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martedì 28 agosto 2012

La famiglia...che fastidio!!!



L’estate è tempo di riflessioni. Mi pare utile condividere con voi alcune di queste che hanno avuto origine da un episodio doloroso (con forte rischio di perdere il posto di lavoro) che sta interessando molte famiglie di miei ex-colleghi dell’azienda per la quale ho lavorato per 31 anni.
Il tema è quello del rapporto tra sistema economico e famiglia.

Tralasciando per un momento distinzioni ideologiche che esulano dal tema di questo scritto, forse si può pervenire alla seguente definizione, abbastanza condivisibile (l’unanimità è impossibile), di famiglia:
Aggregazione, con caratteristiche di stabilità e prevedibile durata nel tempo, di persone conviventi legate da vincoli di sangue e/o di reciproco affetto, che ha fra i suoi fini anche l’obiettivo dell’incremento qualitativo e quantitativo della società civile umana”
Sulla base di tale definizione possiamo individuare i seguenti elementi costitutivi della famiglia:
  1. stabilità e durata;
  2. convivenza (almeno nella prevalenza del tempo);
  3. vincoli di sangue e/o di reciproco affetto;
  4. obiettivo di bene comune superiore ai singoli beni individuali.

Il modello di sviluppo economico che, in una logica gobale, i “mercati” (dietro i quali si celano peraltro nomi e cognomi di speculatori finanziari americani e cinesi, non importa se privati o pubblici) stanno cercando di imporre si può individuare nel “turbo-capitalismo” così ben descritto da Edward N. Lutwak nel suo libro “La dittatura del capitalismo” edito da Mondadori nel 1999[1]. E’ da notare che Lutwak è uno studioso notoriamente lontano da simpatie verso la sinistra e verso il progressismo.

Anche senza scomodare Lutwak, la semplice lettura di quotidiani e anche l’osservazione attenta di quello che ci circonda mette in evidenza la necessità di alcuni fattori (sia culturali che sociali) indispensabili per il continuo sviluppo del turbo-capitalismo:
1.      una società nella quale le persone non abbiano e non creino difficoltà nel muoversi, anche in continuazione, laddove ci siamo maggiori ritorni di profitto per gli azionisti delle loro aziende (la “società liquida” di cui parla Zygmunt Bauman nei suoi scritti[2]);
2.      una  mentalità diffusa portata a far prevalere l’interesse individuale rispetto al bene comune;
3.      una rete di rapporti sentimentali, magari anche di alta intensità, ma non durevoli, nel quale il fattore preponderante del rapporto sia l’appetito sessuale senza che nel rapporto stesso si possano formare e consolidare aspetti di carattere emotivo sentimentale.

Non ci possono essere dubbi (anche se ho un po’ estremizzato) che questo modello di sviluppo è in netta contrapposizione con la permanenza di una società basata sulla famiglia e sul tipo di cultura che la stessa sia sottende sia sviluppa.
In primo luogo la famiglia sottolinea le esigenze della stabilità, della durata e della convivenza, non compatibili con le esigenze di mobilità predicate dal modello di sviluppo capitalistico nella sua versione americana.
In secondo luogo in famiglia, in funzione e come conseguenza dei vincoli di sangue o affettivi, si educano le persone a vivere pensando al bene degli altri familiari come al proprio, ponendo le basi per una futura attenzione al bene comune anche nel più vasto campo della società. Il turbo-capitalismo ha invece bisogno di persone mosse dall’assillo di massimizzare il proprio interesse personale, magari accontentandosi dell’assicurazione che la “mano invisibile” del mercato concilierà il proprio interesse con quello collettivo.   
In terzo luogo l’ “homo oeconomicus”, egoista e fondamentalmente single della cultura turbo- capitalistica, ha troppa fretta ed è troppo concentrato sul business per potersi concedere seri rapporti sentimentali di natura profonda interpersonale e magari anche rivolti alla procreazione. Si fa sesso prevalentemente per dare sfogo al desiderio di piacere, preferibilmente con donne diverse in omaggio alla (falsa) considerazione che la diversità accresce il piacere e stimola la creatività. Se poi questi rapporti sfociano in una gravidanza si può sempre ricorrere all’aborto (se la donna è consenziente...) o, nel peggiore dei casi alla sostituzione del sostegno familiare con quello bi-genitoriale (conformemente all’idea che si può essere genitori dei propri figli senza peraltro essere partner dell’altra persona con il quale si sono messi al mondo).

Lo stile di questo scritto è volutamente semplicistico e anche polemico perché, al di là delle considerazioni contrarie che si possono fare su singoli punti, il suo obiettivo è quello di dimostrare che gli attacchi dei quale l’istituzione “famiglia” è stata fatta segno negli ultimi due decenni non sono assolutamente casuali, ma ben funzionali ad un certo modello di sviluppo economico che fa riferimento allo schema turbo-capitalistico di provenienza americana e che ora sta attecchendo anche nel continente asiatico.
Per questo schema la famiglia è, e non potrebbe essere altrimenti, un fastidio...

Noi europei abbiamo ben altre radici culturali (il pensiero greco e latino, la potente elaborazione cristiana, il Rinascimento, l’Illuminismo, la Rivoluzione francese e quella russa) che modernamente convergono nell’assegnare il primato nella società civile alla dignità della persona umana (persona che si forma nella famiglia e che a sua volta contribuisce a formare il tessuto familiare).
Abbiamo anche elaborazioni teoriche come l’Economia sociale e civile di mercato che nulla hanno da invidiare allo schema turbo-capitalistico.

La difesa e lo sviluppo della istituzione famiglia sono fra i fattori fondamentali per lo sviluppo di una società alternativa a quella turbo-capitalistica, una società da costruire anche utilizzando uno stile di vita diverso che indirizzi i propri consumi e investimenti secondo criteri di sobrietà, solidarietà, sostenibilità ambientali.
Ma questo è un altro tema....   

    




[1] Edward N. Lutwak - “La dittatura del capitalismo” – Mondadori 1999.
[2] Fra gli altri “Vita liquida” di Z. Bauman – Laterza 2006

1 commento:

Sam Cardell ha detto...

La tua riflessione è molto dettagliata, pur se breve. Sono messi perfettamente in luce non tanto le degenerazioni “abituali” rispetto alla coscienza di pochi decenni fa, ma soprattutto quei punti che stanno facendo evolvere culturalmente la società.
La cultura non sempre si migliora, specie se tende a massimizzare l’immediato.
Un discorso diverso, anche se parallelo, deve però essere improntato sul turbo-capitalismo, assai più vicino nella tua analisi a quello di oltre un decennio fa che a quello attuale. Allora, infatti, il capitalismo occidentale era produttivo, mentre ora è finanziario: poche strutture, costi minimi di gestione, mobilità assoluta del capitale, nessuna radice sul territorio, massificazione del profitto immediato.
Ciò, ovviamente, è il frutto della globalizzazione che ha assunto come suo grande valore economico-finanziario il termine diversificazione.
Le grandi società industriali hanno perciò diversificato non tanto nella produzione in altre zone del globo per comodità espansiva, logistica e distributiva a costo zero, bensì per esigenze di costi molto minori a scapito dei diritti dei lavoratori, specie se come in estremo oriente sono i nuovi “schiavi”. E a questa tendenza si è aggiunta poi la diversificazione finanziaria che ha portato con sé la veloce dismissione produttiva.
Non si sono colti però i “costi” ingenti economici, riversatisi sul sociale, di simili variazioni, ricadute sui popoli e sulle nazioni: i dissesti speculativi che hanno portato alla crisi attuale.
E questi costi li pagano i cittadini, non le multinazionali finanziarie che li generano; mentre i benefici (guadagni immediati) tendono a incrementare il circolo vizioso, finché avviene il collasso del capitale stesso.