L’accordo firmato per Pomigliano tra Fiat e i Sindacati di categoria della CISL e della UIL presenta sicuramente dei dubbi fondati in tema di legittimità costituzionale.
La normativa dell’accordo infatti attribuisce in ultima istanza all’azienda (seppure dopo un percorso conciliativo) la possibilità di sanzionare i lavoratori al superamento di un numero di giorni di assenze per motivi che non escludono lo sciopero, limitando di fatto un diritto che, secondo
Sicuramente i Sindacati non avrebbero accettato tali condizioni se non di fronte al rischio, invero molto alto, che l’azienda decidesse di dismettere lo stabilimento e di spostare altrove (forse all’estero) la produzione.
In questo senso la posizione della Fiat può essere anche interpretata in un’ ottica assimilabile all’ultimatum e, per chi la vive dalla parte dei lavoratori, ad una sorta di ricatto. E in termini più ideali come un attacco alla dignità della persona dei lavoratori.
Detto questo non si possono peraltro sottacere altri elementi di valutazione.
Lo stabilimento di Pomigliano ha (e speriamo di poter usar quanto prima l’imperfetto “aveva”) dei livelli di produttività molto bassi, incompatibili (diciamolo pure) con le esigenze competitive dell’attuale mondo globale.
La dottrina economica assume che la produttività di una fabbrica dipende da tre fattori essenziali, gli investimenti dell’azienda in termini di macchinario, le infrastrutture e il contesto sociale locale, la produttività dei dipendenti.
Per quanto riguarda il primo aspetto, mi risulta che
Nulla di nuovo si dice rispetto all’aspetto delle infrastrutture logistiche e comunicative nonché del contributo positivo del contesto sociale se solo si fa un riferimento (anche per accenno) alla camorra imperante nel territorio ed ad una mentalità assistenzialistica piuttosto che industriale. E’ questo il vero cancro, sotto varie forme, di tutto il nostro meridione (salvo poche “isole” felici), cancro che richiederebbe un intervento diretto, determinato e forte delle Istituzioni dello Stato centrale (altro che federalismo per le Regioni del Sud!... ma questo è un discorso che andrebbe affrontato in altra sede).
Chiudiamo questa riflessione sulle cause della insufficienza di produttività facendo riferimento al terzo elemento, quello relativo al livello di assenteismo che tutte le fonti (anche sindacali) considerano di eccezionale gravità.
L’impiego mensile dei 3 giorni di permesso attribuiti dalla legge 104 per far fronte ad eventuale assistenza a parenti invalidi viene considerato come “diritto” a 3 giorni di permesso mensile, il tasso di malattia (certificato da medici compiacenti, anche vessati dal contesto camorristico locale) è molto più elevato che in altre zone del Paese ed è risaputo come molti “malati” siano regolarmente all’opera per la raccolta della propria uva e dei propri pomodori, il livello di scioperi anche bianchi (ovvero senza detrazione dello stipendio) spesso giustificati con motivi pretestuosi (o non giustificati affatto) è incredibilmente alto.
E’ con rammarico da rilevare come ben poco i sindacati abbiano fatto su questo terzo fronte della insufficienza di produttività, restando di fatto al fianco dei lavoratori negligenti anche quando sarebbe stata opportuna una diversa azione.
Non si possono sottolineare le responsabilità della Fiat senza evidenziare anche quelle delle Istituzioni centrali e locali della Repubblica (quasi completamente assenti), dei Sindacati (mossisi in maniera maldestra e forse anche sotto la pressione della cultura sociale assistenzialistica e camorristica), del lavoratori (che vogliono giustamente essere rispettati nella loro dignità di persone ma spesso hanno dimenticato i loro obblighi, anche giuridici, di lavorare in buona fede e con diligenza).
Non si poteva chiedere alla Fiat di continuare a produrre a Pomigliano con un tasso di produttività incompatibile con le esigenze globali. Senza accordo lo stabilimento sarebbe stato chiuso in breve tempo e i lavoratori sarebbero rimasti disoccupati.
Resta da chiarire un grande punto interrogativo. Condividendo il primato etico del rispetto della dignità di ogni persona umana, ci si deve chiedere come sia possibile, nell’attuale contesto economico globale, ribadire tale principio rispetto a quello concorrenziale della massimizzazione del profitto.
A mio parere la battagli è culturale prima che politica. Anche per questo è nato Persona è futuro.
Per restare in Italia, sarà ora necessario evitare che l’accordo di Pomigliano diventi paradigmatico per altri accordi, intervenendo preventivamente ciascuno (azienda, sindacati, Stato) nel rispettivo campo di competenza sugli aspetti relativi alla produttività.