Ultimamente mi sono venuti in mente alcuni flash della
mia vita.
Nel primo flash ho visto me che, agli inizi
degli anni ’90 leggevo un libro di Sergio Zavoli e rimanevo molto colpito da
questa osservazione (la cito a memoria nella sostanza, non so se la
formulazione fosse la stessa): “la rivoluzione non è più nel cambiamento ma
nella velocità con la quale questo avviene”.
Ricordo che mi fermai a riflettere su quella frase. Mi resi conto che era vero.
Avevo allora circa 40 anni e, pensando ai progressi della scienza e della
tecnica fino allora avvenuti a partire dal mio anno di nascita non potevo che
concordare sugli enormi cambiamenti e sulla velocità con la quale erano
avvenuti.
Nel 1974, anno di assunzione, lavoravo in una grande azienda dell’informatica
come era l’IBM, operavo e facevo i conti con una calcolatrice da tavolo
elettromeccanica, scrivevo a mano lettere che poi venivano dattiloscritte da
una segretaria, comunicavo con i miei colleghi di altre città con il telefono
fisso o con messaggi scritti inviati tramite la posta interna aziendale.
Nel periodo in cui stavo leggendo quel libro di Zavoli (primi anni ’90) ero ormai
in possesso di un personal computer mobile aziendale scrivevo da solo le
lettere ed ero in grado di trasmetterle ai miei colleghi di altre città tramite
la posta elettronica con i quali, peraltro, ero in grado di parlare ad ogni ora
del giorno con il “telefonino” (quello era allora il nome di quello che ora è
diventato “cellulare mobile”) aziendale.
Il mondo, dal 1974 alla metà degli anni ‘90,
era cambiato in modo molto profondo e, quello che notavo, questo cambiamento
era avvenuto con una crescente accelerazione.
Questo fenomeno non era limitabile solo al mondo del lavoro ma anche a quello
della comunicazione, della medicina, della scienza in generale...
L’unico mondo che appariva fermo era quello della politica ma anche esso cambiò improvvisamente, e con una accelerazione imprevedibile, grazie all’operazione
giudiziaria di Mani Pulite e all’ingresso in politica di Berlusconi.
Che dire poi del fenomeno della globalizzazione economica e dei primi passi di
Internet? L’avvento di Internet avrebbe sempre più rappresentato un momento di
svolta epocale rivoluzionaria.
Sì, per parafrasare Zavoli si poteva affermare che “la rivoluzione non era più nel cambiamento
e nella sua velocità, ma nell’accelerazione con la quale tutto questo avveniva”.
Il secondo flash riguarda un mio lungo
colloquio con il mio fraterno amico Renato avvenuto negli anni a cavallo del
secolo.
Discorrevamo io, dirigente IBM ormai in vista di una pensione non lontana, e
lui, lanciato dirigente della Nokia, sul tema del lavoro nel mondo nel
terziario avanzato (in particolare elettronica e telefonia mobile).
Io mi lamentavo di essere chiamato dai miei manager sui dispositivi aziendali
che mi erano stati forniti, non solo dopo cena e nei giorni festivi ma anche,
in maniera massiccia, durante le ferie nelle quali mi vedevo costretto a
passare gran tempo a rispondere al cellulare o al PC portatile.
Lui mi confermò che ormai fermarsi ad auspicare il ritorno ad un orario di
lavoro fissato in maniera rigida o ad un periodo di ferie di totale riposo era
un modo di pensare totalmente superato e irrealizzabile. Con la competizione
tra aziende, che aveva ormai superato i confini nazionali e si era ormai
traferita a livello globale, una azienda non poteva permettersi il lusso di
fermarsi mai perché, nello stesso momento nel quale essa si fermava, una sua
concorrente poteva continuare a lavorare (e a superarla..) in un’altra parte
del mondo!
La soluzione non poteva essere trovata nel fissare dei limiti predefiniti
all’orario di lavoro, ma nell’essere noi stessi a saper gestire una mole
inimmaginabile di dati ogni giorno e a saper conciliare le nostre attività (lavoro, hobby, famiglia)
nel modo migliore tenendo presente e accettando l’impossibilità di fare programmi che non
fossero se non a breve scadenza.
Aggiunse che, in un periodo non troppo lontano, sia il computer che il
telefonino non sarebbero stati due strumenti diversi, bensì sarebbero stati
unificati. Bisognava solo chiedersi se avrebbe fatto prima l’IBM a costruire un
computer in gradi assolvere le funzioni del telefono o la Nokia a costruire un
telefonino in gradi di assolvere le funzioni del computer.
Era circa intorno al 2005 quando uscì il primo dispositivo Blackberry (né
Nokia, né IBM) che gestiva anche le email, oltre che le conversazioni
telefoniche e gli sms…, Renato aveva visto giusto in anticipo!
Mi rendevo conto, seppure a malincuore, che le considerazioni (e le previsioni…)
di Renato erano verosimili e corrette e, nel frattempo, mi chiedevo, con un
certo senso di angoscia: “dato che praticamente sarò sempre connesso in rete e
potrò ricevere comunicazioni in ogni momento, dato che questo processo non
potrà che accelerare (in funzione della concorrenza su scala globale), come
farò a gestire, con discernimento ed equilibrio, questa valanga di dati che mi
piomberà addosso tutti i giorni? Quale spazio ci sarà per una fruttuosa vita
privata e familiare”?
Nel terzo flash la memoria mi rimanda al 2007,
quando con Patrizia passai una settimana di vacanza sulle Dolomiti vicino a
Folgarida..
Durante quel breve periodo ebbi motivo di ascoltare una lezione di Ezio Aceti,
uno psicologo che stimavo e stimo molto, sulla situazione dei bambini e degli
adolescenti oggi.
Ezio faceva notare che quando eravamo bambini e adolescenti, noi avevamo molto
meno stimoli, avevamo la radio, forse la televisione, il telefono, il cinema
1-2 volte al mese, gli input dei genitori, le lezioni dei docenti a scuola.
I nostri giochi erano semplici e per nulla o scarsamente interattivi.
Avevamo ampio tempo per ascoltare, per leggere, per far domande….
I bambini e adolescenti di oggi hanno molti più stimoli in aggiunta a quelli
nostri (radio, televisione, cinema, genitori, docenti), sono sempre connessi
tramite il loro cellulare o il loro computer, possono accedere a giochi molto
interattivi che forniscono input e chiedono continue risposte spesso non
verbali ma gestuali.
Avendo ogni giorno centinaia di stimoli di più di quanti ne avevamo noi, hanno
minor tempo per ascoltare, per leggere, per farsi domande.
Devono sempre correre per tener dietro a tutti questi stimoli, di qui la loro
frenesia ma anche l’acquisizione di nuove capacità.
Una delle quali, sottolineava Aceti era una grande capacità di lavorare in
multi - programmazione, ovvero di svolgere o seguire più attività
contemporaneamente, senza peraltro poter approfondire.
Per star dietro a tutti gli input dovevano pagare lo scotto di restare in
superficie senza andare in profondità sui diversi temi che affrontavano.
La maggior velocità portava inesorabilmente ad una maggiore superficialità.
Mia moglie Patrizia ed io constatammo la verità di questo assunto quando
vedemmo un nostro giovane nipote che riusciva, nello stesso tempo, a vedere la
televisione e a studiare, ciò che né lei né io, da ragazzi, eravamo in grado di
fare. Peraltro constatammo anche che lo studio era più basato sulle
memorizzazione di ciò che andava leggendo che sulla sua comprensione.
Il quarto flash (ma lo chiamo così solo per
comodità) si sostanzia nella maturazione della consapevolezza, nell’ultimo
decennio, dell' accelerazione nella velocità del progresso della tecnologia.
Pur non avendo, da giovane, un retroterra di cultura scientifica (Maturità
classica e laurea in Giurisprudenza), la lunga permanenza di 31 anni in una
azienda ad alta tecnologia come la IBM, che ha comportato uso costante di HW e
SW sempre più avanzato e il contatto continuo con persone di elevata cultura
scientifica, mi ha fatto progredire di molto su questo aspetto.
Quando raggiunsi la pensione, il 1 gennaio 2006) acquistai il PC che usavo in
azienda, perfettamente aggiornato, e sapevo usare la maggior parte dei
programmi più diffusi.
Inoltre maneggiavo bene Internet, creai due email personali, un blog e, nel
2008, due profili e una pagina facebook.
Ora a distanza di appena poco più di un decennio, mi rendo conto che arranco
faticosamente dietro una innovazione tecnologica sempre più avanzata, app
invece di siti internet, programmi e sistemi operativi sempre più complessi e
sofisticati, dispositivi (specialmente i cellulari smartphone) con comandi
sempre diversi e pieni di funzioni inesplorate…
Una domanda può chiarire il concetto, quanti miei coetanei (ho ora 72 anni ) conoscono e usano
tutte le app precaricate sul loro smartphone (so che non è corretto ma, con
questo termine, comprendo anche gli I-phone)?
O, più semplicemente quanti semplici cittadini sono capaci di usare un PC o un
cellulare al massimo (o vicino al massimo) delle loro potenzialità?
Senza contare che ormai gli smartphone hanno assunto in gran parte anche le
funzioni di un PC con l’aggravante di avere schermo e tasti più piccoli e,
pertanto, comportanti maggior difficoltà di uso da parte di persone con la
vista non perfetta (o anziani).
E’ in tema che è stato definito “digital divide”, ovvero la separazione tra
generazioni (nonché singole persone) che si trovano pienamente a loro agio
nell’uso appropriato della tecnologia e generazioni (nonché persone) che la
usano in maniera superficiale perché non hanno il tempo necessario per imparare
e gestire tutti gli stimoli generati dal sempre più rapido progresso
tecnologico.
In pratica l’accelerazione della realtà tecnologica costringe una gran parte
dell’umanità a correre sempre di più e necessariamente a restare sulla superficie dei problemi senza poter approfondire.
Non posso a questo punto non citare quanto rimasi
colpito, durante lo studio universitario di Sociologia[1], dalle tesi espresse da G.
Simmel e da autori della Scuola di Francoforte circa la differenza tra
“ragione” e “intelletto”.
La ragione, secondo questi autori, è un principio che dà ordine alle conoscenze
empiriche in base a domande che riguardano il loro “senso, e che non rinuncia
al confronto con i sentimenti e con le domande ultime sul valore e sulla vita;
l’intelletto è una facoltà essenzialmente logico-combinatoria, eminentemente
orientata alla calcolabilità e in questa accezione è la più superficiale e
adattabile delle nostre facoltà”.
E come dimenticare l’altro sociologo recentemente scomparso Z. Bauman e il suo
riferimento alla “società liquida”[2], ovvero un tipo di società
che cambia tanto velocemente che quando ci accingiamo a studiare uno dei suoi
molteplici aspetti per comprenderlo, ci accorgiamo, quando pensiamo di averlo
compreso, che quell’aspetto, nel frattempo è nuovamente cambiato.
Dalle riflessioni prima svolte in maniera autonoma e dallo studio del pensiero
di questi eminenti autori non resta che concludere che l’unica maniera per
stare al passo con le realtà che ci circondano in continuo mutamento accelerato
è quella di avere un approccio puntato sulla veloce comprensione superficiale
anziché su un discernimento approfondito. Questo perché un discernimento
approfondito non è possibile se non a pochi eletti.
Tre recenti libri di M. Tegmark[3], L. Floridi[4], S. Quintarelli[5], tutti incentrati sulla
Intelligenza Artificiale (di seguito definita “IA”) hanno destato in me una
enorme impressione.
Ero consapevole degli enormi progressi che l’elaborazione elettronica stava facendo,
ma mai avrei immaginato quello che ho letto.
Siamo ormai capaci di costruire computer / macchine / robot che sono in grado,
in piena autonoma di migliorare se stesse e anche di progettare macchine più
performanti. I nuovi SW sono in grado di
elaborare in maniera rapidissima un numero inimmaginabile di dati (i famosi
“Big data”).
Chissà, ad esempio, se si sarebbe riusciti a inventare i nuovo vaccini
anti-Covid in così breve tempo (rispetto agli standard precedenti) se non si fosse
utilizzata la potenza della I.A.?
Ormai il computer che qualche anno fa sconfisse a scacchi il campione del mondo
appare ormai ampiamente superato e sta alla mia vecchia calcolatrice
elettromeccanica come il super computer di I.A. sta all’ultima versione della
calcolatrice scientifica tascabile al servizio di un semplice studente
universitario.
Mi ha molto impressionato, ad esempio il leggere che, con l’uso della moderna
I.A., le multinazionali dell’e-commerce potranno, con l’accesso ai nostri dati
personali, non solo “tagliare” offerte di prodotti particolarmente allettanti
per noi, ma anche (e questo è sconvolgente) differenziare e “tagliare” i prezzi
sulla base della capacità finanziaria individuale (con buona pace degli schemi
della libera concorrenza e della fissazione del prezzo al punto di equilibrio
fra la domanda e l’offerta).
Ci troviamo ai confini di un mondo sconosciuto, il cui futuro, nel libro di
Tegmark, è soggetto a più e diversi scenari.
La domanda cruciale è: “sarà in grado l’uomo di controllare l’I.A. o questa
sfuggirà al nostro, data la sua incommensurabile maggiore capacità e velocità
rispetto a quelle del nostro cervello?”
Ma un’altra domanda aleggia.
Assunto che speriamo di essere in grado comunque di controllare lo sviluppo
dell’I.A. quanti saranno gli uomini capaci di tenere il passo in questa
corsa ad alta velocità. Quali caratteristiche avranno?
A questa domanda non è possibile dare una risposta certa se non rimandando
alla figura geometrica di una piramide alquanto bassa, con una base molto molto
estesa e con un vertice appiattito molto molto ristretto.
Per questo motivo, qualche riga più sopra ho usato il termine eletti.
Gli eletti sono pochi, perché solo pochi possono avere
sia la capacità intellettuale sia il sostanzioso know-how necessari per tenere
il passo dell’I.A..
Certamente possiamo trovarli con maggiore facilità tra i giovani, laureati in
discipline scientifiche, esperti in informatica, estremamente resilienti,
piuttosto cittadini del mondo che riferibili ad una singola identità culturale
nazionale.
Saranno i padroni del mondo, avranno una marcia in più e, con questa marcia,
potranno essere sempre più potenti e più ricchi, perché saranno gli unici in
grado di sfruttare appieno la potenza dell’ I.A..
La conseguenza di questa struttura sociale gerarchica e piramidale sarà molto probabilmente una crescita poderosa della disuguaglianza fra la classe
degli eletti e la grandissima maggioranza del resto dell’umanità.
Come accetterà questo “resto” uno stato delle cose che lo relega in una
situazione permanente di sudditanza (è giusto parlare di sudditanza piuttosto che
di povertà perché l’I.A. darà il via ad una crescita poderosa del reddito
mondiale e potrebbe permettere a tutti una vita almeno dignitosa)? Non si
ribellerà?
La risposta è, a mio parere NO!
Abbiamo visto come l’I.A. può arrivare a sapere tutto di noi. Ogni volta che
facciamo un movimento su Internet (ricerca di argomenti o di articoli o di
fotografie, operazioni sul nostro conto corrente, spedizione e ricevimento di
email e messaggi…) i relativi dati possono essere captati e memorizzati per
costruire un nostro preciso profilo personale contenente la nostra situazione
familiare, i nostri gusti, le caratteristiche fisiche, lo stato delle nostre
finanze.
La I.A. può conoscerci meglio e in maniera più precisa e oggettiva di quanto
possiamo conoscerci noi stessi. Sulla base delle informazioni in suo possesso,
potrebbe benissimo manipolarci, farci offerte di servizi e beni che desideriamo
fissando un prezzo “tagliato” sulla intensità del nostro desiderio e del nostro
stato finanziario, potrebbe guidare le nostre scelte mostrandoci, su Internet,
siti ed app che non conoscevamo ma appetibili su noi…. Potrebbe, e questo è
forse l’aspetto più grave, manipolare le nostre scelte politiche, il
nostro voto, pur rispettando formalmente la cornice democratica.
Sarebbe facile per l’I.A., conoscendo precisamente i nostri gusti, i nostri
interessi, le nostre finanze, le nostre paure, le nostre relazioni personali…,
elaborare tutti questi aspetti, mandarci messaggi (diretti, o anche indiretti
mostrandoci, nelle nostre ricerche sul web, sempre certi argomenti in grado di
agire sulle nostre emozioni profonde) e indirizzare le scelte politiche verso
il sostegno ai fini e agli interessi propri della classe degli “eletti”.
Si tratterebbe di accentuale le nostre già esistenti distorsioni cognitive e
percezioni selettive, di evidenziare certi aspetti dei nostri gusti e della
nostre idee, lentamente annebbiandone altri, di annullare (o perlomeno attenuare
fortemente) la nostra voglia di sapere, capire, approfondire in autonomia,
e il gioco è fatto.
Potremo diventare schiavi, senza nemmeno accorgercene, pensando invece di
essere pienamente libere.
Ho disegnato uno scenario tenebroso e irreale?
No, è uno scenario perfettamente verosimile e chi già lavora sulla
elettronica evoluta, sulla comunicazione, se non addirittura sulla I.A. ne è
pienamente a conoscenza.
E quello che ho disegnato già parzialmente avviene.
Non vi siete forse accorti che, quando effettuate una inquiry sui motori di
ricerca web, al battere di una sola parola, il “sistema” vi offre una serie
potenziale di possibili formulazioni della vostra inquiry a partire dalla
parola inserita?
Non avete mai notato che, quando ad esempio fate una inquiry su un prodotto,
quello stesso prodotto vi appare in una “finestrella” su siti web sui quali
siete entrati successivamente.
E come mai facebook vi presenta sempre i post degli amici che più frequentare
sul web (non solo su facebook) e non quelli degli altri numerosi amici?
Per passare alla manipolazione politica, come non pensare alle poderose
macchine elettorali con propaganda mirata, anche a base di fake news, per
indirizzare il voto dei cittadini. E le interferenze di Governi stranieri su
elezioni di altri Paesi?
Mettiamocelo bene in testa; già viviamo a rischio di manipolazione in quella
che gli esperti di comunicazione chiamano “bolla” mediatica e stiamo correndo
il pericolo di esservi sempre più immersi.
Le future dittature potrebbero non essere più causate da colpi di stato o da
rivoluzioni sociali, ma dalla manipolazione mediatica, questa sì totalitaria,
indotte dalla I.A., per di più sotto la falsa cornice del rispetto formale
delle regole democratiche.
Come difendersi da questa I.A dall’aspetto così
invadente?
Un primo modo potrebbe essere quello di non difendersi, ma di assecondarne lo
sviluppo.
Vorrebbe dire accettare, in cambio di una maggior sicurezza e di un dignitoso
benessere, di essere manipolati nelle nostre scelte di fondo, pur conservando (e
questo è terribile) la parvenza di una apparente libertà personale.
Un modo alternativo potrebbe essere quello vagheggiato da chi propone un
ritorno ad un surreale “stato della natura”.
E’ una ipotesi affascinante anche perché permetterebbe di affrontare anche un
altro problema, quello dell’enorme mole di energia che viene consumata dalla
I.A..
Ci possono essere due modalità di intendere questo ritorno alla natura, una
radicale e una temperata.
La prima consisterebbe nel bloccare il progresso tecnologico e
concentrarsi solo nella equa ripartizione dei risultati dello stesso, con due
obiettivi:
1) ridistribuire il benessere, creando maggiore uguaglianza tra i popoli e,
dentro i popoli, tra le singole persone;
2) ricostruire l’equilibrio ecologico del pianeta.
Ma è una soluzione possibile e, soprattutto augurabile? Vogliamo rinunciare
alle ricerche in campo medico per trovare medicinali e vaccini più efficaci,
vogliamo rinunciare a ricerche in capo scientifico per, ad esempio, pervenire a
trarre energia non dalla fissione, ma dalla ben più pulita fusione nucleare?
E altri esempi potrebbero farsi.
Ma soprattutto, possiamo bloccare l’anelito primordiale dell’uomo ad usare le
proprie capacità per trovare soluzioni innovative ai suoi problemi?
No, non possiamo bloccare, sic et simpliciter il progresso tecnologico.
Diverso è ricorrere ad una modalità temperata di ritorno alla natura.
Non si tratta, in questo caso, di bloccare, bensì di rallentare e indirizzare
il progresso tecnologico verso obiettivi di:
1) ripristino dell’equilibrio ecologico del pianeta;
2) estrema attenzione a bloccare o quantomeno moderare le potenzialità di
manipolazione mediatica indicate qualche riga più sopra.
Siamo ancora in tempo? siamo ancora in grado di controllare lo sviluppo della
I.A. o ormai questa è avviata in modo ineluttabile a svilupparsi in maniera
autonoma e ad arrivare al punto (terrificante) di essere più potente dell’uomo?
A questa domanda non so rispondere e, sinceramente, non so se gli scienziati
stessi siano in grado di rispondere in maniera unanime. Stando alle mie letture
sull’argomento, questa unanimità non esiste.
Ma ancora, stando all’attuale modello culturale imperante, siamo in grado
ancora di ragionare (perché di questo si tratta) e di porre fine alla
catastrofe? O è invece vero che la manipolazione mediatica delle menti è ormai
così pervasiva che non è più possibile tornare indietro?
Non so se sia possibile una risposta razionale. Quello
che mi sento di poter affermare è che appare necessario un grande atto di
fede verso la capacità dell’uomo di rinascere e ricominciare di nuovo.
Servirebbe scoprire nuovi (o riscoprire vecchi?) parametri di riferimento
valoriali e culturali quali:
1) il primato della piena dignità di ogni persona umana;
2) il valore della fraternità umana, ovvero la sensazione e la consapevolezza
di essere tutti compartecipi di una stesso pianeta e di uno stesso destino;
3) il primato dello spirito di collaborazione su quello di competizione[6];
4) il controllo della emotività da parte della razionalità.
Mentre scrivevo questo elenco mi sono accorto che stavo ripercorrendo i temi
chiave di quel pensiero personalistico che mi ha sempre affascinato e che ha
tra gli autori principali E. Mounier, J. Maritain, G. La Pira, L. Stefanini.
Per cominciare a ricostruire una solida cultura basata sui valori del
personalismo occorre andare faticosamente controcorrente.
Come fare? quali strumenti usare?
Si aprono altre pagine da scrivere, e non mi sento in grado di scriverle io o,
almeno non in grado di scriverle ora.
Chissà se qualcuno avrà voglia e capacità di continuare?
Comunque grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere fino alla fine.
Roma 12/5/2021 Giuseppe Sbardella
[1] P.
Jedlowsky “Il mondo in questione” Carocci editore 2013
[2] Z.
Bauman “Vita liquida” – editori Laterza - 2009
[3] M.
Tegmark “Vita 3.0” - Scienza e Idee -
2018
[4] L.
Floridi – “Il verde e il blu” – Raffaele Cortina editore - 2020
[5] S.
Quintarelli “Capitalismo immateriale” – Bollati Boringhieri
[6] A. Kohn
“La fine della competizione” – Baldini & Castoldi -1992