In tema di Dottrina Sociale della Chiesa (par. 118-127 della “Fratelli tutti”)
Riproporre
la funzione sociale della proprietà
118. Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi
esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le
differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza
e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i
privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come
comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia
opportunità adeguate al suo sviluppo integrale.
119. Nei primi secoli della fede cristiana, diversi
sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione
comune dei beni creati. Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno non ha il
necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando. Lo
riassume San Giovanni Crisostomo dicendo che «non dare ai poveri parte dei
propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto
possediamo non è nostro, ma loro». Come pure queste parole di San Gregorio
Magno: «Quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba
nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene».
120. Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune
parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata forse compresa: «Dio
ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi
membri, senza escludere né privilegiare nessuno». In questa linea ricordo che
«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il
diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di
qualunque forma di proprietà privata».
Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il «primo principio
di tutto l’ordinamento etico-sociale», è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri
diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi
quello della proprietà privata e qualunque altro, «non devono quindi
intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione», come affermava
San Paolo VI.
Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal
principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha
conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della
società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di
sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica.
Diritti
senza frontiere
121. Nessuno dunque può rimanere escluso, a
prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri
possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le
frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è
inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è
altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé
determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo.
122. Lo sviluppo non dev’essere orientato
all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare «i diritti umani,
personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e
dei popoli». Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non
può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e
neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché «chi ne possiede una
parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti».
123. L’attività degli imprenditori effettivamente «è una nobile vocazione orientata a
produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti». Dio ci promuove, si
aspetta da noi che sviluppiamo le capacità che ci ha dato e ha riempito
l’universo di potenzialità. Nei suoi disegni ogni persona è chiamata a promuovere
il proprio sviluppo, e questo comprende l’attuazione delle capacità economiche
e tecnologiche per far crescere i beni e aumentare la ricchezza. Tuttavia, in
ogni caso, queste capacità degli imprenditori, che sono un dono di Dio,
dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle altre persone e
al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione di
opportunità di lavoro diversificate. Sempre, insieme al diritto di proprietà
privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni
proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e,
pertanto, il diritto di tutti al loro uso.
Diritti
dei popoli
124. La certezza della destinazione comune dei beni
della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro
territori e alle loro risorse. Se lo guardiamo non solo a partire dalla
legittimità della proprietà privata e dei diritti dei cittadini di una
determinata nazione, ma anche a partire dal primo principio della
destinazione comune dei beni, allora possiamo dire che ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un
territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un
altro luogo. Infatti, come hanno insegnato i Vescovi degli Stati Uniti, vi
sono diritti fondamentali che «precedono qualunque società perché derivano
dalla dignità conferita ad ogni persona in quanto creata da Dio».
125. Ciò inoltre presuppone un altro modo di intendere
le relazioni e l’interscambio tra i Paesi.
Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio
fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se
qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese.
Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo, benché possa
adempiere questa responsabilità in diversi modi: accogliendolo generosamente
quando ne abbia un bisogno inderogabile, promuovendolo nella sua stessa terra,
non usufruendo né svuotando di risorse naturali Paesi interi favorendo sistemi
corrotti che impediscono lo sviluppo degno dei popoli. Questo, che vale per
le nazioni, si applica alle diverse regioni di ogni Paese, tra le quali si
verificano spesso gravi sperequazioni.
Ma l’incapacità di riconoscere l’uguale dignità umana a volte fa sì che le
regioni più sviluppate di certi Paesi aspirino a liberarsi della “zavorra”
delle regioni più povere per aumentare ancora di più il loro livello di
consumo.
126. Parliamo di una nuova rete nelle relazioni
internazionali, perché non c’è modo di risolvere i gravi problemi del mondo
ragionando solo in termini di aiuto reciproco tra individui o piccoli gruppi.
Ricordiamo che «l’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e
obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali». E la
giustizia esige di riconoscere e rispettare non solo i diritti individuali, ma
anche i diritti sociali e i diritti dei popoli. Quanto stiamo affermando
implica che si assicuri il «fondamentale
diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso», che a volte
risulta fortemente ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero.
Il pagamento del debito in molti casi non solo non favorisce lo sviluppo bensì
lo limita e lo condiziona fortemente. Benché si mantenga il principio che ogni
debito legittimamente contratto dev’essere saldato, il modo di adempiere questo
dovere, che molti Paesi poveri hanno nei confronti dei Paesi ricchi, non
deve portare a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita.
127. Senza dubbio, si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in
questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie. Ma se si accetta il
grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere
l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e
pensare ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri
terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la
strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di
minacce esterne. Perché la pace reale e duratura è possibile solo «a partire da
un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro
modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia
umana».