È difficile capire che cosa è successo in questi anni nella mente di tanti italiani, di tanti occidentali. Ma certo qualcosa d’importante è successo se quanto accade da più di tre anni in Ucraina suscita nei più quel freddo distacco vicino all’indifferenza di cui abbiamo prova ogni giorno. E paradossalmente più l’aggressore russo imperversa seminando morte sulle città di quel Paese, più quell’indifferenza cresce. L’opinione pubblica occidentale preferisce voltarsi dall’altra parte, non vedere. Quale diversa forza avrebbero oggi i governi europei nell’opporsi alla politica capitolarda di Trump se le strade delle loro città fossero quotidianamente attraversate da manifestanti invocanti il sostegno a Kiev!
La cosa ha davvero dello straordinario. Nel caso dello scontro israelo-palestinese, ad esempio, si può pure ammettere, — nonostante che il pogrom del 7 ottobre renda assai difficile non considerare Israele la parte aggredita e quindi la controparte come l’aggressore — comunque, dicevo, in quel caso si può pure ammettere che, anche a causa del complesso e intricato sfondo storico della vicenda, le simpatie dell’opinione pubblica europea si dividano tra i due contendenti.
Ma come è possibile qualunque incertezza nel decidere il torto e la ragione per quanto riguarda la guerra che imperversa in Ucraina? Non indica forse ogni cosa nella Russia di Putin l’aggressore? In questo autocrate arcinoto per far assassinare chi osa opporglisi, abituato a muovere guerra ai propri vicini, a ordinare al proprio esercito di rapire i bambini alle famiglie del nemico, incapace di pensare per il suo Paese qualunque politica che non sia il ritorno al feroce imperialismo sovietico, a quella Russia «prigione di popoli» che l’Europa conosce da oltre due secoli?
Dall’altra parte c’è l’Ucraina che resiste. Davvero ancora qualcuno crede possibile che un popolo mostri la tenacia, la determinazione, il coraggio che gli ucraini dimostrano da oltre tre anni solo perché c’è un governo che glielo ordina? Eppure la maggioranza degli occidentali — in particolare degli europei, alla Russia così pericolosamente vicini — tutto questo non lo vede, non avverte il significato di quanto pure si svolge sotto i suoi occhi. Nei telegiornali di ogni sera assiste impassibile alle scene del lento martirio ucraino come se si trattasse dell’episodio di una serie di Netflix.
Un tempo non sarebbe stato così. Almeno nella storia d’Europa, infatti, a partire dalla lontana insurrezione ottocentesca della Grecia contro i Turchi fino alle rivolte di Budapest e Praga contro Mosca, passando per la difesa della Repubblica spagnola assalita da Franco, le lotte per la libertà e l’indipendenza combattute dai suoi popoli non hanno mai mancato di suscitare l’emozione, la mobilitazione — spesso la partecipazione diretta — di una parte importante dell’opinione pubblica del continente. Oggi, invece, la resistenza degli ucraini non appare affatto come una cosa nostra, è radicalmente altro da noi, non ci appartiene. Il suo eroismo — perché di questo si tratta, di eroismo — ci risulta incomprensibile, sembriamo addirittura averne fastidio dal momento che con queste cose l’Europa non ha più nulla a che fare: da molto tempo — essa sembra confessare — l’eroismo non abita più qui.
Ma se è così è perché ben prima altre cose, molte altre cose, sono scomparse dal nostro orizzonte: alla democrazia umanistica della Costituzione della Repubblica abbiamo sostituito la centralità dell’economia e della tecnica predicata da Bruxelles insieme al soffocante prescrittivismo progressista del suo discorso pubblico; un disprezzo superficiale e tutto ideologico per la politica e le idee ha cancellato nelle nostre scuole il senso vivo e drammatico della storia umana e l’alto insegnamento morale che in esso era racchiuso; egualmente abbiamo lasciato che un pervadente individualismo dissolvesse l’idea dei vincoli che nonostante tutto legano gli individui in una comunità: verso la quale oltre che vantare dei diritti si hanno dei doveri.
Anche così è stata liquidata l’idea del passato, l’idea di aver ricevuto qualcosa che ci è stato trasmesso e che dovremmo essere impegnati in qualche modo a conservare. In moltissimi di noi è scomparsa la consapevolezza di avere una storia e una patria: ma senza una storia e senza una patria, senza la libertà che per generazioni di europei entrambe hanno significato, che cosa è mai chiamato a difendere l’eroismo? A che cosa serve? E dunque che combattono a fare gli ucraini? Accettino il giogo russo e ci lascino in pace!
L’eroismo vive e si alimenta nella dimensione della grandezza, della vastità magnanime delle cose e dei sentimenti. Ma ormai da decenni — lo si può dire senza passare per un seguace del generale Vannacci? — da decenni domina in Europa un’aridità spirituale, un’estenuante paralisi politica, un’assenza d’ideali pubblici, un’atmosfera soffocante che ci sta privando di volontà e di propositi. È in questo grigio vuoto, pieno solo d’inutili parole, che si sta consumando il nostro declino storico, che si annuncia la nostra quasi certa futura irrilevanza. È in questo vuoto che l’Ucraina sta morendo.