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domenica 8 novembre 2009

Per non essere liquefatti...

In una società “liquida”, dove la velocità dei cambiamenti rende difficile persino l’abituarsi ai cambiamenti stessi, dovremo imparare ad essere flessibili, leggeri ma ad avere pur sempre dei valori “solidi” a cui aggrapparci, pena la nostra “liquefazione”.

A mio parere il primo di questi valori è il rispetto della dignità di persona di ogni essere umano.

Cosa si deve intendere per persona? Si può azzardare una definizione.

Persona è l’essenza, il substrato fondamentale di ogni essere umano, che va oltre la sua corporeità e la sua spiritualità (pur inglobandole), che lo rende unico, irripetibile, perfetto (anche in sue eventuali deformità), che lo caratterizza dal primo momento dell’esistenza fino alla sua morte naturale né accelerata né ritardata con modalità umane, che lo rende capace di pensare, pensarsi, relazionarsi con gli altri, anzi di realizzarsi nella misura in cui allarga e perfezione la sue relazioni con gli altri.

La persona è sempre un dono per sé e per gli altri e, come tale, è intangibile dalla società e non posponibile a nessun altri valore né elemento.

Per un credente il ritenere ogni essere umano una persona è il modo più intelligibile per capire il suo essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Ma anche per un credente la persona è il concretizzarsi di una concezione di un essere umano basata sull’uguaglianza e sulla libertà di tutti gli uomini.

Pertanto siamo pure leggeri, siamo pure agili e flessibili, ma non “molliamo” sul rispetto della dignità della persona umana, perché rischieremmo di perdere anche la nostra umanità.

Che ne dite? Aspetto vostri pareri sul blog http://giuseppesbardella.blogspot.com ?

Buona settimana

4 commenti:

Sam Cardell ha detto...

Nel tuo breve meditare hai fatto un po’ di … confusione.

Parto dall’ultimo per arrivare al primo.
Dici: “… il ritenere un essere umano una persona è il modo …”, “La persona è sempre un dono per sé e per gli altri …” e “Persona è l’essenza, il substrato fondamentale di ogni essere umano, che va oltre la sua corporeità e la sua spiritualità … che lo rende unico … perfetto …”.
A questo punto sarebbe interessante sapere cosa tu intenda per uomo, cosa intenda per “dono per sé” e, pure molto interessante, sarebbe percepire la differenza che interpreti tra dono e regalo.
Ovviamente la mia è una domanda retorica.

Siamo liquidi, flessibile e leggeri attaccati a “valori ‘solidi’ ”? E questi sono l’essenza di persona?
Io non ritengo di essere né liquido, né flessibile, perché allora mi riterrei un idiota se i cambiamenti mi condizionassero.
L’essenza del concetto di uomo, in verità va scisso da quello di persona solo nell’interpersonale: si riconosce all’altro il nostro stesso diritto ad esistere e a coesistere nella “parità”, pur nella diversità. Ci si riconosce “Società”!
In questo sta ( l’identificarci) il nostro essere uomo e persona.
E se l’uomo è sé stesso nel rapporto con l’altro (persona; nell’accettare la parità esistenziale e non di diritto), allora ha il dovere non di liquefarsi (adattandosi all’esistente momentaneo), né di essere “flessibile” all’altro o all’evento, ma di padroneggiare e dirigere il processo evolutivo sociale e personale in base a principi e valori che devono essere recepiti nella loro totalità e importanza, perciò intellettualmente condivisi.
L’uomo è individualità nella percezione di sé stesso; ma si trasforma (identifica) in persona nel momento stesso che si relaziona all’altro, riconoscendolo come alter ego sociale.

E non solo riconoscendo il contemporaneo che gli sta accanto, ma pure il trapassato e l’addiveniente.
La cultura universale (bagaglio sapienziale) è forse il vero concetto lato di persona, sia nel bene che nel male. Infatti, a noi insegna i valori e i principi che hanno permesso ai nostri avi di esistere e di relazionarsi e per i posteri il rispetto di un ambiente e di un rapporto sociale ultratemporale che riconosca loro una parità esistenziale priva di obblighi pregressi.
Principi e valori che non sono, giova sottolinearlo, immodificabili, ma continuamente evoluti nel perfezionarli.
Perché se noi interpretiamo l’essere persona al solo “relazionarsi … realizzarsi nella misura in cui allarga e perfeziona le sue relazioni”, allora colleghiamo il nostro incedere al solo compito di completare un rapporto pacifico e utile alla nostra esistenza.
Solo in questo modo il “diritto” non avrà quella priorità di pretesa che impone a chi è più indietro (in ogni senso e pure fisicamente – handicappato reale o momentaneo -) di volere (pretendere) ciò che l’altro può avere nella sua operosità e capacità, ma di riconoscere (dove è possibile) che l’aiuto che viene concesso non sia un diritto acquisito, ma solo un volontario supporto che la “persona/società” ti dà per consentirti di vivere nella parità esistenziale. Parità che non significa identità né continuità.

(continua)

Sam Cardell ha detto...

La nostra attuale società, perciò noi tutti, tende a scaricare sugli altri i propri doveri. Si intende solo il proprio diritto.
I figli “pretendono” che la società si faccia carico dei genitori anziani o infermi, le giovani coppie dei figli, le aziende che mal si sono programmate o fatto buchi l’aiuto statale, chi rimane senza lavoro dell’assistenza (stipendio) sociale, chi meno ha … vuole ciò che chi più ha si può concedere.
La cicala, spesso, nella pratica vuole avere ciò che ha la formica!
Ma allora siamo solo in quella flessibilità e liquidità del “diritto” che non sa apprezzare e riconoscere il dovere. Ne è incapace!
In pratica non si è in grado di percepire il “Voldere: volere il dovere”. Dove il volere è l’essenza dell’essere persona per sé e per l’altro nella percezione esatta del proprio “Io maturo”.
Si è “Samaritano”; ma il samaritano è tale nel vedere volontariamente la necessità e non nel diritto della pretesa altrui.

Con buona pace di Mounier e di Bauman.

Sam Cardell

Rosa Maria ha detto...

Caro Giuseppe, attenzione al concetto di "persona" che in origine significava "maschera" ... e che conserva sempre un po' di quel significato originale!

A parte gli scherzi, ieri mi è capitata una cosa che mi ha fatto riflettere e che ti propongo. Il figlio di mia cugina ha fatto la cresima in una parrocchia della Tiburtina-via Durandini. Alla fine della cerimonia, tutta un po' coreografica, i ragazzi sono stati "costretti" a fare un balletto sulle note di un testo di Ligabue, nello spazio tra l'altare e i banchi. Alcuni di loro erano a proprio agio, altri erano imbarazzatissimi e goffi e il loro imbarazzo faceva trasparire un "qui non ci metto più i piedi" grosso come una casa. Mi chiedo: è giusto violentare in questo modo i ragazzi con queste forme di "modernismo" ridicole non solo per chi le guarda? inoltre, dando per scontato che i Catechisti sono dei cretini, quel Parroco non dovrebbe essere più accorto e "formato" a trattare con i ragazzi per non farli scappare a gambe levate? e soprattutto questo Cardinale vicario, che mi sembra una gran brava persona, che progetto ha intenzione di portare avanti per "crescere" i ragazzi nelle parrocchie? Io, come sai, con Fernando vivo una realtà protetta e anche ben strutturata nell'ambito parrocchiale, ma queste sortite lasciano sconcertati. Finora, l'unico imput esterno pervenuto è la spinta alla frequenza dei Seminari, e mi sembra pochino, mentre nelle periferie accade quello che ho descritto. Forse dovremmo cominciare a discuterne per fare proposte che "arrivino" e "sollecitino" interventi.

Buona settimana a te e ai tuoi

Rosa Maria

Ebony ha detto...

"la persona... quella volontà che determina la propria libertà. L'anima giudica le sue azioni e custodisce la coscienza."