Vi voglio raccontare una esperienza che ha segnato molto la mia vita.
Era il 1965, avevo 16 anni e frequentavo la seconda liceale classico in un
prestigioso Istituto privato di Roma.
Ricordo che avevamo comepProfessore di Storia della Arte, un nuovo decente
(succeduto ad uno, un po’ carente, dell’anno prima), il classico studioso di arte,
molto preparato che però, proprio perché forse era soprattutto uno studioso,
non era capace di tenere la disciplina.
A me piaceva molto la materia, al contrario della maggioranza dei miei compagni
i quali, durante la sua lezione, si divertivano a “fare casino” costringendolo,
per mantenere un po’ d’ordine, a battere il pugno o la aperta sulla cattedra.
Una mattina vidi un gruppo di compagni che, prima della lezione, armeggiavano intorno
alla cattedra, chiesi cosa stavano facendo e scoprii che stavano mettendo in
bilico la cattedra in modo tale che quando il docente avesse battuto il pugno,
questa sarebbe caduta provocando l’ennesima occasione di cattivo divertimento.
Io che ero stufo di questi fatti e per difendere (oggi uso dei termini che
allora forse non usai, ma che corrispondono al mio sentire di allora) il diritto
del docente ad insegnare e il mio diritto di studente ad imparare, li avvertii
che se non avessero dismesso quello che stavano facendo, avrei avvertito il
Preside.
Quelli mi irrisero e io uscii dalla classe per avvertire il Preside; quest’ultimo
mi guardò con espressione un po’ scocciata di compatimento (fra l’altro era
amico di molte mamme “parioline dei miei compagni…) e mi rimandò in classe
dicendo di stare tranquillo che sarebbe intervenuto lui.
Come avevo previsto il docente iniziò la lezione, iniziarono le consuete
turbolenze, lui batté il pugno sul tavolo e la cattedra rovinò sul pavimento
con la rumorosa ilarità generale.
Il docente si precipitò furioso dal Preside, il quale intervenne e decretò un
giorno di sospensione a casa per tutta la classe.
Sento ancora nelle orecchie il coro “spia, spia, spia” dei compagni di classe
nei miei confronti.
Ovviamente tornai a casa, raccontai l’accaduto a mia madre e questa scrisse un
appunto al Preside per ricostruire l’accaduto e per lamentarsi del
provvedimento di sospensione esteso anche a me.
Cosa vuol dire fare la spia? Una persona che denuncia un fatto illecito all’autorità preposta per prevenire il verificarsi dell’evento può essere definito una spia o è solo una persona, dotata di senso civico che collabora all’applicazione della giustizia in conformità a quanto previsto dalle norme di legge?
Certo spesse volte, come nel caso da me raccontato, non sempre l’autorità si dimostra all’altezza della situazione ma, se si sa che invece lo è, mi pare che sia un obbligo etico procedere alle opportune denunce.
Nel quartiere nel quale risiedo abbiamo la fortuna di avere una Stazione dell’Arma dei Carabinieri con militi molto in gamba guidati da un Comandante carismatico e professionalmente molto preparato.
Inoltre il nostro gruppo di quartiere ha contatti diretti con assessori e consiglieri municipali di partiti diversi e dimostratisi sensibili, nelle aree di loro competenza, a risolvere i nostri problemi.
Non esiterei, di fronte ad un fatto illecito a presentare denuncia ai Carabinieri e, qualora il fatto avesse una dimensione sociale a richiedere un intervento anche alle autorità municipali.
Tornando al fatto raccontato. quell’epiteto di spia affibbiatomi ebbe l’unico effetto di confermarmi nell’intenzione di laurearmi in Giurisprudenza e di sognare di diventare Magistrato e di andare in Sicilia a combattere per la giustizia contro la mafia e contro l’omertà di una parte della cittadinanza.
Vergogna di quello che feci? Mai, anzi orgoglio!
Anche se poi le strade della vita mi hanno portato lontano dalla magistratura l’impegno per la giustizia è rimasto un faro etico della mia esistenza.
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