I
lavoratori che hanno conseguito la pensione calcolata sulla base del metodo
retributivo si trovano spesso nella invidiabile situazione di poter conseguire,
al termine della loro vita, un montante di soldi superiore a quello da loro
versato durante la loro attività lavorativa.
Come si sa, ora il metodo retributivo non viene più utilizzato, sostituito dal metodo contributivo (con una pensione pari al calcolo attuariale del contributi versati) in quanto, dati il declino dello sviluppo economico e il calo dell’area dell’occupazione, il metodo retributivo non era più economicamente sostenibile.
Ci si domanda se, dal punto di vista dell’equità sociale e della giustizia distributiva, sia corretto che, di fronte all’incremento dei giovani che non trovano lavoro e di adulti che lo perdono o rischiano di perderlo, alcune persone percepiscano una pensione globalmente maggiore di quanto da loro versato come contributi.
E’ vero che queste persone hanno magari scelto di andare in pensione sulla base di un “patto” fatto con lo Stato che garantiva loro, a fronte di determinati versamenti, un certo trattamento pensionistico futuro. Si tratta sicuramente di diritti acquisiti (e come tali è doverosa la massima attenzione nell’ipotizzare ed attuare cambiamenti) ma comunque soggetti alla regola universalmente valida del “rebus sic stantibus”. Nella attuale situazione di emergenza occupazionali che ha completamente stravolto l’assetto sociale del nostro Paese sembra indispensabile che tutti, nessuno escluso, contribuiscano al ricostituire quel bene comune che è rappresentato da una ampia base comunicazionale.
Il bene comune prevale sulla difesa dei diritti acquisiti.
Forse, in questa situazione è plausibile pensare ad un contributo a carico dei pensionati fruitori del metodo retribuito che sia caratterizzato dai seguenti elementi:
Come si sa, ora il metodo retributivo non viene più utilizzato, sostituito dal metodo contributivo (con una pensione pari al calcolo attuariale del contributi versati) in quanto, dati il declino dello sviluppo economico e il calo dell’area dell’occupazione, il metodo retributivo non era più economicamente sostenibile.
Ci si domanda se, dal punto di vista dell’equità sociale e della giustizia distributiva, sia corretto che, di fronte all’incremento dei giovani che non trovano lavoro e di adulti che lo perdono o rischiano di perderlo, alcune persone percepiscano una pensione globalmente maggiore di quanto da loro versato come contributi.
E’ vero che queste persone hanno magari scelto di andare in pensione sulla base di un “patto” fatto con lo Stato che garantiva loro, a fronte di determinati versamenti, un certo trattamento pensionistico futuro. Si tratta sicuramente di diritti acquisiti (e come tali è doverosa la massima attenzione nell’ipotizzare ed attuare cambiamenti) ma comunque soggetti alla regola universalmente valida del “rebus sic stantibus”. Nella attuale situazione di emergenza occupazionali che ha completamente stravolto l’assetto sociale del nostro Paese sembra indispensabile che tutti, nessuno escluso, contribuiscano al ricostituire quel bene comune che è rappresentato da una ampia base comunicazionale.
Il bene comune prevale sulla difesa dei diritti acquisiti.
Forse, in questa situazione è plausibile pensare ad un contributo a carico dei pensionati fruitori del metodo retribuito che sia caratterizzato dai seguenti elementi:
1 A) applicabile
solo a pensioni oltre ad una determinata soglia (diciamo 3000 Euro netti?);
2 B) contraddistinto
da una aliquota inizialmente bassa e poi a veloce e ad alta progressività;
3 C) mitigato
dall’applicazione del “quoziente famiglia” magari
anche modulato sulla base del costo della vita nella Regione di residenza;
5 D) il
cui gettito non sia diluito nella fiscalità generale ma venga con chiarezza e
precisione finalizzato a progetti occupazionali.
6 E) non
escludendo che magari tale contributo venga pagato attraverso l’acquisizione di
Titoli di Stato a lunga scadenza.
Una proposta come la
seguente (che potrebbe essere affinata e migliorata) sembra poter conciliare
adeguatamente gli interessi di chi percepisce una pensione “retributiva” con
quelli generali di una società che soffre di una ampia disoccupazione. La
progressività e la modulazione del contributo permetterebbe di non gravare in
maniera insostenibile sui pensionali, permettendo invece di recuperare risorse
finanziarie per rilanciare progetti occupazionali.Sembra una soluzione possibile per rendere concreta anche quella giustizia intergenerazionale della quale tanto si parla, ma poco si attua.
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