Invecchiare è naturale, ma non è facile, anche perché
chi è diventato vecchio prima di te non ti dice tutto quello che succede con
l’avanzare dell’età, oppure ti dice cose scontate, risapute, senza avvertirti
di cose importanti, ma che vengono ripetutamente sottovalutate.
Aspetti noti
Si sa che la mente non riesce a trattenere tutto nella memoria sicché accade
che si ricordino facilmente gli eventi e le persone più lontane nel tempo e che
lentamente (ma progressivamente) si attenuino i ricordi di eventi e persone più
recenti.
Anzi, per essere più precisi, la emozione che hai provato in quegli eventi
(vicini o lontani che siano) gioca spesso un ruolo più rilevante del tempo
trascorso. Eventi legati a nascite e a morti importanti, a forti innamoramenti, al matrimonio, a trasferimenti da un luogo all’altro, a promozioni (o rimozioni) rilevanti nella
carriera professionale sono realtà che rimangono sempre presenti e impresse
nella mente proprio in virtù del grosso impegno emotivo che abbiamo investito in
esse.
Si sa anche che la forza fisica diminuisce come anche
l’energia psicologica necessaria per affrontare le difficoltà.
In effetti la regolarità nel fare esercizi fisici e nel continuare a cimentarsi
in impegni personali di carattere professionale e sociale permette di
rallentare il degrado fisico e psicologico, purtroppo non di fermarlo del
tutto.
E’ triste accettare che diventa sempre più difficile svolgere ruoli o fare
attività che prima svolgevamo e facevamo (bene…) senza fatica, mentre ora ci
richiedono sempre più impegno psicofisico e non sempre riusciamo a portare a
termine nel modo che vorremmo.
Spesso neppure ci accorgeremmo di tale degrado fisico o psicologico se non
avvenissero fatti che ci mettessero di fronte alla cruda realtà.
Come quando mi accadde di scendere velocemente le scale di un ospesdale insieme
a mio nipote di 30 anni più giovane; io pensavo di scendere velocemente (e non
sarei sicuramente riuscito ad accelerare la mia velocità…) ma vedevo mio nipote
allontanarsi sempre più.
Oppure quando io, qualche tempo fa, da vecchio bravo giocatore di ping pong scattavo
(o meglio pensavo di scattare) come mio solito per controbattere la pallina e,
quando vi arrivavo, regolarmente la stessa era già passata.
O quando, da anziani, camminando velocemente (…), si inciampa e ci si trova a
terra malconci senza avere avuto il tempo di mettere le mani avanti e ci
chiediamo come sia potuto accadere.
E sì, non solo i muscoli diventano meno robusti e scattanti, ma anche i
riflessi! e a questo non si pensa mai… Il degrado muscolare si può rallentare
con l’esercizio fisico, quello psicologico con gli esercizi mentali meneonici
ma, a quel che so, contro il degrado nei riflessi c’è ben poco da fare.
Si sa pure che anche i sensi lentamente degradano, la
vista (con la necessità di usare occhiali con lenti correttive), l’udito (con
l’opportunità, in alcuni casi, di apparecchi di rinforzo), il tatto (avete
fatto caso che le punte delle dita diventano più sensibili al freddo e meno
sensibili nel toccare ed afferrare i fogli di carta e girare le pagine di un
libro?), il gusto (la salivazione diminuisce…), l’olfatto (la sensibilità verso
gli odori diminuisce).
Sono degradi che si avvertono poco perché avvengono con molta lentezza ma
avvengono inesorabilmente e, prima i poi, arriva un momento nel quale ce se ne
accorge con chiarezza.
Si sa ancora che una delle caratteristiche della
vecchiaia è il ricordare con piacere i tempi passati e confermarsi sempre più
nella convinzione che fossero migliori di quelli correnti (dimostrativa è la
frase “ai miei tempi…”).
E questo sentimento della nostalgia e del rimpianto per “quando le cose
andavano bene” (e il più delle volte non è vero) porta gli anziani ad un
atteggiamento di costante incomprensione e di rimprovero verso le giovani
generazioni.
Quale la causa vera di questo fenomeno, non confortato da prove reali? A mio
parere la presenza di paradigmi mentali superati e obsoleti. Ma ne parleremo
più avanti.
Oltre alla labilità mnemonica e mentale, al degrado
fisico, psicologico e sensoriale, il vivere in una frequente nostalgia del
passato, si potrebbero aggiungere altri aspetti già noti dell’invecchiamento (e
ciascuno potrebbe aggiungerne altri), ma è forse giunto il momento per
concentrarsi su quelli meno noti.
Aspetti meno noti
Uno di questi contraddice in pieno e sorprendentemente
una delle convinzioni più frequenti e diffuse, ovvero quella che i vecchi
abbiano più pazienza dei giovani.
Non è vero! La mia esperienza personale, confortata da quella di molti miei
coetanei, è che la pazienza non aumenta, bensì diminuisce con l’età.
Ciò che prima veniva sopportato se non con facilità almeno con serenità (un
comportamento altrui non adeguato, un ritardo burocratico o personale, un
parlare sgrammaticato, un degrado sociale intorno a noi..) ora viene sopportato
con molta maggiore difficoltà se non addirittura non sopportato e può innescare imprevedibili sentimenti di rabbia e di rivalsa.
Mi sono chiesto da che cosa potesse dipendere questa insufficienza di pazienza.
Ho ipotizzato che tale insufficienza potesse dipendere dal minor tempo che una
persona anziana inconsciamente (ma realmente) sente di avere davanti a sé,
rispetto a quello che sente di avere un giovane.
Il giovane può permettersi di perdere tempo, l’anziano vorrebbe perderne meno
possibile perché percepisce di averne sempre meno a disposizione…
Successivamente ho riflettuto che non era il passare inutile del tempo che
inquieta l’anziano, ciò che maggiormente lo inquieta è che le cose accadano e
che i comportamenti altrui si tengano in maniera molto diversa dalle sue
previsioni.
Paradigmi mentali
E qui entrano in gioco i nostri paradigmi mentali.
Tutti noi nella nostra infanzia e adolescenza abbiamo affrontato e superato
difficoltà, risolto problemi di vita corrente, deciso le nostre scelte
operative, modellando i nostri comportamenti sulla base di valori di
orientamento, di criteri di valutazione, di schemi di giudizio (e talvolta di
pregiudizio!) appresi nel nostro ambiente familiare, scolastico, sociale e
introiettati dentro di noi una volta verificata la loro efficacia.
L’insieme di questi valori, criteri, schemi di giustizia organicamente
collegati è ciò che intendo quanto parlo di “paradigmi mentali”.
Tutti i comportamenti della nostra vita, dai più semplici (sedersi, camminare, scendere
le scale) ai più complessi (lavorare con professionalità, studiare, giudicare)
diventano più semplici da porre in essere nella misura in cui non dobbiamo ogni
volta reimparare ma possiamo ricorrere, parzialmente o totalmente ai nostri
paradigmi mentali.
Si tratta in pratica di seguire comode scorciatoie ben note piuttosto che
dovere costantemente rivedere la mappa stradale e trovare la via migliore.
Senza l’aiuto dei nostri paradigmi mentali la nostra esistenza sarebbe molto
più faticosa!
Peraltro essi, man mano che la vita avanza e che la società cambia, rischiano
di trasformarsi da comode scorciatoie in difficili percorsi ad ostacoli. E
questa trasformazione da scorciatoie che velocizzano il percorso a percorsi ad
ostacoli che lo rallentano (o lo bloccano…) acquista sempre maggiore spessore
quanto più avanza il cambiamento nella società e, di conseguenza, nella nostra
vita.
Molti sociologi di rilievo si sono cimentati nel cercare le spiegazioni dei
mutamenti sociali, ne sono state offerte molteplici, alcune convincenti, altre
meno, ma una cosa è indiscutibile: la società cambia e cambia in maniera sempre
più veloce!
La “società liquida”[1], descritta da Z. Bauman
come quella società nella quale l’uomo non fa a tempo a capire alcune realtà
sociali che le stesse sono già cambiate, sicuramente non è l’ultimo stadio di
questo incessante mutamento.
Non c’è niente da fare. I nostri “paradigmi mentali” molto efficienti ed
efficaci nella nostra ,giovinezza per orientare i nostri pensieri e
comportamenti, restano strettamente legati alla società per la quale erano
stati costruiti.
Ora è necessario e, aggiungerei, vitale, adeguarli e, soprattutto, adeguarli sempre più in
fretta.
D’altra parte però dobbiamo ammettere che siamo sempre portati a porre la
nostra fiducia e la nostra sicurezza negli schemi mentali acquisiti e
collaudati nella nostra giovinezza e successivamente consolidati durante il
susseguirsi degli anni.
Dovremmo cambiare questi schemi di rifermento, questi “paradigmi” e adeguarli
alla realtà sociale che cambia, ma non riusciamo a farlo perché sentiamo di
stare per avventurarci per strade ignote che rischiamo di mettere a repentaglio
o addirittura farci perdere la nostra serena (ma insufficiente) sicurezza.
Forse ora è più facile capire quale sia la motivazione di fondo della costante
incomprensione degli anziani verso i più giovani, oppure quella continua carenza
di pazienza che avvertiamo ci caratterizza.
Si tratta in fondo, di un conflitto fra, da una parte i nostri paradigmi
superati e dall’altra una realtà profondamente mutata e l’esistenza di
paradigmi profondamente diversi dai nostri ma stretta conseguenza dei mutamenti
sociali.
Se non vogliamo passare il resto dei nostri anni a borbottare e a lamentarci
(in pratica a non vivere) non resta altra soluzione praticabile che acquisire
nuovi paradigmi mentali.
Ma come abbandonare totalmente o parzialmente i precedenti?
Di seguito la mia esperienza in proposito.
Quando ero poco più che ventenne e avevo in animo di
fare la mia tesi di laurea sui valori della democrazia, mi capitò di leggere “I
fondamenti della democrazia” di Hans Kelsen[2] .
Kelsen, giurista e sociologo di rilievo mondiale, appartenente alla Scuola di
Vienna, sostiene, in questo libro, che il fondamento della democrazia (o, per
meglio chiamarla, della liberaldemocrazia) è la cultura del “dubbio”.
Se non ho dubbi, argomentava Kelsen, se penso di avere ragione, di possedere
pertanto la “verità” su un determinato argomento, se penso, di conseguenza, che
la mia verità non possa che essere sinonimo di bene sia per me che per gli
altri (altrimenti non sarebbe “verità”…), quali remore dovrei avere non solo a
proporla, ma addirittura ad imporla agli altri... per il loro bene?
Secondo Kelsen solo se mi pongo in un atteggiamento di dubbio, sono capace di
presentare la mia opinione all’altro, di ascoltare serenamente la sua e, in uno
spirito di ascolto reciproco ( di “dialogo”…), di camminare insieme verso la
ricerca della verità.
Nel corso della mia vita talvolta ho avuto la forza (perché non è facile…) di
assumere questa cultura del dubbio e mi sono chiesto, in certe situazioni in
cui avevo espresso una opinione o adottato un comportamento che altre volte era
stato giusto: “se invece avessi torto?”, “se quello che dice il mio
interlocutore fosse vero?”, “non è che sto insistendo a seguire la mia idea per
ostinazione o, peggio, per pigrizia mentale?”.
Ebbene, quando ho avuto questa forza sovente mi è capitato di cambiare la mia
opinione, di accettare in tutto o, più spesso, parzialmente, quella del mio
interlocutore.
Avere questa cultura del dubbio può essere il primo passo per l’acquisizione di
una maggiore libertà di giudizio rispetto alle informazioni che, da una parte,
cerchiamo e troviamo autonomamente dall’altra che ci piovono addosso
dall’esterno.
Questo è il primo passo, ma ne occorrono altri.
Una volta acquisita una sana cultura del dubbio, il passo successivo per
combattere i paradigmi mentali esistenti consiste nel saper ragionare
correttamente e soprattutto nel confrontarsi costantemente con altri.
Leggere molto, leggere, con mente aperta, sia testi concordi con le nostre
opinioni che testi discordanti e riportanti opinioni diverse, leggere
attentamente notando come le persone articolino e motivino i loro ragionamenti,
leggere acquisendo un ampio bagaglio informativo, permette di ampliare non solo
le nostre informazioni ma soprattutto la nostra capacità di ragionare ed
esprimere giudizi corretti.
Ma non è ancora sufficiente.
Un altro e ultimo passo deve essere quello di
confrontare le nostre opinioni, i nostri giudizi con quelli di persone che
stimiamo (e che magari hanno opinioni e giudizi diversi) in un dialogo in cui
la serenità, la sincerità, la assertività e, soprattutto, la voglia di
ascoltarsi reciprocamente rappresentino caratteristiche comuni.
Coltivare sempre il dubbio, leggere (o vedere…)
acquisendo il maggior numero possibile di informazioni, classificare, collegare
e articolare queste ultime sulla base di ragionamenti corretti, mettere alla
prova le nostre conclusioni in confronto e dialogo con amici che partono da
conclusioni diverse, tutto ciò dovrebbe permettere di raggiungere un certo
livello di capacità mentale e intellettiva sufficiente per riconoscere una gran
parte delle informazioni false e fuorvianti e per limitare o superare del tutto
l’influenza dei nostri paradigmi mentali e della conseguenti nostre distorsioni
cognitive.
Ultima virtù da coltivare è l’umiltà, ovvero la
capacità di essere consapevole che, nonostante tutti i tentativi che possiamo
mettere in atto, la nostra imperfezione innata di essere umani non ci
consentirà mai di essere sicuri di essere completamente liberi da potenziali
manipolazioni (di qualsiasi tipo esse siano).
Ma bastano la cultura del dubbio, la lettura intensa e
ragionata, il confronto con gli altri, la ricerca dell’umiltà, a superare i
nostri paradigmi mentali e a vivere con libertà mentale il presente e il futuro
davanti a noi?
No, se, nel contempo non affrontiamo la nostra vita con fiducia, con
positività, credendo fermamente che, nonostante tutto quello che ci appare
intorno di negativo, il positivo è sempre più grande, anche se così non ci
sembra a prima vista.
Ed è su questo aspetto che la Fede (fiducia in un Essere-Amore) può aiutare.
[1] Z.
Bauman – Vita liquida – 2008, Laterza editore
[2] H.
Kelsen – I fondamenti della democrazia – Il Mulino 1966