Qualche volta qualcuno mi accusa
palesemente, o pensa dentro di sé, che io sia elitario e
intellettuale.
Chi mi conosce bene di persona sa che non sono così, generalmente sono molto alla mano, allegro e semplice.
Vi voglio raccontare una esperienza.
Il Giubileo del 2000, in particolare il cammino di conversione spirituale, non lo feci a Roma (troppo facile...) ma andai a farlo ad Assisi da solo (ancora ero celibe) con una vacanza di meditazione di 4 giorni.
Mi ricordo che il tema che mi venne all'attenzione, specialmente meditando sulla esperienza di S. Francesco, fu quello della semplicità.
Lasciai Assisi e tornai a Roma con l'impegno personale ad essere più semplice e a comunicare con gli altri nel modo più semplice possibile.
Semplicità vuol dire spiegare i propri concetti (o riformulare quelli di altri) usando parole comuni, frasi brevi, chiedendo riscontro di essere stati ben capiti.
Trascurare i dettagli, utilizzare spesso esempi, impiegare slogan riassuntivi, ricorrere ad analisi approssimative non è invece semplicità, è semplicismo.
Purtroppo siamo in un contesto dove il semplicismo è dominante, si evita la fatica di cercare informazioni, di trovare riscontri, di approfondire gli argomenti perché ciò che conta è fare le cose velocemente e riuscire a parlare o, peggio, a decidere, prima degli altri.
In un contesto, in un mondo, nel quale i problemi sono sempre più globali e complessi, il semplicismo è devastante perché, alla lunga (ma neppure tanto..) si ritorce contro chi lo impiega e contro chi ascolta chi lo impiega.
Luigi Einaudi intitolo una sua “predica inutile” “Conoscere per deliberare”.
Chi mi conosce bene di persona sa che non sono così, generalmente sono molto alla mano, allegro e semplice.
Vi voglio raccontare una esperienza.
Il Giubileo del 2000, in particolare il cammino di conversione spirituale, non lo feci a Roma (troppo facile...) ma andai a farlo ad Assisi da solo (ancora ero celibe) con una vacanza di meditazione di 4 giorni.
Mi ricordo che il tema che mi venne all'attenzione, specialmente meditando sulla esperienza di S. Francesco, fu quello della semplicità.
Lasciai Assisi e tornai a Roma con l'impegno personale ad essere più semplice e a comunicare con gli altri nel modo più semplice possibile.
Semplicità vuol dire spiegare i propri concetti (o riformulare quelli di altri) usando parole comuni, frasi brevi, chiedendo riscontro di essere stati ben capiti.
Trascurare i dettagli, utilizzare spesso esempi, impiegare slogan riassuntivi, ricorrere ad analisi approssimative non è invece semplicità, è semplicismo.
Purtroppo siamo in un contesto dove il semplicismo è dominante, si evita la fatica di cercare informazioni, di trovare riscontri, di approfondire gli argomenti perché ciò che conta è fare le cose velocemente e riuscire a parlare o, peggio, a decidere, prima degli altri.
In un contesto, in un mondo, nel quale i problemi sono sempre più globali e complessi, il semplicismo è devastante perché, alla lunga (ma neppure tanto..) si ritorce contro chi lo impiega e contro chi ascolta chi lo impiega.
Luigi Einaudi intitolo una sua “predica inutile” “Conoscere per deliberare”.
Sarebbe importante che noi tutti,
giovani, adulti, anziani ci ricordassimo sempre questa esigenza di
accomunare la compiutezza e profondità dell'analisi, con la
semplicità della esposizione.
E stiamo molto attenti a quelli che
usano intenzionalmente il semplicismo per manipolare le nostre menti
e, in ultima analisi, la nostra libertà.
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