Vi
racconto un episodio che accadde a L’Aquila nell’estate
del
1967 e che cambiò la mia vita.
Allora
diciannovenne studente di Giurisprudenza avevo conosciuto
nella
mia parrocchia l’anno prima Guido Gliozzi, giovane
calabrese
universitario di Medicina, vivace, allegro e sempre
pronto
a donarsi agli altri. Ero pieno di ammirazione nei
suoi
confronti specialmente per la sua capacità di far gruppo
con
tutti e di saper creare sempre un’atmosfera di amicizia reciproca
in
cui ognuno di noi si trovava a pieno agio.
Allorché
chiesi a Guido i motivi di fondo di questa sua capacità
che
pareva innata, mi rispose che lui non era stato sempre
così,
che anzi il suo temperamento lo avrebbe portato a
chiudersi
e a concentrarsi sugli studi; aveva però avuto modo
di
iniziare una esperienza spirituale che lo aveva trasformato,
quella
del Movimento dei Focolari (i cui componenti venivano
chiamati
focolarini).
Nello
stesso periodo conobbi altri focolarini, anche essi
estremamente
aperti e buoni; mi colpiva soprattutto un particolare,
quando
parlavi con uno di loro erano talmente assorbiti
da
te che pareva non esistesse nessuna altra persona o cosa
in
quel momento.
Con
questi presupposti, quando nell’estate del 1967 mi
venne
offerta la possibilità di andare in Mariapoli a L’Aquila,
non
ebbi dubbi ed accettai convincendo anche altri due miei
amici
della parrocchia, Adriano e Raffaele. La Mariapoli può
essere
definita come l’incontro annuale dei focolarini, spiritualmente
significa
vivere una esperienza meravigliosa di costruzione
della
città di Maria, una città nella quale la regola di
vita
è una sola: l’amore reciproco (ma questo ancora non lo sapevo
se
non superficialmente, avendolo sentito dire da Guido,
adesso
lo avrei provato!).
Con
Adriano e Raffaele salimmo a Piazza della Repubblica
sul
pulmann che ci avrebbe portato fino a L’Aquila. Arrivati lì ricordo
con
chiarezza che appena fummo scesi, in mezzo a centinaia
di
persone tutte sorridenti, ci si avvicinò un giovane (ma più
grande di noi, sui 30-35 anni), che ci chiese il nostro nome e poi
grande di noi, sui 30-35 anni), che ci chiese il nostro nome e poi
ci
salutò con un gran bel sorriso: «Ciao Giuseppe, ciao Raffaele,
ciao
Adriano, benvenuti in Mariapoli, io sono Giovanni».
Subito
dopo la doccia fredda; Giovanni ci comunicò che
il
nostro viaggio non era finito, che i giovani come noi non
avrebbero
dormito a L’Aquila bensì avrebbero dovuto proseguire
fino
a San Demetrio, un paesino abruzzese a qualche decina
di
chilometri da L’Aquila. Avremmo ogni giorno fatto su
e
giù fra L’Aquila e San Demetrio, partecipando agli incontri a
L’Aquila
e dormendo a San Demetrio.
La
notizia non ci entusiasmò ma Giovanni ci disse il tutto
con
una tale amabilità che accettammo senza problemi.
Dopo
un’oretta di pulmann, arrivammo a San Demetrio,
dove
tutti noi giovani fummo radunati in un vecchio convento
abbandonato.
Andammo nella nostra camerata a posare la valigia
e
a preparare il letto, subito dopo fummo chiamati per la
cena.
La cena fu un bel momento, veramente si assaporava una
serena
atmosfera di amicizia.
Dopo
cena, erano circa le 21,00, con Adriano e Raffaele
decidemmo
di fare una breve passeggiata. San Demetrio era
un
paese con poche centinaia di abitanti, offriva scarse attrattive
così,
dopo un’oretta di passeggiata e simpatica conversazione
fra
amici di lunga data, tornammo al nostro convento
che
trovammo però…chiuso!!!
Inutili
furono tutti i nostri tentativi di farci aprire, bussammo
alla
porta (non c’era alcun campanello), gettammo dei
sassolini
verso le finestre, niente, nessuna risposta, probabilmente
tutti,
spossati dal lungo viaggio, erano andati a dormire
pesantemente.
Fu
un momento congiunto pieno di sorpresa e di rabbia,
ma
non ci perdemmo d’animo; saremmo andati a dormire in
un
albergo o in una pensione e l’indomani ci avrebbero sentiti,
altro
che amore al prossimo e focolarini!!!
Erano
solo le 22,00 ma non c’era nessuno per la strada a
cui
chiedere qualche informazione, San Demetrio era proprio un
paese
deserto e, per di più, dopo un’oretta di girovagare ci
rendemmo
perfettamente conto che non c’erano né alberghi,
né
pensioni…
L’unica
cosa da fare (e per fortuna era agosto!!), fu quella di
continuare
a passeggiare per il paese fino alla mattina; fra l’altro
l’attesa
snervante era resa ancora più irritante dall’orologio del
campanile
della chiesa che scandiva tutti i quarti d’ora.
Finalmente
alle 6,00 di mattina, riuscimmo a tornare in
convento.
Io ero infuriato, ricordo che rimisi in fretta tutta la
roba
in valigia, con la ferma decisione, una volta rientrato a
L’Aquila,
di ripartire per Roma. Non volevo più sentir parlare
dei
focolarini.
Ma
a L’Aquila mi attendeva qualcosa di straordinario e
meraviglioso,
uno di quegli eventi imprevisti che segnano l’anima
e
la vita di una persona.
Appena
scesi dal pulmann, incontrammo ancora una volta
Giovanni
che ci salutò con tanto calore: «Ciao Giuseppe,
ciao
Adriano, ciao Raffaele».
Un
lampo mi fulminò la mente e l’anima. No, non era
possibile
che Giovanni ricordasse i nostri nomi fra quelli delle
centinaia
di persone che aveva incontrato il giorno precedente,
non
poteva essere un fatto solo mnemonico, c’era dell’altro,
qualcosa
di diverso ma molto importante e stimolante, e dovevo
scoprirlo.
E
a L’Aquila in quei giorni scoprii che Giovanni ricordava
i
nostri nomi perché lui vedeva Gesù in ognuno di noi e Gesù
lo
si ama tanto che non lo si può dimenticare.
Ma
scoprii anche tante altre cose, che Dio è Amore (e non
il
vecchio giudice con la barba bianca che mandava all’inferno
o
al paradiso) e ama immensamente ognuno di noi, che Gesù
non
è morto ed è ora soltanto nei cieli, ma è in mezzo a noi
ogni
volta che ci riuniamo nel Suo nome e che ci amiamo come
Lui
ci ha amati, che ogni dolore può essere vinto e trasformato
se
lo leghiamo al dolore di Gesù che muore sulla croce,
abbandonato
anche dal Padre, ma che vince il Male e risorge.
Scoprii anche che noi cristiani non siamo solo singole persone,
Scoprii anche che noi cristiani non siamo solo singole persone,
ma
siamo immersi nel Corpo Mistico di Gesù, quasi che
tutti
i Gesù presenti in ognuno di noi formassero un grande
Corpo
di Gesù. La Chiesa, in cui ognuno di noi ha una funzione
unica
e insostituibile.
E
infine scoprii Chiara Lubich, fondatrice del Movimento
dei
Focolari, quella che posso considerare una mia seconda madre,
perché
ha contribuito alla nascita di un altro Giuseppe.