Mi ha sempre colpito questo brano della Esortazione
apostolica “Evangelii gaudium” pubblicata da Papa Francesco nel 2013 (nello
stesso anno in cui fu eletto Papa), documento che
contiene le linee portanti del suo programma di pontificato.
La realtà è più importante dell’idea
Esiste anche una tensione
bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora.
Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca
per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel
regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che
occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo
implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi
angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i
progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi
senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza.
L’idea – le elaborazioni concettuali – è
in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata
dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo
classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà
illuminata dal ragionamento. Bisogna passare dal nominalismo formale
all’oggettività armoniosa. Diversamente si manipola la verità, così come si
sostituisce la ginnastica con la cosmesi.[185] Vi sono politici – e anche
dirigenti religiosi – che si domandano perché il popolo non li comprende e non
li segue, se le loro proposte sono così logiche e chiare. Probabilmente è
perché si sono collocati nel regno delle pure idee e hanno ridotto la politica
o la fede alla retorica. Altri hanno dimenticato la semplicità e hanno
importato dall’esterno una razionalità estranea alla gente.
La realtà è superiore all’idea. Questo
criterio è legato all’incarnazione della Parola e alla sua messa in pratica:
«In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce
Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio» (1 Gv 4,2). Il criterio di realtà, di
una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale
all’evangelizzazione. Ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della
Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno
inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca
tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero
disgiunto da questo tesoro, come se volessimo inventare il Vangelo. Dall’altro
lato, questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare
opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in
pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia,
rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismi che non danno
frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.[1]
Si tratta del terzo di “quattro princìpi
relazionati a tensioni bipolari propri di ogni realtà sociale. Derivano dai
grandi postulati della Dottrina sociale della Chiesa, i quali costituiscono il
primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la
valutazione dei fenomeni sociali”[2].
I quattro principi solo nell’ ordine:
1) il tempo è superiore allo spazio;
2) l’unità prevale sul conflitto;
3) la realtà è più importante dell’idea;
4) il tutto è superiore alla parte.
Ritornando al terzo principio, la realtà è più
importante della realtà, o è superiore alla realtà, come lo si può definire in
maniera più semplice di quanto scritto nel brano succitato della Evangelii
gaudium?
Forse si può rendere più accessibile il significato dicendo che l’idea (ovvero
le elaborazioni concettuali) non deve sovrapporsi alla realtà.
E’ da quest’ultima, pura e semplice nella sua oggettività che bisogna partire.
Se si parte invece dalle elaborazioni concettuali al fine di cogliere,
comprendere, dirigere la realtà, si rischia di girare a vuoto, di non farsi
capire dalle persone, di dare il primato ai paradigmi mentali, agli schemi di
riferimento, alle possibili distorsioni cognitive, perdendo di vista e
addirittura correndo il rischio di occultare la realtà.
E’ necessario, sottolinea Francesco, partire dalle realtà sociali, nella loro
visibile oggettività e solo dopo passare alle elaborazioni concettuali
(comprenderle, catalogarle, ipotizzare soluzioni se si tratta di realtà
problematiche).
E’ un po’ una riedizione di quello che scriveva un grande gesuita, Bartolomeo
Sorge[3], alla fine dello scorso
secolo.
Occorreva lasciare, a suo parere, nello studio dei fenomeni sociali, il metodo
deduttivo, ovvero partire dalla dottrina, dalla ideologia, per arrivare a
comprendere e a riformare in meglio la realtà.
Era invece necessario introdurre il metodo induttivo ovvero partire
dalla realtà sociale oggettiva e valutarla alla luce delle elaborazioni
concettuali esistenti, tenendo presente però che, qualora queste elaborazioni
concettuali risultassero insufficienti, si doveva procedere a modificare queste
ultime, non ad inventarsi una falsa realtà sociale inesistente per poterla
inserire nei nostri schemi ideologici di riferimento. In altre, e più semplici,
parole, occorrerebbe cambiare occhiali non continuare a guardare, in maniera
confusa, una realtà invece ben netta.
Non si può non notare come questo filone culturale
innovativo della Chiesa cattolica si sposi perfettamente con quel fenomeno,
iniziato nella parte centrale e finale del secolo scorso, e continuato in
quello attuale, della crisi delle grandi ideologie onnicomprensive e dell’avvento
di un pensiero impregnato di quello che sarebbe forse possibile definire “pragmatismo
utilitaristico”, ovvero un tipo di comportamento fondato sull’agire in funzione
di un determinato utile, individuale o collettivo che sia (viene in mente, a
titolo esemplificativo, la frase di Mao Tse Tung “non importa di che colore sia
il gatto, l’importante è che sia bravo a prendere i topi”).
Come non rileggere alla luce di questo filone culturale anche il sempre più
evidente predominio del culturally correct che invoca il prevalere del
“saper fare” sul “sapere”, il primato del pensiero scientifico su ogni altra
forma di pensiero, della scienza e della tecnica sull’etica del dubbio, del
decisionismo sulla ricerca di una equilibrata mediazione?
La realtà deve guidare il pensiero e la decisione, questo è il motto di gran
parte di quello che è stato definito (a torto?) il “pensiero debole”.[4]
Viene quasi naturale chiedersi: ci sono confini precisi tra pragmatismo
utilitaristico, pensiero debole e, infine, il relativismo etico?[5]
Sto esagerando?
Sembra tutto così semplice, nella tensione fra realtà (fenomeni sociali) e idea
(elaborazioni concettuali) il termine più importante e superiore è la realtà.
Quindi nessun problema?
Forse sarebbe opportuno innanzitutto chiedersi se veramente sia possibile
cogliere e comprendere appieno le realtà (in particolare quelle sociali) in
maniera piena, esaustiva e nella completa autonomia dal soggetto o dai soggetti
che appunto vogliono coglierle e comprenderle.
Senza scomodare (per ora) il lungo percorso del pensiero umano che ha
approfondito questo problema dal tempo dei filosofi presocratici fino ad oggi,
possiamo subito domandarci se le fake news dal cui bombardamento siamo
circondati non giungano, se non ad eliminare, perlomeno ad attenuare
grandemente la nostra capacità di cogliere e intendere correttamente il reale e
il suo significato.
L’ Intelligenza Artificiale ha di molto aumentato questa possibilità, per pochi
soggetti, di manipolare la mente umana distorcendo, nella migliore della
ipotesi, la sua visuale, eliminandola completamente e sostituendone con
un’altra, nella peggiore.
Più aumenta il flusso di notizie, abilmente manipolate, che ci cadono sopra
tutti i giorni, più difficile diventa per noi poter affermare con certezza di
conoscere le realtà e i processi sociali che ci circondano.
Chi può dire di essere in grado di conoscere perfettamente la sempre più
complessa realtà dei problemi del mondo attuale e di acquisire di conseguenza
la capacità di poter assumere decisioni consapevoli e mature?
Noi tutti siamo immersi in quella che L. Floridi chiama “infosfera” un mondo di
infiniti incroci di connessioni informative che nessun essere umano è in grado
di dominare perfettamente.[6]
Queste fake news, queste manipolazioni volute vanno ad
aggiungersi alle “distorsioni cognitive” (altrimenti chiamati anche tunnel
cognitivi, percezioni selettive, paradigmi mentali) connaturali all’uomo
dell’inizio della presenza dell’homo sapiens nel mondo.
Che cosa sono le distorsioni cognitive[7]?
Sulla base della nostra esperienza di vita e di conoscenza, noi tutti ci
creiamo degli schemi mentali (definizioni, etichettature, sintesi ideologiche,
modalità culturali ereditate…) che ci permettono di accelerare le nostre
capacità di valutare i fatti che vediamo e le notizie che riceviamo senza ogni
volta rischiare di ricominciare da capo il processo di valutazione.
A titolo di semplice esempio possiamo pensare alle etichette che incolliamo su
certe persone (fascista, comunista, sempliciotto, emotivo…) e che, in teoria,
ci facilitano il compito allorché dobbiamo relazionarci con una persona
precedentemente etichettata in un determinato modo..
Purtroppo queste distorsioni cognitive inevitabili sono utili scorciatoie nei
processi di valutazione e di decisione ma hanno il pesante difetto di farci
vedere solo una parte della realtà, distorcendo o addirittura non permettendoci,
invece, di vedere quella parte che non è conforme alle nostre convinzioni
preconfezionate, ai nostri schemi di valutazione consolidati.
Non possiamo ancora non considerare che la nostra
epoca è stata definita da un insigne sociologo, Z. Bauman, come l’epoca della “società
liquida” volendo significare che la realtà è in un movimento così veloce ed
accelerato che, nel momento in cui noi pensiamo di averla colta, è già mutata[8]. Come pensare in una
società caratterizza dalla liquidità di poter fermare il processo di mutamento
per poter fotografare la realtà.
Altra difficoltà che incontriamo nella nostra pretesa
di conoscere la realtà nella sua essenza piena, oggettiva e assoluta la
possiamo ritrovare lungo il pensiero filosofico dal tempo dei pre-socratici (in
particolare i sofisti) a Kant fino alla corrente sociologica fenomenologica e
al costruttivismo che ha i suoi massimi esponenti in A. Schultz, P. Berger e T.
Luckmann.
Secondo tutti queste pensatori noi con cogliamo la realtà così come è, al
massimo la cogliamo inserendola in precise categorie preesistenti da noi
elaborate (Kant) o addirittura, secondo i sociologi citati noi “costruiamo” la
realtà sociale (“non ci sono puri e semplici fatti… vi sono sempre fatti
interpretati…”)[9].
Last but not least la possibilità che, dando la
priorità alla realtà, quasi dandole il senso di un “idolo”, si corra il rischio
di rinunciare a priori a trasformarla correndo il rischio di incorrere in un
deteriore “conservatorismo”.
Se l’essere umano non avesse dato retta alla sue intuizioni, alle sue
elaborazioni concettuali continuamente innovando la natura e la realtà che lo
circondava, forse saremmo rimasti nelle
caverne.
Se tutto questo è vero, se:
1. siamo
bombardati da fake news che, potenziate dalla Intelligenza Artificiale,
manipolano la nostra conoscenza della realtà;
2. le
nostre naturali individuali distorsioni cognitive ci impediscono di avere una
conoscenza piena della realtà;.
3. la
realtà è “liquida” ovvero in un continuo stato di movimento, peraltro anche
accelerato
4. accreditati
pensieri filosofici, psicologici e sociologici sostengono che noi cogliamo solo
l’apparenza (i “fenomeni”) della realtà o che, addirittura siamo noi stessi a
costruirla, sicché quella che cogliamo è solo una nostra rappresentazione
sociale di essa;
5. il
rinunciare ad un sano utilizzo delle nostre capacità intellettuali e delle
nostre elaborazioni intellettuali ci potrebbe trasformare in inerti
conservatori dell’esistente;
come facciamo ad affermare che la realtà,
inconoscibile pienamente da noi, addirittura è più importante dell’ idea (le
nostre elaborazioni concettuali e culturali) e che la realtà (quale???) deve
orientare i nostri comportamenti e le nostre decisioni?
Allora, presa nella sua immediatezza l’affermazione “La realtà è più importante
dell’idea” appare molto affascinante ma è anche indubbiamente semplicistica e
fuorviante.
D’altra parte il manicheismo e il fondamentalismo devono essere tenuti ben lontani dalle nostre corde; anche se una
realtà, indubbiamente parziale e manipolabile, non può ergersi a criterio unico
di valutazione e giudizio, è indubbio che sicuramente riveste una certa
importanza, da individuare correttamente e provare a circoscrivere.
Se è impossibile avere una conoscenza piena, oggettiva
ed esaustiva della realtà, se è quindi velleitario proporre una ideologia
estrema di “realismo”, e se, quindi, è falsa (anche se suggestiva) l’idea di
partire dalla realtà (deformata come visto sopra) per proporre soluzioni e per
prendere decisioni, quale può essere l’alternativa?
Può essere utile rileggere insieme parte del passo della Evangelii Gaudium
posto all’inizio di questo scritto:
“Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. (omissis) …Tra
le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per
separarsi dalla realtà”.
Forse occorre partire proprio da qui. Realtà e idea non devono essere viste
come contrapposte ma come dipendenti l’una dall’altra in una incessante
dinamica di confronto costante.
Se è vero che la realtà non può essere conosciuta tramite le nostre elaborazioni
ideali (appesantite da “ingombri” quali bombardamenti mediatici, esperienze del
nostro passato personale, distorsioni cognitive, pregiudizi familiari…), sarà
pur vero che il punto di partenza è in una più puntuale comprensione di questa incessante
tensione dinamica fra realtà e idea.
Perché allora non è possibile pensare che l’unica via di uscita sia sì di
partire delle nostre elaborazioni concettuali (l’ “idea”), ma purificandole il
più possibile dagli “ingombri” che le appesantiscono, le annebbiano o le
distorcono?
Occorre “purificare” l’idea” !
Come fare? come avere una mente “purificata” ovvero abbastanza
libera dagli “ingombri” prima individuati da poter essere in grado, con un
elevato grado di probabilità, di poter finalmente cogliere la realtà nella sua
essenza piena, oggettiva ed esaustiva?
Forse alcune strade si possono individuare.
E’ fondamentale coltivare una etica del dubbio.
I passi da fare?
1. non
pensare di avere la ragione, avere la forza e il coraggio di chiedersi “e se
avessi torto?”,
2. sviluppare
la pratica del brainstorming ovvero, di fronte ad una difficoltà, non fermarsi
alla prima soluzione che ci appare come più logica ma lasciare libera la mente
di dare spazio alla fantasia e di far emergere altre soluzioni (anche le più
strampalate) da valutare in un secondo momento con maggiore lucidità;
3. praticare
il brainstorming insieme ad amici, attivando, sempre e in qualsiasi occasione,
quel dialogo fecondo che può aiutarci a purificare la mente e le nostre idee;
4. continuare
nello sforzo di ampliare la nostra visuale leggendo testi e dialogando con
persone che presentano prospettive diverse dalle nostre.
5. Tenere
ferma l’opinione che ciò che riteniamo valido per oggi potrebbe non esserlo più
per il domani.
E per i credenti? Per coloro che credono che la verità
sia trasmessa in un libro sacro, in una dottrina, in una ideologia?
Non cambia nulla, occorre partire dal libro sacro, dalla dottrina, dalla
ideologia, purificare le idee che da loro promanano e, solo dopo aver
purificato tali idee, considerare la realtà come allora ci appare.
Questo, fra l’altro, appare come un processo essenziale per uscire dalle
strettoie di un integrismo religioso che predica una stretta relazione applicativa
fra messaggi morali e comportamento personale in funzione di una attuazione “sine
glossa” e senza mediazione culturale del messaggio religioso.
Una conclusione certa è che sarà sempre essenziale
evitare scorciatoie semplicistiche, rifiutare slogan che si fondano
sull’emotività, mantenere quel sano realismo che ci permette di esaminare tutto
con calma e decidere per il meglio.
Roma 1/7/2021
Giuseppe
Sbardella
[1] Papa
Francesco “Evangelii Gaudium” paragrafi 231,232,233
[2] Papa
Francesco “Evangelii Gaudium” paragrafo 221.
[3] Padre B.
Sorge ha espresso questo suo pensiero in vari scritti, anche in uno dei suoi
ultimi - “Oltre le mura del tempio – Cristiani tra obbedienza e profezia”
conversazione con A. M. Valli – 2012 Edizioni Paoline
[4] Per una
sintesi sul concetto di pensiero debole è possibile leggere la voce “pensiero
debole” di Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/Pensiero_debole
[5]
Relativismo etico = inesistenza di verità oggettive o di i principi etici di
riferimento assoluti esterni a quello che il soggetto pensa, di volta in volta
essere la verità o il principio di riferimento in funzione del suo utile.
[6] L.
Floridi, “Il verde e il blu” – 1920 Raffaele Cortina Editore.
[7] Per chi
volesse approfondire l’argomento, M. Mariani “Decidere e Negoziare” 2004 –
ediz. Il Sole 24 ore.
[8] Z. Bauman
“Vita liquida”, Economica Laterza, 2008.
[9] Per
avere più espliciti riferimenti alle teoria sociologiche che si richiamano alla
fenomenologia o al costruttivisno sociale, si può leggere il cap. 12 di “Il
mondo in questione”, Paolo Jedlowsky, Carocci editore.