efficiente;
3)      un Governo con tratti fortemente autoritari e uno Stato non liberaldemocratico con forte compressione delle libertà politiche ed economiche.
Questo è sicuramente lo scenario peggiore.
Tutto potrebbe cambiare in meglio in presenza:
ü  di un popolo disciplinato che accettasse tranquillamente di comprare quello che il Governo indica e di produrre quello che il Governo indica;
ü  di accettare, con senso civico, che la liquidità distribuita a larga manica nel periodo di recessione, venga drenata n cambio di un aumento della produttività globale;
ü  una P.A. e degli Organismi finanziari che si rivelassero (sorprendentemente) veloci, trasparenti, efficaci, efficienti;
ü  last but not least (anzi…) un tempo breve di mantenimento di questo scenario.  

  
Roma 12/5/2020
 








domenica 3 maggio 2020

Prima le persone


Chi mi conosce dalla fine degli anni ’80 sa che avevo assunto come motto ispiratore “Ante omnia homo” (prima di tutto l’uomo) con il quale intendevo ribadire la mia ferma volontà di condurre la mia vita mettendo al primo posto la dignità della persona umana, di ogni persona umana.
Per ricordarlo a me stesso e per segnalarlo a chi entrava in contatto con me ricordo che avevo inserito quel motto automaticamente dopo la mia firma sulle comunicazioni email (forse qualcuno che mi legge ora lo ricorda ancora).
Avevo a poco assunto un ruolo manageriale in azienda e ricordare quel motto era essenziale per me, sia nei rapporti con i miei capi sia, soprattutto in quelli con i miei collaboratori.

 La situazione cambiò nel 2006 allorché andai in pensione.
Mi accorsi, anche con un po’ di sgomento, che l’età che avanzava e l’esperienza di vita acquisita stavano indebolendo quel sano ottimismo e quella decisa costruttività che, frutto anche del carattere e del DNA familiare, ispirava costantemente i miei comportamenti.
Decisi così, una volta ancora per ricordarlo innanzitutto a me stesso (ma anche alle persone con le quali entrano in contatto) di modificare il mio motto in “costruire positivo”, frase che avete trovato fino ad oggi in calce alle mie comunicazioni.
Non è stato facile conservare l’atteggiamento costruttivo e positivo in questi 15 anni di società liquida, di cambiamento tumultuoso di valori, di pluralismo etico e culturale, di crescita di un pensiero debole di ispirazione populista, di sogni di scorciatoie autoritarie.
Spero di esserci complessivamente riuscito seppure con qualche inevitabile e ineliminabile scivolata.

Questa quarantena, dovuta alla pandemia, mi ha stimolato a riflettere ulteriormente.
Il mondo che abbiamo davanti sarà alquanto diverso da quello che abbiamo alle spalle, non per altro perché il nostro potere d’acquisto comune sarà notevolmente più basso; c’è che perderà il posto di lavoro, chi vedrà prepotentemente eroso da una probabile galoppante inflazione il suo stipendio più o meno fisso o la sua pensione, chi dispererà di non riuscire a trovare più lavoro.

Sarà possibile superare una tale situazione solo se attiveremo meccanismi (il più possibile volontari) di sobrietà nei consumi, di solidarietà con i più deboli, di inventiva nel trovare nuove soluzioni lavorative, di superamento di schemi di giudizio precostituiti, di dialogo con tutti a partire da chi la pensa diversamente da noi.
Caratteristica comune di questo che mi piace chiamare “sommovimento culturale” dovrebbe essere la maggiore attenzione data alle persone (e alle relazioni interpersonali) rispetto alle cose.
Utilizzando termini tratti dalla scienza economica direi che si tratta di preferire il consumo di “beni relazionali” (la famiglia in senso ampio, l’amicizia, l’ambiente, le arti, la scienza…) rispetto ai “beni posizionali” (casa, conto corrente, automobile magari di tipo SUV, in una parola tutte le cose nelle quali manifestiamo il nostro status sociale).
Beninteso il diritto ad una vita degna comporta il diritto ad acquisire beni posizionali in grado di assicurarci una certa sicurezza economica ma, una volta raggiunta questa sicurezza economica, la felicità, come ci dicono i moderni studi di psicologia e di scienza economica, non dipende da un maggior possesso di beni posizionali, ma dall’aumento di intensità o di quantità dei beni relazionali.
In questa ottica ho deciso, da oggi, di cambiare il mio motto da “costruire positivo” (che comunque rimarrà come impegno personale) in “Prima le persone volendo ribadire il mio impegno ad una vita che faccia della sobrietà, della solidarietà, dell’affetto verso l’ambiente e verso la cultura, i punti cardinali.
Nella speranza che qualcuno vorrà accompagnarmi.

P.S. “Prima le persone” può anche essere usato in inglese “People first”, o in latino "Ante omnia homo".