In
alcune considerazioni che avevo scritto sul mio blog nello scorso dicembre (https://giuseppesbardella.blogspot.com/2020/12/ma-la-mmt-modern-monetary-theory-e.html)
riportavo l’opinione di una parte notevole della scuola economica Keynesiana
nonché degli economisti aderenti alla MMT, in base alla quale un forte aumento
della spesa pubblica (e della conseguente massa monetaria totale) non
comporterebbe un conseguente rischio di aumento dell’inflazione se non in
presenza di un pieno impiego delle risorse reali dell’apparato produttivo del
Paese ivi inclusa l’occupazione delle risorse umane.
In quelle considerazioni esprimevo un mio parziale consenso a questa
impostazione, anche se facevo emergere anche forti perplessità, dovute soprattutto
allo scarto temporale fra espansione della spesa pubblica e assorbimento della
stessa attraverso un aumento della capacità dell’apparato produttivo (offerta
aggregata) e della domanda aggregata, nonché alla dipendenza da politiche di
Paesi più forti e dei mercati internazionali (per chi volesse saperne di più,
può leggere le considerazioni al link sopra indicato).
Così stando le cose, come può accadere che in questo
momento storico, nel quale in Italia il tasso di disoccupazione veleggia oltre
il 10%, il tasso di inflazione, fermo al un livello inferiore all’1n% (e addirittura negativo in certi periodi) da
molti anni, stia raggiungendo velocemente il 2%.
Certamente il 2% non è un livello da far scattare un allarme, ma possiamo continuare
tranquillamente ad aumentare la spesa pubblica e la massa monetaria circolante senza
rischio finché la disoccupazione non venga pressocché eliminata?
Forse c’è qualcosa che ci sfugge nella realtà del mondo post-Covid?
In un altro mio recente testo apparso sul mio blog e
riguardate la situazione mondiale nel post-pandemia (https://giuseppesbardella.blogspot.com/2021/03/considerazioni-sul-post-pandemia.html)
mi chiedevo:
“Che accadrà quando i robot sostituiranno totalmente l’uomo nelle attività
manuali ripetitive o, quando, in
associazione con strumenti di Intelligenza Artificiale, saranno capaci, al
posto dell’uomo, di svolgere attività manuali anche non ripetitive in quanto
basate su una valutazione delle operazioni messe in atto al fine di trovare un
modo più efficiente di svolgerle? Saranno, a breve, i robot in grado anche di
esperire autonomamente attività quali interventi chirurgici via via sempre più
complessi?
Che accadrà quando l’Intelligenza Artificiale sarà in grado di svolgere
attività di mero carattere intellettuale quali l’interpretazione di un testo,
magari di un contratto o di una norma di legge, o addirittura di emettere una
sentenza giudiziaria, una volta acquisita la lettura dei documenti scritti e
delle testimonianze orali?
Che accadrà quando sarà l’ Intelligenza Artificiale (e non un dipendente
bancario) a valutare, dopo essere entrato nei dati dell’Anagrafe tributaria, di
quella civile e del Casellario giudiziario, la capacità patrimoniale di un
cittadino richiedente un prestito?”
Questa contesto è ancora molto lontano da noi o è già parzialmente presente in
misura maggiore del previsto?
Non è un mistero che molte aziende, di tutti i settori (commercio, industria,
servizi, agricoltura) hanno investito massicciamente nell’ Internet delle cose,
nella robotica, nella Intelligenza artificiale, non solo supportando le risorse
umane con un maggior uso delle macchine (e risparmiando persone…) ma anche
sostituendo le risorse umane con delle risorse di carattere informatico.
In una situazione come questa, che peraltro evolverà sempre di più in una
sostituzione di macchine e programmi al posto delle persone, ha ancora senso
immaginare la piena occupazione con le lenti del ‘900, ovvero l’insieme dei
lavoratori impiegati in vari settori, che producono beni e servizi per il
mercato e che ricevono un salario con il quale sostengono se stessi e i loro
cari, nonché l’intera economia acquistando i beni e i servizi prodotti da altri
lavoratori?
Non è forse vero invece che, usando il termine “pieno impiego delle risorse
produttive”, dovremmo con chiarezza immaginare (purtroppo) un sempre minor peso,
in questo ambito, dell’occupazione di
risorse umane (semplificando più processi, programmi, macchine e meno
lavoratori in carne e ossa)?
La domanda che allora mi pongo è la seguente: se così fosse, una volta che l’apparato
produttivo avesse raggiunto il suo pieno impiego (senza peraltro aver raggiunto
la piena occupazione di persone) sarebbe giusto continuare a “pompare” moneta
nell’economia facendo salire inevitabilmente il tasso di inflazione?
O non sarebbe più corretto forse fare un
ricorso maggiore alla leva fiscale, dranando i soldi laddove ce ne siano in
abbondanza e sostenendo un programma di “redeployment” delle persone
disoccupate indirizzandole, dopo un periodo di formazione retribuito, verso un
nuovo lavoro fra quelli che macchine e programmi non potrebbero svolgere o
svolgerebbero con una capacità inferiore a quella umana (penso, ad esempio, ai
lavori nei quali si si prende cura delle persone più deboli)?
Mi rendo conto che ho formulato considerazioni e posto
domande piuttosto che fornire risposte.
Chiedo il vostro aiuto per fornirle insieme.
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